Le elezioni di ieri per il rinnovo di sindaci e governatori hanno riportato la destra e il centrodestra al governo delle principali città della Colombia. È successo nella capitale Bogotà, con Carlos Fernando Galán; a Medellín, con Federico Gutiérrez; a Barranquilla, con Alejandro Char; a Cali, con Alejandro Éder. Mentre i principali governatorati sono stati conquistati da forze politiche avverse al governo centrale guidato, da poco più di un anno, dall’ex guerrigliero dell’M-19, Gustavo Petro, eletto primo presidente progressista del Paese, grazie al successo della formazione raccolta nel Pacto histórico.
Solo quattro anni fa, a vincere erano stati i candidati alternativi alle forze tradizionali , che col loro successo avevano dato voce e speranza al desiderio di cambiamento a cui la Colombia aspirava. Allora era accaduto che alcuni candidati estranei ai soliti ambienti politici, capaci di incarnare una qualche propensione progressista, avevano conquistato grandi città colombiane.
Sull’onda di questo desiderio di voltare pagina, e sulla stanchezza da parte degli elettori per la politica tradizionale, Gustavo Petro aveva saputo dare ali alla sua proposta. Su un’onda che allora sembrava inarrestabile, nell’agosto del 2022, conquistava finalmente la Casa de Nariño, la sede della presidenza, in una elezione in cui i partiti tradizionali colombiani – Liberal, Conservador, Centro democrático, Cambio radical, La U – non avevano nemmeno presentato propri candidati alla massima carica dello Stato.
Ieri, 29 ottobre, era in gioco l’elezione delle autorità dei dipartimenti, dei comuni e dei distretti; e la scelta dei colombiani poteva rafforzare o indebolire un’ondata di trasformazione politica che è cresciuta negli ultimi anni. I risultati ribaltano quella tendenza e confermano che, a livello locale, quell’onda progressista si è fermata. Mentre, per quanto riguarda l’attuale presidente, pur non essendo in gioco il giudizio sul suo operato dopo poco più di un anno di governo, lo spostamento a destra da parte dell’elettorato sembra indicare che il capitale su cui finora ha prosperato si stia esaurendo.
Le previsioni, del resto, erano chiare. Il risultato ha confermato la perdita di ogni illusione da parte della maggioranza dell’elettorato, che, col suo voto, ha sancito il ritorno a un passato che in tanti avevano sperato di essersi lasciati alle spalle. Nelle regioni del Paese, più che i partiti, funzionano i clan. Comandano le famiglie, dettano legge gli intrecci e le coalizioni che appoggiano l’uno o l’altro candidato, e che nascono sulla base di accordi che trovano la loro ragion d’essere in tutto tranne che in un’ideologia. Questo era il tipo di potere che la svolta del 2019 sembrava avere definitivamente archiviato, ma che è tornato alla grande con il voto di domenica.
La svolta a destra, con un’affluenza vicina al 60% degli aventi diritto al voto, oltre a penalizzare chi localmente stava al governo, segna, certamente, anche la volontà dei colombiani di punire l’esecutivo nazionale. Il messaggio uscito dalle urne non potrebbe essere, in questo senso, più chiaro. Dato che la conseguenza, per il governo di Gustavo Petro, è in primo luogo un indebolimento a livello regionale. Se a ciò si aggiunge lo scorno di vedere il candidato sindaco di Bogotá per il Pacto histórico, Gustavo Bolívar, piazzarsi solo al terzo posto, il quadro negativo per Petro si fa più preciso. Nonostante i sondaggi dessero la vittoria a Carlos Fernando Galán, e Gustavo Bolívar fosse il candidato sponsorizzato da Petro, il risultato da lui ottenuto è stato umiliante per la sinistra nel suo complesso nella capitale. Lo stesso Bolívar ci ha messo del suo, quando ha collegato il suo risultato al futuro della coalizione. “Nella carica di sindaco di Bogotà – aveva dichiarato in campagna elettorale – ci stiamo giocando la sopravvivenza del Pacto histórico”. Parole che hanno di fatto trasformato la sua battaglia in quella del presidente.
Non è tutto. La giornata di ieri si chiude con un bilancio negativo anche per i partiti che si raccolgono nel Pacto – Colombia Humana, Polo Democrático, Mais, Unión Patriótica, Ada, Aico, Comunes, Partido comunista, Soy porque Somos e Partido de los trabajadores –, con l’eccezione della vittoria del candidato Luis Alfonso Escobar a Nariño, uno dei trentadue dipartimenti della Colombia che la sinistra aveva perso nel 2019.
Detto ciò, trattandosi di elezioni amministrative, il risultato non poteva non rispecchiare il giudizio su amministrazioni entrate in carica in un’epoca precedente alla pandemia, che hanno quindi dovuto affrontare l’emergenza con tutti i problemi da questa prodotti, sia a livello sanitario sia riguardo all’aumento dell’impoverimento e della disoccupazione, per non parlare della fame vera e propria.
Pur non essendo chiaro quale effetto il risultato amministrativo potrà avere sulle dinamiche della politica nazionale, a parte il citato indebolimento del governo nei suoi rapporti con le realtà regionali, Gustavo Petro ha voluto rispondere a coloro che dicono che il Pacto histórico è stato il grande sconfitto delle elezioni regionali. Lo ha fatto, come spesso avviene, attraverso una presa di posizione su X (ex Twitter), con cui ha cercato di controbilanciare lo spostamento a destra: “Parlano della mia sconfitta politica – ha detto il presidente – e vi anticipo solo un fatto: le forze politiche che hanno trionfato nella mia campagna presidenziale hanno vinto in sette dipartimenti. Quattro anni fa, abbiamo vinto solo in uno”.
Al di là della presa di posizione di Petro, c’è da dire che la coalizione che lo sostiene non è stata in grado di presentare candidati che rappresentassero il cambiamento. Anzi, in molti dipartimenti il Pacto histórico ha scelto di sostenere candidati legati alla politica tradizionale e alle clientele, proprio in virtù della natura di queste elezioni, di cui sopra si è detto. Per quanto si fosse pensato di cercare di espandere la presenza delle forze della coalizione sul territorio, spesso le beghe interne e un contestuale indebolimento del presidente hanno reso impossibile allo schieramento di sinistra di esprimere candidati rappresentativi e capaci di attirare voti. Il tutto in una situazione che ha visto la frammentazione politica toccare il record di ben trentasette formazioni diverse scese in campo.
Per queste ragioni, e per il fatto che gli elettori votavano chi dovrà amministrare realtà locali, è difficile far ricadere totalmente sul presidente il risultato di un voto negativo, anche se, ovviamente, i commentatori e gli analisti politici non si sono lasciati scappare l’occasione di leggerlo con occhiali nazionali. La Colombia rimane, a tutti gli effetti, un Paese in cui il ruolo del presidente rimane centrale. È con lui che i nuovi governatori della destra dovranno venire a patti, se vogliono ottenere i finanziamenti necessari a tenere fede alle loro promesse elettorali. Magari in cambio di un’opposizione più morbida e che non sia frontale. Data la situazione, è questo il piano su cui, probabilmente, Petro saprà farsi valere.