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Secondo mandato, un’eccezione che diventa prassi

“Sono vecchio, fra otto mesi potrò riposare”: la previsione o speranza che Sergio Mattarella espresse a maggio di fronte a una scolaresca romana si...

Amaro brindisi a Mattarella

Sergio Mattarella sarà capo dello Stato per altri sette anni. Siamo contenti, ma nello stesso tempo senza parole, angosciati. Così va il mondo in tempi di pandemia. Oggi brindiamo a Mattarella, ma si celebra in realtà l’eclissi della politica e la crisi delle coalizioni. Abbiamo a disposizione solo un anno di tempo, prima del voto per il rinnovo del parlamento, per aprire il cantiere della rifondazione della politica, delle istituzioni e delle alleanze. 

Si sente forte una spinta verso il proporzionale. Troppi orfani, troppe divisioni tagliano gli schieramenti e le stesse forze politiche. Il maggioritario scricchiola. Con il taglio secco dei seggi parlamentari, urge una riforma elettorale. In una settimana sono state bruciate tutte le “risorse” dello Stato. Certo, dobbiamo ringraziare la gestione della crisi dell’“apprendista stregone” Matteo Salvini, in evidente competizione con Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, e dell’“avvocato di provincia” Giuseppe Conte, se il cortocircuito che si è creato ha bruciato tutte le opzioni di candidature possibili. 

La crisi dei 5 Stelle e i destini del fronte progressista

E chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stato così periglioso il viaggio dei 5 Stelle nel mondo delle istituzioni. Ora rischiano di naufragare ancora prima di essere arrivati alla fine del viaggio. Il comandante di questa che è sempre più una nave alla deriva, Giuseppe Conte, è consapevole di non controllare i suoi parlamentari, e dunque di non poter rassicurare i suoi alleati. Nonostante ciò, prova a costruire un protagonismo che si infrange contro la dura realtà della crisi di credibilità del movimento.

I 5 Stelle non sono più affidabili. Per nessuno. E Conte prova ad alzare la posta in gioco lanciando candidature impossibili per Palazzo Chigi o il Quirinale, come quella della coordinatrice dei servizi segreti, Elisabetta Belloni, che sicuramente è stata una affidabile servitrice dello Stato, ma che, per il ruolo che ricopre oggi, non è proponibile né come presidente della Repubblica né come premier. Conte fa di tutto per marcare una differenza con i suoi alleati, il Pd e Leu. Il venir meno, il non essere più affidabile, l’implosione dei 5 Stelle rappresenta comunque una catastrofe per chi contava su questo alleato, se volete scomodo – il Pd e Leu – per fare squadra, per costruire un’alternativa credibile al centrodestra. 

Il Risiko del premier e del candidato alla presidenza della Repubblica

Mario Draghi ha deciso di rischiare. Rischia sulla riapertura delle scuole, sulla sua candidatura al Quirinale, sulla permanenza alla presidenza del Consiglio (su questo punto rischierebbe di meno, se volesse rimanerci). I suoi nemici invisibili sono i contagi della variante Omicron. Quelli visibili si annidano a destra, perché Salvini e Meloni (oltre all’autocandidato Berlusconi) vorrebbero eleggere un loro pupillo.

Come al solito sicuro di sé, pragmatico, freddo nell’esposizione delle repliche nella conferenza stampa che lunedì pomeriggio serviva a spiegare gli ultimi provvedimenti in materia di Covid-19, con l’unica autocritica del tardivo incontro con i giornalisti (conferenza “atto riparatore” ha detto). Con stile assai discutibile, trattandosi pur sempre di una conferenza stampa, è poi venuta da Draghi la ferma richiesta di non rispondere ai quesiti sul suo possibile futuro al Quirinale, insieme con il diniego di non chiarire se nel prossimo futuro permarrà o meno nel ruolo di premier. Non si è infatti sciolto il rebus su chi sarà il prossimo inquilino del Colle. Anche se, allo stato attuale, l’ipotesi più accreditata resta quella che vede Draghi avere l’identikit giusto per occupare il ruolo, perché tra l’altro Mattarella non ha intenzione di offrire un replay nonostante le insistenze del Pd di questi giorni (pur sempre il suo partito) che lo mettono a disagio non poco.

Quirinale, Renzi cerca di convincere il centrodestra

Marcello Pera (ex presidente del Senato, filosofo già legato a Lucio Colletti) o Maria Elisabetta Casellati (attuale presidente del Senato) o Letizia Moratti (ex...

Contro la rielezione del capo dello Stato

Sebbene Sergio Mattarella lo abbia detto e ripetuto, con la serietà che gli è propria, che non ci pensa a farsi rieleggere alla presidenza della Repubblica, sia i “bis!” sentiti al teatro della Scala sia l’interesse di qualche dirigente politico, forse incapace di prospettare soluzioni, sembrano insistere sulla possibilità di una riconferma dell’attuale inquilino del Quirinale. Ma è il caso di ricordare a costoro che siamo in una repubblica parlamentare (per fortuna) in cui il capo dello Stato dura in carica sette anni. È vero che un’esplicita norma che ne vieti la rielezione non c’è nella Costituzione, ma nemmeno è scritto il contrario: e cioè che il presidente sia rieleggibile.

L’eccezione, che non è una regola, è quella di Giorgio Napolitano, il quale fu riproposto per un incredibile secondo mandato “a tempo”, tra il 2013 e il 2015, in una situazione politica particolare, immediatamente post-elettorale, che vide la sconfitta del segretario di quello che era, purtuttavia, uscito come il partito di maggioranza relativa, cioè il Pd, nel tentativo di far convergere i voti prima su un candidato (Marini) e poi su un altro (Prodi). Sembrò a quel punto ragionevole rieleggere Napolitano, al fine di evitare un’impasse. Intanto si profilava, con la spinta dello stesso Napolitano, una soluzione di governo da solita “unità nazionale” all’italiana (anche per l’indisponibilità grillina a entrare in una maggioranza con il Pd) e una nuova “stagione di riforme” – poi come da copione abortita – che avrebbe aperto la porta, sotto la regia di Renzi, a un progetto di rafforzamento dei poteri dell’esecutivo in chiave larvatamente presidenzialistica.