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Craxi, un cognome e poco più
Leggere la politica internazionale con le categorie morali dei fumetti dei supereroi è una forma di moderno analfabetismo. Lungi da noi, quindi, la tentazione di mettere nella lista dei “cattivi”, oggi detti anche “putiniani”, la neoeletta presidente della commissione Esteri del Senato, Stefania Craxi: la ragione, secondo alcuni maliziosi quotidiani nazionali, starebbe nel fatto che, in questa puntuale e mai smentita cronaca del 2016, dopo l’annessione della Crimea, sottolineava il merito storico di Vladimir Putin: “aver ridato orgoglio e identità alla Russia” ed essere “riuscito a riplasmare un’identità nazionale forte, in cui tutti possono ritrovarsi”. Certo, l’effetto comico c’è, visto che Craxi succede all’ex 5 Stelle Vito Petrocelli, defenestrato dalla carica appunto col marchio d’infamia di “putiniano” (che almeno in un’occasione si è procurato lui stesso, aggiungendo una “Z” maiuscola – che richiama il simbolo dell’invasione russa in Ucraina – a un tweet sulla festa della Liberazione).
Per far fuori Petrocelli, è stata imposta politicamente un’acrobatica interpretazione del diritto parlamentare che ha portato allo scioglimento e alla ricostituzione dell’intera commissione. L’operazione, in un primo momento, era stata stoppata dagli “uffici”, cioè dagli ultraqualificati giuristi del Senato, esperti di leggi, regolamenti e precedenti. Alla fine, comunque, ha prevalso la volontà politica, la forzatura è stata compiuta, e, comicità involontaria a parte, Craxi è stata eletta – a scrutinio segreto – coi voti di un centrodestra allargato a qualche ex 5 Stelle, e forse a un senatore di Italia viva.