
Doveva tenersi nel prossimo dicembre, ma il congresso della Spd è stato in tutta fretta anticipato agli ultimi giorni dello scorso giugno (27-29), tali e tante le questioni in ballo. Si è trattato, a tutti gli effetti, di un congresso straordinario, su cui gravavano le ombre della disfatta elettorale e del riarmo tedesco. Alla dirigenza è stato confermato quale co-leader, per la terza volta, Lars Klingbeil, vicecancelliere e ministro delle Finanze. Klingbeil non ha certo ottenuto un risultato entusiasmante, raccattando solo il 64,9% dei voti, il risultato più basso nella storia del partito. La seconda co-leader, con il 95% dei voti, è Bärbel Bas, ministro del Lavoro e degli Affari sociali. La carica di segretario generale sarà ricoperta dal 33enne Tim Klüssendorf, della sinistra del partito, che ha ottenuto un lusinghiero 91% dei voti.
La Spd ha annunciato l’intenzione di sviluppare una nuova piattaforma di base – l’ultima era stata adottata diciotto anni fa –, in risposta alla pesantissima sconfitta elettorale subita a febbraio, con lo scopo di consolidare il partito attorno all’attuale leadership e prepararlo per le elezioni del 2029. Nel corso del congresso, è stata approvata, all’unanimità, una mozione per avviare un procedimento per mettere al bando la AfD.
Il modesto risultato conseguito da Klingbeil indebolisce la sua posizione all’interno del governo. Allo stesso tempo, il numero dei suoi rivali sta crescendo: dagli attivisti di spicco, rimasti fuori dall’assegnazione degli incarichi nel nuovo governo, fino agli oppositori al vicecancelliere sulla politica fiscale e sul suo sostegno all’Ucraina. Questo risultato nasce dal malcontento in seguito al peggiore risultato elettorale ottenuto della Spd al Bundestag, dal 1887: appena il 16,4%. Subito dopo la sconfitta, Klingbeil si è speso pubblicamente, annunciando un rinnovamento e un ringiovanimento del partito, promessa cui ha tenuto fede circondandosi nel nuovo governo principalmente di giovani collaboratori, peraltro a lui tutti fedeli. Ma molti membri del partito lo hanno accusato di avere concentrato in maniera furbesca un potere eccessivo nelle sue mani, nonostante la sconfitta elettorale, facendo una sorta di autocritica mentre assumeva contemporaneamente la carica di vicecancelliere. È stato criticato, inoltre, per avere tentato di scaricare la colpa della sconfitta unicamente sulla co-leader uscente, Saskia Esken.
L’ottimo risultato di Bärbel Bas ha confermato la sua popolarità all’interno del partito. Se riuscirà a realizzare i principali obiettivi della politica sociale della Spd (come l’aumento del salario minimo, l’aumento delle pensioni e l’introduzione di un sistema fiscale favorevole ai redditi più bassi), potrebbe diventare una candidata alla carica di cancelliere in grado di giocarsela contro Klingbeil, nel 2029. Attualmente presidente del Bundestag, Bas è allineata all’ala sinistra del partito, ed è considerata dalla base l’archetipo del socialdemocratico. Proviene da una famiglia numerosa di operai di Duisburg. Possiede titoli accademici in amministrazione e previdenza sociale, è stata attiva nei sindacati. Bas è entrata a far parte della Spd nel 1988, e ha rapidamente assunto ruoli di rilievo nell’ala giovanile e nelle strutture regionali. La sua principale debolezza rimane l’assenza di una chiara capacità d’iniziativa politica: per esempio, non è riuscita ad affrontare direttamente la questione della sconfitta elettorale nel suo discorso congressuale.
Nel congresso, tuttavia, non ci sono state solo dispute sulla leadership e sulla sconfitta elettorale, ma anche vivaci polemiche sulla questione del riarmo. Nelle prime settimane di giugno, si era nuovamente fatta sentire l’anima pacifista: una lettera, con oltre cento firmatari – tra iscritti, simpatizzanti e intellettuali, capeggiati dall’ex capogruppo parlamentare e uomo di punta, Rolf Mützenich –, chiedeva un cambio di rotta nella politica di sicurezza e difesa e nei colloqui con la Russia. La lettera ha creato reazioni brusche da parte dell’attuale leadership, che non hanno esitato a definirne “anacronistico e lagnoso” il contenuto, cercando di attutirne l’eco, dato che in molti temevano che avrebbe potuto causare dissapori all’interno della coalizione di governo.
