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Buenos Aires, la condanna di Cristina Kirchner

Non capita tutti i giorni che una carica politica ai vertici di un Paese venga raggiunta da una condanna penale; e ancora meno spesso succede quando si trova nel pieno delle sue funzioni. Caso più unico che raro, ma è proprio quello che è accaduto, martedì 6 dicembre, a Buenos Aires, a Cristina Fernández de Kirchner, ovvero CFK, per i molti che la amano fino all’idolatria, vedendo in lei una rediviva Evita Perón per il suo rapporto intenso con le masse popolari. E anche per i molti che la odiano con tutte le loro forze, e ora gioiscono nella speranza, probabilmente vana, di vederla in carcere. Personaggio quanto mai controverso e divisivo, Cristina è la vedova di Néstor Kirchner, presidente dal 2003 al 2007, al quale è poi succeduta esercitando la massima carica fino al 2015. Alle ultime presidenziali, con una certa sorpresa, si era accontentata di fare da vice di Alberto Fernández, figura sbiadita, politicamente più moderata di lei, che è capofila riconosciuta della sinistra e alimenta il grande fiume del kirchnerismo.

Ieri è stata condannata a sei anni di prigione per la causa “Vialidad”, una sentenza più mite di quella che la procura aveva chiesto, accusandola di avere guidato un’associazione illecita che ha promosso, insieme con altri funzionari, contratti milionari per opere stradali troppo care e persino inutili. Fernández de Kirchner è stata dichiarata colpevole di amministrazione fraudolenta e di danno alla pubblica amministrazione, reati commessi durante la sua presidenza mediante la distrazione di fondi dallo Stato per suo beneficio personale o per quello di una terza persona.

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Brasile spaccato, ma vince Lula

“È la vittoria di un immenso movimento democratico” – ha detto Lula poco dopo avere appreso che i suoi 60.345.999 voti avevano superato i 58.206.354 andati a Bolsonaro, consegnandogli così la presidenza di un Paese mai come ora diviso e il primato di essere il più anziano capo di Stato brasiliano mai eletto. Scontata la promessa che, dal primo gennaio 2023, sarà il presidente di tutti, e non solo di coloro che lo hanno votato, Lula ha promesso una via d’uscita che riporti la pace e ricostruisca un Brasile dilaniato dall’odio, al quale si sforzerà di restituire la possibilità di vivere democraticamente. E con buona probabilità dovrà caratterizzare il suo terzo mandato mediante un approccio più centrista rispetto al passato, dovendo mediare con l’ampio schieramento che l’ha sostenuto, pur di evitare i pericoli per la democrazia brasiliana rappresentati da Bolsonaro.

“Hanno cercato di seppellirmi vivo e io sono qui per governare questo Paese in una situazione molto difficile. È ora di abbassare le armi, che non avrebbero mai dovuto essere brandite. Le armi uccidono. E noi scegliamo la vita. Credo che i principali problemi del Brasile, del mondo, dell’essere umano, possano essere risolti con il dialogo, non con la forza bruta. La ruota dell’economia tornerà a girare, con la generazione di posti di lavoro, la valorizzazione dei salari e la rinegoziazione dei debiti delle famiglie”. Queste alcune delle dichiarazioni del neopresidente, mentre i suoi sostenitori invadevano la Avenida Paulista, a San Paolo, per festeggiare l’elezione di un leader che alla sua bella età sembra ancora insostituibile. Il quale, per di più, ha vinto senza avere anticipato nella campagna quasi nulla del suo piano di governo, premiato da un voto che, prima di tutto, è stato un voto contro l’attuale presidente, il primo nella storia della democrazia brasiliana a non essere rieletto per un secondo mandato.

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