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Iran tra equilibri internazionali e sollevazione popolare
Che cosa succede a Teheran? Per tentare di rispondere a questa difficilissima domanda, non si può che partire da quanto è accaduto a Beirut, prima linea di tanti conflitti mediorientali, soprattutto di quello definito tra sunniti e sciiti, e in realtà tra iraniani e sauditi. Due opposte visioni egemoniche, che coinvolgono alleanze e scontri. Beirut, sotto il controllo di Hezbollah e degli alleati dell’Iran, ha trovato un accordo con Israele sullo sfruttamento dei giacimenti mediterranei di idrocarburi che riguardano entrambi i Paesi. Un confine terrestre riconosciuto tra i due Stati non appare pensabile da decenni, ma c’è ora quello marittimo. I lavori per sfruttare le grandi ricchezze recentemente scoperte possono cominciare. E Hezbollah, spina nel fianco di Israele in nome e per conto dell’Iran, è d’accordo. Basta provocazioni, ora si evitano attriti di terra per dare serenità alle trivellazioni bilaterali nel mare.
Per qualcuno è l’inizio di una libanesizzazione di Hezbollah. Il Libano è un Paese con l’acqua alla gola: si diffonde il colera, si muore di fame, nessuno sa più come vivere. Poteva quindi permettersi di non firmare un accordo che dà una prospettiva agognata da tutti, avere qualcosa da mangiare almeno una volta al giorno? Siccome però è difficile pensare che Hezbollah abbia detto di sì solo per questo, e non anche perché Teheran ha approvato la scelta, occorre capire i motivi del sì. Teheran non rinuncia alla sua propaganda, è normale; e annuncia al morente Libano il generoso invio di un dono in greggio. Il Paese è alla paralisi. Dunque una scelta di “amicizia” solidale. Tempistica interessante, ma fa capire che c’è dell’altro, ovviamente.
L’Iran e noi
Di solito preferiamo non sindacare sugli usi e costumi delle altre culture, e delle relative credenze religiose, perché una sensibilità intorno alle differenze è un presupposto indispensabile per un discorso che si ispiri, in modo innovativo, al socialismo. Per conseguenza, non ci piacciono le vignette su Maometto che puntano – ne siano consapevoli o no i loro autori – su una superiorità della civiltà occidentale, irridendo tradizioni diverse dalla nostra, e all’interno delle quali si trovano invece elementi su cui varrebbe la pena talvolta di riflettere, nel segno di una messa in questione del capitalismo e degli orrori che ne sono derivati, primo tra tutti quello del colonialismo. Ma le lotte sanguinose – a più riprese, nel corso degli anni – di una parte consistente della popolazione iraniana, soprattutto giovanile, ci interrogano. In primo luogo, perché si tratta di sollevazioni che provengono dall’interno stesso della società (checché ne dicano gli esponenti del regime teocratico, pronti, come sempre avviene in casi del genere, a denunciare la mano di potenze straniere); e poi perché si tratta di movimenti di libertà contro un’oppressione che dura da più di quarant’anni, scaturita da una imponente rivoluzione popolare antimperialista che, in maniera del tutto imprevedibile rispetto ai canoni dell’epoca (siamo nel 1979), prese la piega di un ritorno neotradizionalista di marca politico-religiosa. Ciò contribuì, in modo determinante, a mettere in crisi alcune delle nostre certezze “progressiste”: ma come, nel pieno del Novecento, poteva accadere che una rivoluzione seguisse un canovaccio così inusitato?
Bisogna considerare che il regime iraniano è qualcosa di diverso sia dalle monarchie assolute che in quella parte di mondo ingrassano, com’è noto, sulla rendita costituita dagli idrocarburi, sia da quei regimi postcoloniali, per lo più militari, che furono l’obiettivo delle grandi proteste di piazza delle cosiddette primavere arabe, una dozzina di anni fa. Per strano che possa apparire, la repubblica islamica sciita è un sistema politico in cui la sovranità non appartiene neppure nominalmente al popolo ma al “sovrano giurista” esperto del Corano, cioè al teologo. È a lui che spetta di inquadrare le leggi in modo tale che siano, in un certo senso, la preparazione del regno dell’“imam nascosto” che riapparirà soltanto alla fine dei tempi. È all’interno di questa tensione escatologico-utopica che vanno inserite le forme di disciplina, anche corporale, che fanno parte del quotidiano di chi vive sotto il regime teocratico. Per trovare un parallelo, nella nostra cultura, bisogna risalire a Savonarola e al suo tentativo di riforma sociale nella Firenze del Rinascimento. Oppure a certe teologie politiche protestanti.
Iran in crisi
Com’è noto da molto tempo, l’Iran è un Paese sottoposto a fortissime sanzioni economiche, dovute al suo programma nucleare. L’accordo raggiunto con la comunità internazionale sul nucleare iraniano, ai tempi della presidenza Obama, preludeva a un allentamento delle sanzioni. Ma poi l’amministrazione Trump ritenne quella scelta controproducente e pericolosa, e ritirò la firma degli Stati Uniti. Il governo che aveva raggiunto l’accordo, definito moderato nel senso di disponibile a rapporti non conflittuali con la comunità internazionale, e in particolare con Washington, perse le elezioni presidenziali del 2021; fu eletto l’attuale presidente Raisi, definito un falco, contrario a ogni miglioramento dei rapporti con la comunità internazionale, e in particolare con Washington.
Dopo una lunga riflessione, l’esecutivo di Raisi ha deciso di tornare a sedersi al tavolo dei negoziati per riportare in vita l’accordo firmato da Obama, e ritirato da Trump, comunemente definito come una rinuncia al nucleare in cambio della rinuncia alle sanzioni. Essendo l’Iran uno dei principali produttori mondiali di petrolio, il ritorno del suo greggio sul mercato petrolifero sarebbe molto rilevante. L’accordo con l’Iran è stato definito, dall’inizio della presidenza Biden, una delle priorità dell’amministrazione americana, che si è presentata con una scelta senza precedenti. Il presidente, infatti, ha negato colloqui di ogni tipo al principe della corona saudita Muhammad bin Salman, ritenuto responsabile dell’atroce delitto del giornalista e dissidente Khashoggi.