
Ci riconduce agli anni Settanta del secolo scorso Gli artigli del Condor. Dittature latinoamericane, Cia e neofascismo italiano (Einaudi), il volume dell’uruguaiana Marina Cardozo, esperta delle vicende dei Tupamaros e di storie dell’esilio, e di Mimmo Franzinelli, che, nella parte finale di questo bel saggio, ricostruisce il contributo del neofascismo nostrano alla svolta autoritaria che, per circa un ventennio, sconvolse i Paesi di un’intera area geografica, reprimendone gli aneliti democratici e quelli verso uno sviluppo meno diseguale.
Il Piano Condor, di cui quest’anno ricorre il cinquantenario, è un doloroso episodio della guerra fredda in una regione, l’America latina appunto, considerata dagli Stati uniti – fin dal 1823, con la dottrina del presidente James Monroe – come il patio trasero: cioè nulla più che il “cortile di casa”, da cui tenere lontane prima le potenze europee, poi la diffusione del comunismo incoraggiata dai Paesi del cosiddetto blocco socialista, e oggi la penetrazione, per il momento prevalentemente economica, del gigante cinese. Risale al 1946 la fondazione, da parte dell’amministrazione statunitense, della “Escuela de las Americas” a Panama, dove la crema dei militari latinoamericani era formata ai valori etico-politici cari a Washington, e ancor più alle tecniche di lotta alla sovversione. Diventando così, con il passare degli anni, una sorta di “School of Dictators”, grazie alla quale, inoltre, la Cia poteva entrare facilmente in possesso di tutte le informazioni sensibili che le venivano dagli ufficiali latinoamericani in addestramento.
Da quando i vari Paesi latinoamericani conquistarono l’indipendenza politica dalle potenze coloniali europee, la regione si caratterizzò come un continente politicamente frammentato, in cui i tentativi di spingere verso un processo unitario non ebbero mai alcun successo. Per ricordare alcuni esempi recenti, della proposta del presidente brasiliano Lula da Silva di creare una moneta comune non si parla più; e quella di Pepe Mujica, che chiedeva di imboccare la strada dell’integrazione tra i diversi Paesi sulla falsariga di quanto avvenuto in Europa, non sembra essere stata ascoltata.
In questo senso – scrive Marina Cardozo – il Piano Condor è una controtendenza in grado di dare vita, sulla base della lotta contro la sovversione, a una struttura transnazionale capace di coinvolgere il Cile, l’Argentina, l’Uruguay, il Paraguay, il Brasile, la Bolivia e il Perù. Al fine di sventare il presunto pericolo comunista, si riuscì ad attuare un’intensificazione del coordinamento tra le agenzie di intelligence sudamericane. E con una rilevante innovazione strutturale – dato che questa rete non operò solo nella repressione degli oppositori “in casa”, ma si strutturò per costituire un temibile strumento terroristico, in grado di colpire gli esuli rifugiatisi negli Stati Uniti e in Europa.
L’ideazione del Piano – battezzato, su proposta di un rappresentante uruguaiano, con il nome del condor, il rapace che compare nello stemma cileno – si deve all’allora colonnello Manuel Contreras, capo della Dina, la famigerata polizia politica di Augusto Pinochet. Fu proposto durante un vertice segreto a Santiago del Cile, nel novembre del 1975, con i rappresentanti delle polizie di Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay e Uruguay, sottolineando che “per affrontare questa guerra psicopolitica dobbiamo operare in ambito internazionale, non con un Comando centralizzato ma con una Coordinazione efficace che consenta l’interscambio di informazioni ed esperienze, con un rapporto personale diretto tra i capi responsabili della Sicurezza”.
Per poter essere effettivamente operativo, questo organismo avrebbe dovuto disporre di ampi mezzi economici. Che effettivamente arrivarono, soprattutto durante la gestione del dipartimento di Stato statunitense da parte di Henry Kissinger, convinto sostenitore del progetto, che nel maggio del 1975, al ministro degli Esteri cileno, Patricio Carvajal, ebbe a dichiarare: “Sono assolutamente convinto che i diritti umani non siano appropriati in un contesto di politica estera”. Con queste premesse, nasce quella che potremmo definire una vera e propria internazionale del terrore, “la cui struttura applicherà a livello internazionale moduli e obiettivi del servizio segreto di Pinochet”.
“All’indomani del colpo di Stato in Cile l’11 settembre del ’73 – scrive Marina Cardozo, che ha scritto i primi quattro capitoli del libro –, tra le migliaia di arrestati ci sono circa 600 stranieri, molti sono boliviani, uruguaiani, brasiliani, argentini. A interrogarli sono gli ufficiali dei servizi segreti dei rispettivi Paesi, in un’intesa operativa sovranazionale impostata dalla polizia politica cilena: è la protostoria del Piano Condor”, che avrà – come si è visto – il suo avvio ufficiale pochi mesi dopo.
