Tag: Lucio Magri
La sinistra del futuro e il comunismo come orizzonte
Le guerre puniche del ministro Cingolani
“il manifesto”, giornale di mezza età, compie gli anni
Ripensandoci, fa impressione. In questi giorni il manifesto compie cinquant’anni (primo numero il 28 aprile 1971, quattro pagine al prezzo di cinquanta lire). Traguardo, per altro, già varcato con i cinquantadue anni trascorsi dall’uscita del primo numero del mensile (giugno 1969), che lasciò il posto al quotidiano. Bisogna ricordarlo: il manifesto esisteva prima di Repubblica, che nacque nel 1976. Ed è in edicola e su internet tuttora ogni mattina, a differenza dei “cugini” dell’Unità e di altre testate della sinistra scomparse.
Si tratta perciò di un miracolo politico ed editoriale su cui indagare. Ha pure coinvolto varie generazioni di giornalisti e militanti. Infatti, il manifesto è stato una scuola di giornalismo, oltre che di politica, senza eguali. Per chi si ricorda dello stanzone di piazza del Grillo 10 (prima sede della rivista) e delle stanze del quinto piano di via Tomacelli 146 (indirizzo della redazione per tanti anni), c’è da stropicciarsi gli occhi increduli. Nel 1971 si pensava a un “quotidiano corsaro”, come amava definirlo Luigi Pintor. Si puntava, in quel momento, a qualcosa che avrebbe avuto vita incerta e forse breve. Si scoprì in corso d’opera che si poteva fare politica nella “forma giornale”. Ora il manifesto fa parte a tutti gli effetti della storia della sinistra italiana e del giornalismo nazionale. Sottoscrizioni e chiamate di aiuto per scongiurarne la chiusura hanno sempre funzionato.
La lezione di Amazon: mai più senza algoritmi
Nel suo saggio La società automatica (pubblicato da Meltemi), Bernard Stiegler spiega che in un processo che sostituisce l’evoluzione naturale della specie con una trasformazione artificiale guidata dal calcolo, il punto di crisi è dato dall’assenza di una proposta di sinistra che colga e rovesci la potenza di riorganizzazione sociale che il calcolo propone. La radicalità della dinamica – sostiene l’autore – è un elemento di precarietà e incertezza per il capitalismo, che la deve usare contro il lavoro; mentre potrebbe essere un vantaggio per chi mira a un riassestamento globale degli assetti e delle gerarchie sociali.
Una vera lezione, in questo senso, al sindacalismo globale viene dallo stabilimento di Amazon in Alabama. I fatti sono noti: dopo una pressione di circa metà dei cinquemila dipendenti per avere una tutela sindacale, si indice un referendum per il riconoscimento della rappresentanza dei lavoratori. La metà non va nemmeno a votare, e dei votanti solo un terzo si pronuncia a favore di un sindacato interno. Almeno 1.500 lavoratori, che avevano solo qualche mese prima richiesto a gran voce una tutela formalizzata, hanno cambiato idea. Le organizzazioni sindacali denunciano una pressione forte da parte della proprietà. Cosa assolutamente vera. Con tutti i mezzi di una potenza comunicativa quale quella di uno degli apparati più potenti del globo, l’azienda di Jeff Bezos ha fatto intendere a ognuno dei suoi dipendenti che l’entrata di un sindacato nello stabilimento avrebbe messo a rischio il futuro del loro lavoro.