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Cuba, quiete apparente dopo la tempesta

27 Luglio 2021 Aldo Garzia  812

Lunedi 26 luglio poche manifestazioni a Cuba. L’anniversario dell’avvio della rivoluzione nel lontano 1953 è stato ricordato soprattutto a Santiago – dove si diede l’assalto alla caserma Moncada – e in tv. Non c’è stato il tradizionale raduno in una città per premiarne la particolare laboriosità negli ultimi dodici mesi. A sconsigliare particolari festeggiamenti sono i dati di diffusione del Covid, attestati su una curva non in discesa, nonostante l’avvio della campagna di vaccinazione con dosi di siero made in Cuba.

A due settimane dalle proteste dello scorso 11 luglio, la situazione è tornata sotto controllo; sottotraccia resta lo scontento che attende risposte positive. Gli specialisti sanitari cubani sostengono che sulla diffusione del virus si pagano proprio quegli “assembramenti” di quindici giorni fa, com’è avvenuto da noi – facendo un irriverente parallelo – per i festeggiamenti delle vittorie nei recenti campionati europei di calcio. La priorità, anche per recuperare consenso, resta in questi giorni la campagna contro la pandemia, che procede a rilento per mancanza di materie prime utili alla fabbricazione di vaccini (3.117 nuovi contagi, lunedì 26 luglio, e 22 morti).

Sugli eventi di quindici giorni fa la versione ufficiale parla di disordini fomentati dall’esterno grazie a una massiccia campagna mediatica. I fatti dell’ 11 luglio, frutto pure di problemi endogeni, hanno lasciato una scia di polemiche destinate a durare.

Una serie di questioni fa problema: quanti sono gli arrestati? E dove sono reclusi? Di quali reati li si accusa? Non ci sono numeri ufficiali. Fonti del dissenso interno parlano di almeno quattrocento persone. Altre di poco più di un centinaio. Amnesty international chiede di saperne di più. A questo proposito, sabato scorso si è svolta una conferenza stampa a L’Avana, durante la quale le autorità dell’isola hanno precisato che i reati contestati sono di “istigazione a delinquere, al disordine pubblico, con episodi di violenza contro cose e persone”. Alcuni detenuti – si è precisato – sono stati scarcerati, mentre tutti verranno giudicati con “le garanzie processuali stabilite dalla legge e in modo pubblico”. Non sono stati forniti numeri ufficiali su fermati e arrestati. I riflettori sono puntati su quale sarà l’atteggiamento dei tribunali in questi processi.

Alma mater, la rivista dei giovani studenti universitari dell’Avana, ha intanto deciso di aprire un’inchiesta sui fatti dell’ 11 luglio per capirne le ragioni e le dinamiche, a dimostrazione di come il tema non sia indifferente tra i giovani e gli esponenti della cultura (musicisti, scrittori, esponenti del cinema, artisti hanno chiesto di riconoscere le ragioni del malessere interno all’isola e di aprire il dialogo sociale). Campagne di raccolta di medicinali e beni essenziali per Cuba in emergenza sono state nel frattempo lanciate in molti paesi europei (in Italia, dalla Cgil tra gli altri), chiedendo nel contempo la libertà di manifestazione nell’isola. Il governo dell’Avana, ammettendo le difficoltà economiche, ha liberalizzato l’importazione di prodotti alimentari e sanitari sui quali non si paga franchigia.

È dunque quiete apparente dopo la tempesta. In campo restano le ragioni delle proteste: assenza di turismo con l’indotto paralizzato causa Covid, scarsità nella distribuzione di generi di prima necessità e di medicine, inasprimento delle sanzioni contro l’isola da parte dell’amministrazione Trump e senza cambiamenti con Biden, fallimento di alcuni tentativi di riforma interni.

Eppure le voci diplomatiche che si intrecciano tra una sponda e l’altra del Golfo della Florida parlano di possibili mutamenti nella politica statunitense: si potrebbe riaprire un ufficio consolare a L’Avana, evitando così che i cubani che chiedono visti debbano farlo in un paese terzo con ingenti spese di viaggio; si potrebbero riaprire nell’isola le agenzie che fanno da tramite per le rimesse degli emigrati (una delle principali entrate economiche cubane con 3,5 miliardi di dollari l’anno). Queste due misure – chieste da Josep Borrell, responsabile della politica estera dell’Unione europea – allenterebbero in effetti l’embargo fattosi negli ultimi anni ancora più asfissiante. Troppo ottimismo? Al di là delle bellicose dichiarazioni ufficiali, l’implosione improvvisa di Cuba rischierebbe di creare una polveriera migratoria a ottanta miglia da Miami.

La repressione del dissenso a Cuba non piace, così come non piace l’anacronistico blocco economico americano. Una lettera contro l’embargo firmata da un centinaio di intellettuali è stata pubblicata, lo scorso 23 luglio, dal Washington Post. Tra i firmatari: Noam Chomsky, Kanye West, Jane Fonda, Oliver Stone, Luiz Inácio Lula da Silva, Jeremy Corbyn, Mark Ruffalo, Gianīs Varoufakīs, Ignacio Ramonet. Domenica 25 luglio una manifestazione contro l’embargo e per la libertà di manifestare sull’isola, promossa da varie organizzazioni del mondo democratico statunitense, si è conclusa davanti alla Casa Bianca a Washington.

Restano isolate le posizioni più oltranziste, come quelle di Francis X. Suarez, sindaco di Miami, che ha chiesto l’intervento armato degli Stati Uniti contro Cuba. O quella dei gruppi estremisti che hanno finanziato alcune navi dirette verso l’isola in un’azione dimostrativa. In America latina, attraversata da molte crisi economiche e sociali analoghe a quella cubana (Colombia, Haiti, Venezuela, eccetera) cresce intanto la tradizionale solidarietà verso L’Avana. Il presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, per esempio, ci ha tenuto a dire in un recentissimo discorso che “la dignità dei cubani, in difesa della propria sovranità, merita rispetto di fronte alle recenti difficoltà economiche: è addirittura un patrimonio dell’umanità”.

Oltre sessant’anni di storia non si cancellano con un colpo di spugna. Cuba è collocata in un complicato sistema di relazioni internazionali – che toccano Russia, Cina, America latina, Europa – e fa problema a sé, avendo resistito al crollo del Muro di Berlino e del “socialismo reale”. Meglio tenere aperte le strade del confronto politico-diplomatico che cercare l’ultimo duello alla “Ok Corral”. 

Archiviato inAmerica latina Dossier Editoriale
TagsAldo Garzia Alma mater covid Cuba proteste Stati Uniti

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