Nella vicenda, giocano un ruolo importante la dittatura argentina e la città di Buenos Aires. Siamo nei mesi dell’ultimo governo di Juan Domingo Perón, morto nel luglio del 1974 e sostituito dalla vedova Isabelita, succube del suo ministro del Benessere sociale, José López Rega, detto el brujo (“lo stregone”), che da tempo proteggeva le operazioni della Triple A, l’Alleanza anticomunista argentina, in cui alcuni storici vedono le origini dell’organismo poliziesco che nascerà in seguito. Il 24 marzo 1976, arriva il colpo di Stato, che fino al 1983, anno in cui il Paese ritorna alla democrazia, produrrà trentamila desaparecidos tra gli oppositori, o sospettati tali, su quarantamila vittime in totale. Ogni anno, in Argentina, il 24 marzo si celebra il Giorno della memoria per la verità e la giustizia, una ricorrenza profondamente sentita in un Paese ancora impegnato a fare i conti con un passato che non ha cessato di pesare, e che il revisionismo dell’attuale governo di destra di Javier Milei, e della sua vice Victoria Villarruel, liquida come un “eccesso commesso durante una guerra civile”. In Uruguay, che ha vissuto una dittatura dal 1973 al 1985, il 20 maggio migliaia di cittadini scendono in strada per unirsi nella Marcia del silenzio, con lo scopo di commemorare i 197 desaparecidos e l’anniversario degli omicidi del deputato Héctor Gutiérrez Ruiz, del senatore del Frente amplio Rafael Michelini, e dei militanti Tupamaros Rosario Barredo e William Whitelaw.
In Argentina, durante la dittatura, era attivo il Battaglione 601, che la Cia nel 1980 definì addirittura più influente della stessa giunta militare. I suoi membri si macchiarono di gravi delitti contro gli oppositori, appunto nel quadro del Piano Condor. Fondato nel 1968, il Battaglione 601 sarà sciolto nel 1985, all’indomani del ritorno alla democrazia; ma molti dei suoi membri proseguiranno la loro attività terroristica, impegnandosi nella guerriglia anti-sandinista, negli squadroni della morte in Guatemala, Honduras, Colombia, Salvador. Nonostante i crimini commessi, molti dei suoi membri poterono beneficiare della “Ley de obediencia debida”, voluta nel 1987 dal presidente Raúl Alfonsín su pressione dei militari. Nel giugno 2005, la Corte suprema argentina giudicò questa legge incostituzionale, il che consentì di riaprire numerosi processi bloccati.
Uno dei crimini commessi dalle dittature, soprattutto in Argentina e in Uruguay, fu il rapimento di neonati e bambini di genitori stritolati dalla repressione. Da qui, nel 1977, la nascita a Buenos Aires dell’Associazione delle madri e delle nonne di Plaza de Mayo, che ebbe un ruolo fondamentale, ampiamente riconosciuto, per il ritorno dell’Argentina alla democrazia, e che ancora oggi sfila ogni settimana davanti alla Casa Rosada con le foto dei desaparecidos. Questo impegno ha permesso di ritrovare finora 139 bambini, ma, secondo le stime, ne mancano ancora trecento. Nel libro, Marina Cardozo ricostruisce il caso di Mariana Zaffaroni, una bambina che aveva vissuto nella famiglia del suo rapitore, dalla quale era stata amata, e che inizialmente aveva rifiutato la scoperta di essere figlia di una desaparecida. Solo dopo essere diventata madre a sua volta, si è aperta, con dolore e con spirito nuovo, alla scoperta di essere diversa da ciò che immaginava.
In tutta la vicenda del Piano Condor, la figura chiave è quella dello statunitense con passaporto cileno Michael Townley, che, con la moglie Mariana Callejas, si trova spesso al centro delle operazioni a livello internazionale. Townley vive negli Stati Uniti protetto dalla giustizia americana, e questo fa sospettare che abbia operato come agente della Dina e della Cia nel quadro del Piano Condor.
