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Spettrografie politiche nell’Italia dei poveri

Con l’avvicinarsi della scadenza elettorale del prossimo anno, la corsa al centro si è fatta più frenetica tra i partiti, coinvolgendo non solo quelli vecchi, ma anche – come notava Rino Genovese in un suo recente editoriale – i nuovi “cespugli” e varie neonate formazioni politiche. Tutti sgomitano per raggiungere l’agognata collocazione di mezzo: se volessimo usare una metafora scientifica e leggere lo “spettro” delle posizioni che si disegnano, risulterebbe evidente un addensamento dei partiti verso le zone centrali, con uno slittamento che li porta a convergere da destra e da sinistra. Predomina, nel dibattito politico, una sorta di ansia centripeta che rende quasi indistinguibili le sfumature dei programmi e difficile cogliere il succo della differenza tra gli uni e gli altri aspiranti centristi. A volte, è difficile anche per i portavoce di alcune micro-frazioni esprimere con chiarezza cosa le caratterizzi rispetto ad altre, giustificare le prese di posizione, le separazioni e le distanze tra i gruppi, se non ricorrendo a una retorica di frasi fatte prêt-à-porter, buone per tutte le stagioni.

La ragione è arcinota: una common wisdom politichese, unanimemente condivisa, fino al fanatismo, ammonisce infatti che “le elezioni si vincono al centro”. In realtà, a voler essere pignoli, questo assioma intoccabile poteva forse essere vero in passato, certo in maniera non assoluta, e con alcune importanti riserve. Le analisi classiche dei sistemi welfariani ci dicono, infatti, che le società keynesiane erano organizzate secondo un modello centro-periferia, che vedeva collocata al centro la popolazione attiva, e in condizione variamente periferica i giovani, le casalinghe, i vecchi, i gruppi marginali. Potremmo quindi supporre – sia pure nei ristretti limiti entro cui questo tipo di correlazioni è valido – che l’esistenza di uno zoccolo duro di occupati fosse uno dei motivi della corsa elettorale alle posizioni politiche collocate al centro, cui chi aveva un lavoro stabile faceva riferimento in linea di massima. Anche quando gli schieramenti politici erano in apparenza lontani, la loro bussola e punto di equilibrio era sempre questo “centro” di occupati. In Italia, la composizione sociale dell’elettorato di Dc e Pci rimase a lungo abbastanza simile. Nel giro di alcuni decenni, però, questo orizzonte è tramontato, e gliene è succeduto uno completamente mutato.

Oltre il centro

Il ceto medio del mondo va a destra. E i diritti, senza conflitto sociale, sono sempre revocabili. Sembra questa la lezione che ci viene...

Il moderatismo italiano e i suoi destini

Un principio fatale regge i destini del moderatismo italiano, e lo si può esprimere così: “Per quanti sforzi facciate per collocarvi al centro dello schieramento politico, ci sarà sempre un altro che si posizionerà più al centro di voi”. È una sorta di centrismo sempiterno, quello scaturito dalla fine dell’unico partito che abbia coperto tutte le sfumature del centro per oltre quarant’anni: la Democrazia cristiana. Dopo di questa, c’è stata una diuturna corsa al centro da parte di partiti, partitini, o semplici frammenti. L’ultimo in ordine di apparizione ha preso il nome di “Insieme per il futuro”: e i malevoli già pensano che il “futuro” consisterebbe nel conservare almeno un posto di ministro in un prossimo governo, qualunque sia la maggioranza di cui quello sarà espressione (del resto, l’attuale responsabile degli Esteri ha già dimostrato, nella legislatura in corso, capacità indubbie al riguardo). Di Maio si posiziona un po’ più al centro rispetto a Conte – che pure è al centro, ma con qualche lieve inclinazione a sinistra. E nei confronti del povero Letta? Ancora più al centro, naturalmente.

C’è una difficoltà, però. Pare che sia in cantiere un’altra iniziativa, più centrista di tutti i centrismi possibili, che dovrebbe aggregare anche Renzi, e forse perfino l’amico-nemico Calenda (che di centro tuttavia non si autodefinisce), intorno al sindaco di Milano Sala, sponsor un imprenditore e deputato dallo specchiato curriculum centrista – Forza Italia-Scelta civica-Pd-Italia viva –, uno del varesotto che ci metterebbe i soldi. Si tratterebbe di una “cosa” più draghiana di quanto siano draghiani tutti gli altri. Che farà a quel punto il draghianissimo Di Maio? Sarà o no della partita?

Renzi, il centrismo e la vecchia “palude” parlamentare

Affinché un fenomeno abbia le caratteristiche di una “formula politica” (utilizzando la tecnica verbale degli “ismi”, quindi, ma senza banalizzarla oltremisura), occorre che presenti qualche tratto di originalità. Se si parla di “berlusconismo”, poniamo, è perché il passaggio diretto di un’azienda dei mass media nell’agone politico era qualcosa che non si era mai visto prima, pur essendo senza dubbio in germe, per via della crescente spettacolarizzazione, nel sistema della democrazia liberale, mostrandone peraltro tutti i limiti. Che consistono in una marcata commistione di sfere le quali, in astratto, sarebbero distinte: cosicché il potere dei media, con la capacità d’influenza di cui dispone, può scavalcare la soglia dalla politica propriamente detta e occuparne l’ambito, senza troppi problemi, in assenza di leggi specifiche.

Nulla di simile nel caso di Renzi e dei suoi. L’inchiesta intorno alla Fondazione Open sta palesando per via giudiziaria ciò che, da un punto di vista per così dire sociologico, è noto da tempo. Un gruppo di affari e di potere inizialmente locale, grazie ai mezzi materiali raccolti con una specie di colletta, si proietta sulla scena politica nazionale facendo il grande salto. Il suo capo assurge infatti, in poco tempo, alla carica di presidente del Consiglio. Ora, nell’Italia del notabilato liberale del passato postrisorgimentale, come pure nelle clientele democristiane della storia più recente, c’era sempre, o quasi sempre, un politico che si costruiva anzitutto un “feudo” per lanciare da là la propria scalata nazionale. Si pensi, per fare un esempio, al potere napoletano dei Gava, e del capostipite Silvio, che, nonostante fosse di origine veneta, aveva mosso i primi passi da Castellammare di Stabia.