
La destra di Giorgia Meloni si è data il compito di portare fino in fondo il conflitto tra i poteri dello Stato aperto nel ventennio berlusconiano. Nato in nome e per conto degli interessi privati del tycoon e di tutti i colletti bianchi del Paese, oggi è addirittura più forte perché ideologicamente strutturato attorno alla concezione corporativa di una magistratura al servizio del potere. Accantonato, per il momento, il disegno di legge del premierato – potrebbe bastare, intanto, una legge elettorale riscritta a misura di una destra vittoriosa – va avanti in Senato, con grande spregio dei regolamenti parlamentari, la controriforma della giustizia, che introduce la separazione delle carriere e che niente e nessuno sembrano in grado di ostacolare.
Lo sprint è stato impresso dal taglio dei tempi della discussione, stralcio degli emendamenti in commissione (alla fine ammessi circa mille, neanche moltissimi ma, nonostante ciò, lasciati cadere), limitazione dei tempi del dibattito in Aula, silenzio assoluto da parte dei senatori della destra che, come da prassi, non aprono mai bocca secondo gli ordini di palazzo Chigi. Il destra-centro si sente talmente forte da sonnecchiare, fino a far mancare, per ben quattro volte in una mattina, il numero legale in Aula. Con questo andamento, la maggioranza conta di approvare la riforma in Senato il 22 luglio, poi gli altri due passaggi parlamentari, per arrivare al referendum nel 2026 – come palazzo Chigi ha già fatto sapere – previsto in assenza del voto di una maggioranza qualificata dei due terzi, e con la successiva esplicita richiesta di un quinto dei membri di una Camera, o almeno cinquecentomila elettori, oppure cinque Consigli regionali.
Lo scontro tra il ministro della Giustizia Nordio e l’Associazione nazionale magistrati (Anm) è totale, senza possibilità di discontinuità, e non potrebbe essere diversamente, visto che il governo ha impostato la sua riforma costituzionale come gli pare e piace, infischiandosene letteralmente di ogni rilievo. Anzi, si rivolge in modo aggressivo e provocatorio ai magistrati proprio come in una resa dei conti. Secondo alcune voci della maggioranza, per non cedere e incrinare il muro contro muro, Nordio sarebbe stato blindato nonostante la gravità del caso Almasri, il torturatore libico scampato all’arresto europeo perché il ministero non ha mandato per tempo la necessaria conferma della cattura, sebbene in via Arenula fossero arrivate regolarmente tutte le carte. Palazzo Chigi ha negato perfino una informativa al parlamento, in cui sarebbe difficile rispondere alle richieste di spiegazioni delle opposizioni, se non continuando a mentire, pratica peraltro non disdegnata da certi ambienti governativi.
L’Anm va alla carica contro Nordio anche sul tema delicato del Pnrr: l’obiettivo indispensabile di garantire di ridurre del 40% i tempi di definizione dei processi civili è a rischio, per via “di una sbagliata programmazione da parte del ministero delle risorse necessarie al suo pieno conseguimento”, si legge nel documento approvato la scorsa settimana all’unanimità dal Comitato direttivo centrale dell’Anm, che denuncia apertamente la distrazione del governo impegnato in una riforma che “mira a ridurre l’autonomia delle toghe”.
L’argomento del Pnrr è molto importante, perché in assenza del raggiungimento di tutti gli obiettivi lo Stato italiano si troverebbe di fronte alla rinuncia di una quota rilevante di fondi europei; eppure anch’esso non provoca crepe nella compagine di governo, che vede a portata di mano un obiettivo strategico: mettere all’angolo un contropotere: “per anni la politica è stata condizionata dalla magistratura, ora non è più così”, ha detto oggi orgogliosamente ai microfoni di SkyTg24 la sottosegretaria Matilde Siracusano.
La resa dei conti, appunto, è vicina. Per questo il presidente dell’Anm, Cesare Parodi, guarda già oltre, essendo chiaro che la dinamica parlamentare non potrà riservare sorprese: nel suo intervento di apertura al Comitato direttivo centrale dell’Associazione, parlando di separazione delle carriere, ha detto: “È stata portata avanti con tempi e modi inconsueti per le normali logiche parlamentari. Questo rientra nella logica di un governo che aveva deciso dall’inizio di non cambiare una virgola sulla riforma. Dobbiamo fare un esame di coscienza sulle priorità in vista del referendum, dobbiamo difendere i valori e giocarci la partita”. Si arriverà dunque all’appuntamento referendario, molto insidioso, perché la retorica populista contro i giudici potrebbe trovare una forte eco nei cittadini. Prepariamoci a una battaglia di democrazia, che non riguarderà più solo l’Anm ma tutte e tutti noi.