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Servizio pubblico multimediale: anche qui servirebbe un partito
Esiste un partito per una nuova idea di servizio pubblico multimediale? Oppure dobbiamo sempre e solo omologarci a partiti, benché di sinistra, che misurano la strategia industriale della comunicazione con i nomi e cognomi dei dirigenti? Quanto sta accadendo in queste ore, al vertice della Rai, riproduce l’umiliante cerimonia di occupazione del potere da parte della maggioranza del momento; ma si trova, per pura coincidenza, a maneggiare temi nodali per la stessa sicurezza del Paese.
Uno spunto ce lo potrebbe offrire l’arte, in particolare la smagliante mostra aperta a Milano sull’opera di Hieronymus Bosch. Guardando quei quadri grotteschi, e stridenti con il senso comune del suo tempo, potremmo cogliere il modo in cui si reagì a un altro passaggio brusco della storia, a quel tornante del Quattrocento con cui si arrivava allo scintillante Rinascimento: si era appena giunti in America, nell’indifferenza generale, e qualcuno già percepiva l’incombere di una nuova epoca, in cui scienza e calcolo avrebbero sostituito ogni riproduzione classica della realtà, come accadde nel lungo secolo della matematica, aperto con il rogo di Giordano Bruno e proseguito, fra guerre di religione e di commercio, con le grandi opere di Galilei, Leibniz, Pascal, Newton. Nasceva la borghesia degli scambi e della contabilità, mentre declinavano i poteri verticali del papato e degli imperi.
La trave della Rai, la pagliuzza del rapper
Il dibattito di questi giorni sulla Rai è ripetitivo, noioso, irritante. Comunque, merito del rapper Fedez averlo riaperto con abilità mediatica rifiutando il controllo su quello che avrebbe detto durante la sua esibizione al concertone del Primo maggio. Si riscopre così il tema della troppa politica nella più grande industria culturale italiana, di cui è editore il parlamento.
Non è affatto una sorpresa. Finanche la stagione della lottizzazione ha perso il suo sapore di democratizzazione delle logiche Rai (si aprivano in quel modo spazi anche sul versante di sinistra dopo decenni di monocultura democristiana). Oggi c’è uno status quo dove la crisi della politica produce perfino la fine delle “aree” di influenza. È la mediocrità a farla da padrone. Infatti, i partiti – nel bene e nel male come centri di orientamento culturale – non esistono quasi più e non ci sono più nobili firme di riferimento (alla Biagio Agnes o alla Angelo Guglielmi). La nomina del Consiglio di amministrazione (Cda) dell’azienda – anche con la riforma del 2015 – resta affare della politica (Camera e Senato nominano quattro consiglieri, il governo ne nomina due tramite il ministero del Tesoro, un consigliere spetta all’assemblea dei dipendenti). Quasi tutti si sono dimenticati della necessaria, tante volte annunciata e rinviata, riforma della Rai che è divenuta una litania da riscoprire solo quando esplode un caso come quello di Fedez.