
Che ci fosse ormai del freddo tra Javier Milei e la sua vice, Victoria Villarruel, ultraconservatrice e negazionista della dittatura, era cosa nota dallo scorso 25 maggio, quando il presidente argentino aveva platealmente evitato di salutarla durante la cerimonia di celebrazione dell’indipendenza. La relazione tra i due si era incrinata già nel momento della formazione del governo, nel dicembre 2023, quando Villarruel si era vista negare il controllo della difesa e della sicurezza, ministeri ai quali puntava, vantando un padre militare, sostenitore della dittatura. Chiusa nel suo ruolo di presidente del Senato – emarginata dal cerchio magico presidenziale, dominato dalla figura di Karina, l’onnipotente sorella, e in pessimi rapporti con lei – la relazione con Milei si è guastata.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso risale però allo scorso 10 luglio, quando il Senato ha approvato un pacchetto di norme destinato ad aumentare la spesa fiscale, tra cui un incremento del 7,2% delle pensioni, segnando la più cocente batosta parlamentare dal momento in cui il governo è entrato in carica. Una dura sconfitta per Milei, che ha fatto del surplus fiscale una religione. Poco dopo la votazione, Villarruel, già sospettata di preparare un suo futuro politico fuori da Libertad avanza (il partito di Milei), è diventata oggetto degli attacchi dei sostenitori del presidente, che l’hanno accusata di non avere fatto nulla per impedire il disastro. E il giorno seguente lo stesso Milei l’ha tacciata di tradimento, affermando di essere alla guida del “miglior governo della storia”, che ha portato stabilizzazione economica al Paese, “con il 15% alla Camera dei deputati, sette senatori e un traditore”. Lei, appunto.
In risposta, la vicepresidente ha affermato che “un pensionato non può aspettare e un disabile ancor meno. Che si risparmi sul Side – ha aggiunto – e sui viaggi”, riferendosi alla Segreteria di intelligence dello Stato, creata da Milei nel 2024 in sostituzione dell’ex Agenzia federale di intelligence (Afi), e ai frequenti viaggi del presidente (ventiquattro in diciotto mesi di governo, con una spesa di due milioni e mezzo di dollari), da tempo oggetto degli attacchi da parte dell’opposizione. Ma Villarruel ha anche detto che Javier è infantile e maleducato, e lo ha accusato di non conoscere le emergenze degli argentini, perché vive chiuso nella residenza presidenziale, in un “palazzo” che lo tiene isolato dal mondo. La rottura, a quanto pare, è seria e definitiva. Potrebbe comportare un costo non trascurabile per un’alleanza che poggia su equilibri tanto precari.
Reagendo alla sconfitta parlamentare, Milei ha fatto sapere che porrà il veto contro i provvedimenti approvati, nel tentativo di ritardare la loro applicazione, almeno fino a dopo le elezioni del 26 ottobre, quando l’Argentina rinnoverà 127 dei 257 seggi della Camera dei deputati per il periodo legislativo 2025-2029, insieme con 24 dei 72 seggi del Senato per il periodo 2025-2031. Il risultato negativo, del resto, non è stato una sorpresa; ma il fatto che i provvedimenti abbiano compattato i due terzi dei senatori è motivo di preoccupazione, dato che con questa maggioranza il Senato sarebbe in grado di respingere il veto presidenziale, spuntando, quindi, uno strumento a cui Milei è costretto a ricorrere, mancandogli, a livello parlamentare, i numeri necessari a governare. Quanto è successo è il risultato di un lungo tira molla tra il governo e i ventiquattro governatori di provincia, stanchi, anche quelli politicamente più vicini a Milei, di avere a che fare con un esecutivo sordo alle loro richieste: in primo luogo, a quella di avere finalmente distribuiti i fondi che loro spettano, e che il governo lesina per mantenere alta la bandiera del superávit finanziario. Mentre l’ex presidente Cristina Kirchner sta scontando ai domiciliari la condanna per il caso “Vialidad” – e dovrà rimborsare allo Stato, assieme agli altri otto condannati, 537 milioni di dollari –, il governo accusa il kirchnerismo di aver messo in atto un tentativo di colpo di Stato istituzionale, nonostante a votare sia stato un ampio schieramento di forze politiche. Inoltre, il governo sostiene che quella votazione sia irregolare, dato che i senatori non possono convocare una sessione se non c’è stata una chiamata preliminare dalla presidenza del Senato, mentre Villarruel sostiene che il Senato (dove sono rappresentate le province) ha il potere, se ottiene il quorum, di riunirsi “piaccia o meno”.
Se negoziare è contrario ai suoi princìpi, convinto che gli elettori alla fine vedranno nell’accaduto una sorta di tentativo di colpo di Stato da parte dell’odiata casta, per il momento Milei paga salato l’avere chiuso la porta in faccia ai governatori, che, per di più, si sentono minacciati elettoralmente dalla sventagliata di candidati che la Libertad avanza intende presentare alle legislative. Di fatto, l’anarco-liberista si trova di fronte a un bivio, che potrebbe definire il futuro del suo progetto economico: avere migliori relazioni con quella stessa “casta politica” che ha promesso di eliminare, o rassegnarsi a governare senza poter approvare le riforme strutturali a cui punta. La vera sfida di Milei è soprattutto politica: imparare a governare con coloro che inizialmente aveva promesso di far fuori.
