Tag: merito
Merito non è talento
Lasciamo da parte il merito, per favore
Opposizione insieme “ideologica” e “nel merito”
Un’opposizione che si rispetti, in parlamento e fuori, dovrebbe essere “ideologica”, come si dice con un termine piuttosto approssimativo, e al tempo stesso “nel merito”. Per esempio, Giorgia Meloni, che ha studiato le lingue, si è autodefinita una underdog – una “sottocane”, si potrebbe tradurre alla lettera, un po’ per ridere, pensando alla sua discendenza da “cani” di ben altra rabbiosa violenza. Più precisamente, una “svantaggiata” o addirittura una “diseredata”: una persona che non ha santi in paradiso, come si direbbe a Napoli, che cioè si è fatta da sé e viene dal basso. Bene, un discorso che apparirà ideologico consiste nel sottolineare come un regime reazionario di massa derivi proprio dalla combinazione dei due aspetti: dal sovversivismo delle classi dirigenti, come lo chiamava Gramsci, pronte a correre qualsiasi avventura pur di difendere i propri interessi (nel caso italiano odierno si tratta soprattutto del blocco borghese del Nord, che vota indifferentemente per la Lega o Fratelli d’Italia), e dal rampantismo di qualcuno proveniente dai ceti popolari. Una ragazza della Garbatella cresciuta senza padre, in questo senso, è perfetta. Su di lei possono proiettarsi e convogliarsi tutte le frustrazioni – anche una femminile volontà di rivalsa priva di femminismo – che la nostra società produce e riproduce senza posa. Tuttavia, questo è il punto, secondo l’interesse prevalente degli altri, ossia di quelle classi dirigenti che intendono lasciare invariato lo status quo. Sembra una rivolta – ed è una conferma degli equilibri esistenti.
L’amalgama scomposto dei più poveri con i più ricchi, o tra chi ha potere e chi non ne ha, è infatti il segreto dei populismi contemporanei. Di essi Meloni, in Italia, non è che il più recente avatar – avendo il nostro Paese conosciuto, con il partito azienda di Berlusconi, ormai quasi trent’anni fa, l’irruzione nella scena politica di un populismo mediatico e privatistico: qualcosa che, con l’apporto della Lega (Umberto Bossi, come Meloni, era anche lui un “figlio del popolo”), confermava gli interessi di quelli che, come si sa, tendono a pagare meno tasse possibile, mettendo i propri dipendenti in una condizione di “servitù volontaria” grazie all’attivismo del loro “fare impresa”.
Il governo più a destra nella storia della Repubblica
In altri momenti un governo come quello appena insediato avrebbe provocato un’ondata di sdegno, e l’obiettivo sarebbe stato di buttarlo giù al più presto con una spallata. Non avverrà, sebbene non sia da trascurare la possibilità di un incremento della conflittualità sociale, oggi ancora ai minimi storici in Italia. Ma questo governo pessimo, per programmi e per composizione, non ha bisogno di “essere messo alla prova”, come sostengono alcuni commentatori nei giornali borghesi: appare schifoso fin da subito. Non si salva neppure a causa della presenza, per la prima volta nella storia d’Italia, di una donna alla presidenza del Consiglio. Perché questa donna è un esempio di ipocrisia. Si avvale di tutti i risultati raggiunti con grande fatica dai movimenti di emancipazione femminile (considerati in senso lato) e al tempo stesso tende a sabotarli: per esempio, non è sposata, ha una figlia, ma difende la famiglia tradizionale; si pone come una postberlusconiana – e in qualche misura lo è, se si pensa al ruolo di prostitute o yeswomen riservato alle donne dall’orrido tycoon –, ma il suo compagno è un dipendente Mediaset.
Il governo ha davanti a sé un’opposizione parlamentare inconsistente e priva di unità, che gli ha regalato la guida del Paese (la “nazione”, di cui blatera Meloni, non sappiamo cosa sia); se non potrà portare avanti fino in fondo le politiche radicali che ci si aspetterebbe, sarà solo a causa dei soldi che l’Italia deve ancora ricevere dall’Unione europea. Si mettano il cuore in pace i sovranisti e gli euroscettici di ogni tendenza: l’Italia dei postfascisti, a parte i roboanti annunci di “orgoglio”, andrà in Europa con il cappello in mano. A questo scopo, ci sono i ministri degli Esteri e dell’Economia, Tajani e Giorgetti. Tuttavia la guerra contro le Ong che salvano vite umane riprenderà, riprenderà la ripugnante propaganda anti-immigrati. Qualcosa di cui abbiamo purtroppo contezza, avendo vissuto la fase del Salvini ministro, determinata dal Pd di Renzi e dalla sua indisponibilità, in quel momento, a un governo con i 5 Stelle (il che dimostra, tra parentesi, come sia ormai storico l’intreccio tra l’insipienza del Partito democratico e la costituzione di governi di destra).