Gli autori del documento, intitolato “Manifesto”, che si definiscono animatori dei “Circoli di pace Spd”, sollecitano colloqui con la Russia e la sospensione del dispiegamento di nuovi missili a medio raggio statunitensi in Germania. Il testo afferma che l’Europa è “ben lontana dal tornare a un ordine stabile di pace e sicurezza”. In Germania, e “nella maggior parte degli Stati europei”, hanno prevalso coloro che “pensano a un futuro costruito principalmente attraverso una strategia di confronto militare e la spesa di centinaia di miliardi di euro in armamenti”. Una “politica di pura deterrenza senza controllo e di accumulo di armamenti” non creerà sicurezza – prosegue il documento –, perché non esiste “alcuna giustificazione politica reale ai discorsi sulla sicurezza”, e l’aumento previsto della spesa per la difesa è, di fatto, “irrazionale”. Il documento chiede, invece, “un equipaggiamento difensivo delle forze armate”, e una capacità di difesa “indipendente” per l’Europa, indipendente evidentemente dagli Stati Uniti. Anziché aumentare costantemente i finanziamenti per la Nato, “sono necessarie maggiori risorse finanziarie per investimenti nella riduzione della povertà, nella protezione del clima e nella lotta alla distruzione delle risorse naturali”.
Durante il congresso, Klingbeil ha invece sottolineato inequivocabilmente la necessità di continuare a sostenere l’Ucraina, affermando che “essere un partito di pace nel 2025 significa qualcosa di diverso rispetto agli anni Ottanta. Putin non è Gorbaciov. Oggi dobbiamo fare tutto il possibile per proteggerci dalla Russia di Putin”, che rappresenta, a suo avviso, “una minaccia diretta”. In pratica, una critica recisa al “Manifesto” di Mützenich e della sinistra pacifista.
Al di là dei conflitti interni, la Spd non sembra avere una strategia chiara per uscire dalla crisi e migliorare la propria posizione nei sondaggi. Alle elezioni del Bundestag del 2025, il partito ha registrato un calo storico del consenso tra i lavoratori manuali, tecnici e qualificati: dal 27% del 2013 ad appena il 12%. Allo stesso tempo, l’estrema destra dell’AfD ha ampliato significativamente la sua influenza in questo gruppo elettorale, dal 6% al 38%, conquistando una parte sostanziale della base tradizionale della Spd (circa 720.000 elettori della Spd sono passati all’AfD). Un altro problema ricorrente è il calo degli iscritti: da 443.000, nel 2015, a circa 358.000 alla fine del 2024, con una diminuzione di quasi il 20%. Certo è che molti non si sentono né rappresentati né presi sul serio dalla dirigenza del partito. Questo spiega perché solo circa la metà dei 360.000 iscritti alla Spd abbia partecipato al voto per l’adesione alla nuova coalizione di governo. L’altra metà è rimasta in silenzio. La perdita di fiducia è il risultato di anni di alienazione: la dirigenza si è trasformata in una “macchina di governo”, che per lo più non si cura dei dibattiti interni e delle visioni di base, pur di partecipare in qualche modo al governo. Così il partito continua a controllare posizioni importanti, ma sta consumando la propria anima.
Il congresso ha confermato che, stretto tra una destra priva di idee e che aderisce acriticamente ai dettami europei, e una sinistra decimata, il partito resta politicamente paralizzato. Il leader dei giovani socialisti, Philipp Türmer, ha suscitato scalpore con un discorso in cui ha rivendicato a gran voce: “Abbiamo bisogno di una socialdemocrazia che osi sollevare di nuovo la questione della redistribuzione con tale forza che nessuno possa ignorarla!”. Türmer ha sostenuto la reintroduzione dell’imposta patrimoniale, una richiesta secolare dell’ala sinistra della Spd. Il problema: con un partner di coalizione conservatore come la Cdu-Csu, simili proposte non sembrano realizzabili.
L’ala sinistra della Spd sta dunque agitando temi interessanti in termini di programma, ma si trova le porte chiuse in termini di Realpolitik. Gli ultimi anni hanno mostrato, inoltre, che figure di sinistra al vertice sono isolate e insufficienti a cambiare la struttura, dato che non hanno una organizzazione alle spalle. Nel dubbio, la professionalità dell’apparato finisce sempre per prevalere. La sinistra non è finora riuscita a creare i propri centri di potere, che si tratti di solide reti all’interno delle realtà istituzionali o di alleanze con movimenti di base. Il suo ruolo è quello di un gruppo intellettuale, con una vaga funzione di indirizzo morale, un grillo parlante che può praticamente cambiare ben poco. Per la sinistra, questo significa che forse non può pensare di legare il proprio destino alla capacità di persuasione o ai buoni sentimenti dell’apparato del partito, ma che deve attraversare una fase di riprogettazione, a partire dalla base, e di riorganizzazione.
Nel frattempo la Spd – stretta tra una destra interna svuotata di concetti e una sinistra spesso velleitaria, e comunque lontana dalle stanze del potere – rimane ferma al guado, e rischia di vedere accelerare il suo declino.