“Mettiamo il veto. E se si dovesse ancora dare la circostanza, cosa che non credo, che il veto cada (con il voto dei due terzi del Senato, ndr), andremo in giudizio” – ha dichiarato Milei. Ma il presidente ha bisogno di almeno 86 deputati per cancellare, con il suo veto, le leggi approvate la scorsa settimana dal Congresso. A quanto pare, dunque, non avrà altra scelta che fare politica.
“Ci sono governatori che vogliono essere d’accordo con noi” – ha dichiarato il capo di gabinetto, Guillermo Francos, senza fornire uno straccio di prova che quanto va dicendo corrisponda al vero. Mentre trovare un accordo con i governatori consentirebbe che i deputati, che a loro rispondono, non votino contro il veto. Francos, il più “dialoghista” degli inflessibili, offrirà alle province alcune concessioni di bilancio, e un eventuale accordo elettorale, poiché, secondo lui, tutte le trattative con le province devono essere pensate alla luce del “clima elettorale” di quest’anno. Il presidente ha però tempo solo fino alla prossima settimana per porre il veto alle leggi, tenuto conto che la Costituzione gli concede dieci giorni lavorativi. In caso contrario, le nuove norme saranno automaticamente promulgate. Le offerte partiranno dal solito ritornello: No hay plata. Almeno per quel tipo di spese, volendo il governo difendere rigorosamente l’equilibrio fiscale. Ma la chiave di tutto saranno i governatori e il controllo che hanno sui gruppi parlamentari, anche se Francos si è sbilanciato affermando che “ci sono molti settori politici nelle province che vogliono stringere alleanze con noi, perché chiaramente il presidente Milei ha una buona immagine in tutto il Paese, e le persone stanno sostenendo le politiche di taglio della spesa, eliminazione delle agenzie e riduzione del personale”.
Le elezioni di ottobre saranno una sorta di plebiscito nazionale, in cui l’attenzione si concentrerà sulla figura del presidente. Che intanto segna un punto a suo favore con l’inflazione di giugno all’1,6%, simile rispetto al mese precedente, con un aumento dei prezzi nell’ultimo anno che ha raggiunto il 39,4%. Secondo il rapporto ufficiale, l’inflazione cumulativa, nella prima metà dell’anno, è stata del 15,1%, con il governo che è riuscito a ottenere due mesi consecutivi di aumento dei prezzi al di sotto del 2% mensile. E questo con un’opposizione in cui la vicenda giudiziaria di Cristina sembra avere cristallizzato un faticoso ricambio di leadership.
Con l’approssimarsi della consultazione elettorale, girano i sondaggi: la brasiliana Atlas Intel, nota per i suoi successi nella previsione degli eventi politici in Argentina, ha presentato il suo studio più recente. Secondo tale sondaggio, il 44,3% degli intervistati approva il lavoro di Milei, mentre il 44,1% lo disapprova. Tuttavia, la valutazione del governo, nel suo complesso, mostra una prospettiva più critica, con il 41,4% che ritiene che la gestione sia “cattiva” o “molto cattiva”, mentre il 37,6% la definisce “buona” o “eccellente”. Il 18,8% la vede come “regolare”, e il 2,2% non ha un’opinione precisa. La differenza tra l’immagine personale di Milei e la percezione del suo governo suggerisce che, sebbene egli mantenga un sostegno significativo in alcuni settori, la gestione, nel suo insieme, deve affrontare sfide importanti in aree chiave, come quelle dell’economia e dell’occupazione.
Il 67% degli intervistati ritiene che la situazione economica sia “cattiva”, e il 74% percepisce negativamente il mercato del lavoro. Quanto alle aspettative per i prossimi sei mesi, non sono favorevoli. Il 46% degli argentini crede che l’economia peggiorerà, contro il 34% che si aspetta invece che migliori. Nel mondo del lavoro, il 49% ritiene che il mercato del lavoro peggiorerà, mentre il 30% è ottimista su un possibile miglioramento. Il rapporto evidenzia anche un cambiamento nelle principali preoccupazioni degli argentini: se l’inflazione era stata la principale preoccupazione negli ultimi anni, ora è la disoccupazione a essere in cima alla lista dei timori, con il 44,4%, seguita dall’inflazione con il 32,1%.
Il rapporto di Atlas Intel offre anche un’analisi della percezione pubblica dei principali leader politici del Paese. In questa classifica, Milei rimane il leader con la migliore immagine, essendo considerato l’unico con un bilancio positivo: 47% di sostegno contro il 46% di rifiuto. Tuttavia, la sua immagine è ben lontana da un sostegno clamoroso, dato che la percentuale di rifiuto è alta. Tra gli altri leader presi in esame, Cristina Kirchner è al secondo posto, con il 39% di sostegno e il 56% di rifiuto. Sergio Massa, ex ministro peronista dell’Economia, ottiene il 31% di sostegno e il 59% di rifiuto. Axel Kicillof, governatore peronista della provincia di Buenos Aires, segue a ruota con il 30% di sostegno e il 60% di rifiuto. Mentre Victoria Villarruel ottiene un 30% di approvazione a fronte di un 48% di rifiuto. Interessante il risultato dell’ex presidente Mauricio Macri, alleato di Milei e leader del Pro, formazione che la Libertad avanza sta letteralmente fagocitando. Per lui, il 24% dí approvazione contro il 62% di rifiuto.