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Gabrielli: il Viminale dovrebbe controllare tutti i corpi di polizia

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, delegato alla sicurezza, si è espresso a favore di una unificazione delle funzioni di governo, sotto il ministero degli Interni, dell’insieme delle forze dell’ordine del paese

9 Luglio 2021 Stefania Limiti  1735

Se le parole del prefetto Franco Gabrielli avessero un seguito, sarebbe una rivoluzione. Quindi non facciamoci illusioni, visti i tempi. Lo scorso 8 luglio, in occasione del congresso del sindacato “Fsp Polizia”, che ha ospitato un dibattito sulla legge 121 che nel 1981 ha smilitarizzato la Polizia di Stato, l’attuale capo dell’intelligence italiana ha espresso un concetto molto semplice che, tuttavia, non crediamo sia digeribile per un pezzo degli apparati dello Stato: il Viminale dovrebbe avere il controllo anche sui Carabinieri e sulla Guardia di finanza, che invece continuano a dipendere dal ministero della Difesa e dal ministero dell’Economia, nonostante ci sia una legge di quarant’anni fa che definisce chiaramente le figure alle quali spetta l’amministrazione della pubblica sicurezza.

Non più da capo della Polizia ma in qualità di autorità delegata alla sicurezza della Repubblica, Franco Gabrielli ha avuto l’ardire di riaprire una grande questione democratica, sgradita alle forze di destra, ma non solo, visto che la incredibile militarizzazione del Corpo forestale dello Stato è stata promossa dall’ex leader del Pd Matteo Renzi.

La questione è intimamente connessa alla natura democratica dello Stato: per quale motivo, infatti, gli uomini e le donne preposti a garantire la sicurezza dei cittadini e a garantirne i diritti devono essere inquadrati dentro una gerarchia militare? Solo dentro una concezione antiquata della sicurezza è naturale che gli agenti rispondano a un loro capo anziché essere chiamati al rispetto delle regole dentro l’organizzazione statale: si chiama Stato di diritto. Noi scontiamo una certa arretratezza in materia, visto che abbiamo mantenuto la specificità dell’Arma dei carabinieri, nata come polizia sabauda, direttamente preposta alla tutela degli interessi della casa reale: nonostante il prezioso lavoro svolto nei nostri territori più profondi dagli uomini e le donne dell’Arma, si tratta di una struttura fortemente incistata nei gangli più farraginosi dello Stato. 

Sostiene Gabrielli: “Fino a quando il ministro dell’Interno avrà il controllo di una sola forza di polizia, il disegno della 121 non sarà completato. Fino a che non si riconosce questo, con buona pace di tutti, e fino a che non si porterà tutti sotto il Viminale, la 121 non sarà completa”. Che non significa certo “cancellare” Carabinieri e Guardia di finanza. Anzi: quando nel 2016 il governo decise di accorpare la Forestale con i Carabinieri, il sottosegretario definì quella una “scelta non felice”. E spiegò: “La diversità delle giubbe non è un ostacolo, nel nostro paese la pluralità delle forze di polizia non è un elemento di inciampo, una sottrazione di risorse o un appesantimento del sistema, ma semplicemente una risorsa”.

Quello che dovrebbe cambiare è dunque proprio il controllo su questi corpi. Perché la 121 introduce il concetto di amministrazione della pubblica sicurezza e lo attribuisce al Viminale. Il disegno della 121, sostiene ancora Gabrielli, “passa attraverso il riconoscimento del fatto che il capo della Polizia non è solo il capo di una forza di polizia ma di un organo tecnico con il quale il ministro dell’Interno, unica autorità di pubblica sicurezza nel paese, governa la sicurezza del paese”. Dunque, è la conclusione, “il non comprendere questo, il lavorare a che le cose rimangano vaghe” serve a “non dare completa realizzazione alla 121 ma anche a non dare alla politica la direzione della sicurezza”.

Accidenti, è roba pesante e si è schierato anche il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni. “Sottoscrivo quello che dice Gabrielli. E infatti non potrei mai andare a fare il sottosegretario alla Difesa”. Molteni è un leghista doc, un uomo di destra, le cui parole ci fanno legittimamente immaginare una dialettica interna all’attuale classe dirigente estremamente vivace.

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