Il generale Carlos Prats, massimo vertice militare cileno, era entrato nel mirino della destra perché aveva dichiarato di volere rispettare il risultato elettorale che aveva portato Salvador Allende alla Moneda. Prats, esule in Argentina, era per Augusto Pinochet un pericoloso nemico da eliminare. L’incarico fu affidato, a distanza di un anno dal golpe dell’11 settembre, proprio a Townley e consorte, che fecero saltare in aria l’auto del generale e della moglie. Townley ebbe un ruolo anche nell’assassinio, a Washington dell’ex ministro socialista cileno, Orlando Letelier, molto vicino ad Allende. Dopo il colpo di Stato e la detenzione nell’isola di Dawson, Letelier era stato liberato per le pressioni internazionali, riuscendo a diventare un punto di riferimento per gli oppositori alla dittatura. Ritroviamo ancora lo statunitense-cileno nell’attentato contro il democristiano Bernardo Leighton a Roma. La figura di Leighton, “avversario intransigente dei militari (…) dissidente dentro il suo partito”, referente degli esuli e fautore del “compromesso storico”, preoccupava l’estrema destra italiana e la giunta militare cilena, poiché l’alleanza tra comunisti, socialisti e democristiani italiani poteva rappresentare un modello per l’unificazione dell’opposizione cilena, prima in esilio, poi in patria. Leighton fu inserito nella lista della morte subito dopo le elezioni amministrative italiane del giugno ’75, che videro l’avanzata del Pci in molte regioni. Della sua liquidazione fu incaricato appunto Michael Townley, in contatto con Stefano Delle Chiaie (Avanguardia nazionale) e con Pierluigi Concutelli (Ordine nuovo), che sarà l’esecutore materiale dell’attentato, il 6 ottobre 1975, in cui però Leighton fu soltanto ferito.
Dopo l’attentato contro Orlando Letelier a Washington, e dopo vari tentativi di depistaggio per allontanare dalla giunta cilena il sospetto di essere mandante dell’assassinio, la verità venne lentamente a galla. Con l’arrivo di Jimmy Carter alla presidenza, nel novembre 1976, i rapporti tra gli Stati Uniti e le dittature sudamericane cambiarono. Un giovane magistrato statunitense chiese alla Cia chiarimenti sui rapporti con il killer Michael Townley. La Cia ammise questi rapporti all’epoca del governo Allende, ma negò che fosse mai stato stipendiato. Alla fine, Townley fu estradato dal Cile negli Stati Uniti, ma unicamente per l’attentato a Letelier. Ammise la propria colpevolezza scaricando parte delle responsabilità sui cubani anticastristi con cui aveva collaborato. La vicenda segnò, comunque, la fine della Dina e del suo capo Contreras, con il conseguente indebolimento del Piano Condor, la cui attività venne a essere ridimensionata, senza più operazioni internazionali, concludendosi poi nel 1983. Con il declino del Piano Condor, termina quindi un ventennio che va dai primi colpi di Stato, negli anni Cinquanta, fino agli anni Settanta, mentre il decennio successivo segna un ritorno alla democrazia.
“Secondo le stime le vittime del Piano Condor, computando assassinati e desaparecidos di cui si conosce l’identità, si aggirano attorno alle quattrocento persone: 164 uruguaiani, 89 argentini, 66 cileni, 21 paraguaiani, 17 boliviani, 10 brasiliani, un peruviano, una ventina di varie nazionalità (statunitensi francesi svedesi spagnoli, ecc.). A questi si aggiungono poi circa 270 persone oggetto di operazioni internazionali: 134 uruguaiani, 53 argentini, 42 cileni, 14 paraguaiani, 13 boliviani, un brasiliano, un peruviano, e una decina di individui di varie nazionalità. La nuda contabilità rimane comunque incompleta, poiché varie operazioni si sono svolte nel più assoluto segreto” – scrive Cardozo.
Il quinto e ultimo capitolo del libro è opera di Mimmo Franzinelli. Racconta di come, dopo il crollo della Repubblica sociale italiana, molti fascisti si trasferirono in Argentina, Cile e Brasile per evitare i processi, e facendo così in modo che il fascismo si radicasse nelle comunità italo-americane. Successivamente, le dittature latinoamericane attrassero i neofascisti italiani, soprattutto dopo il crollo dei regimi autoritari europei in Grecia, Portogallo e Spagna, per loro vero e proprio rifugio. Ma con il caso Leighton, l’aria cilena si fece sempre più irrespirabile per i latitanti europei inquisiti in patria per reati di terrorismo. Costretti a trasferirsi in Argentina, gli argentini li posero alle dipendenze del Battaglione 601, con lo scopo di impiegarli in un golpe in Bolivia. Da “rivoluzionari neri”, avvolti in un’aura di romanticismo, divennero manovalanza specializzata, una sorta di compagnia di ventura. Il golpe del generale Luis García Meza Tejada è del 17 luglio 1980: il suo successo è assicurato dall’occupazione di La Paz da parte di formazione paramilitari argentine, tedesche (vi operava anche il nazista Klaus Barbie, detto “il boia di Lione”) e italiane. Questo governo durò fino all’agosto dell’anno successivo, e, una volta dismesso il ruolo di suo consigliere politico, Stefano Delle Chiaie riparò in Venezuela, trattando poi, nel 1987, la sua consegna ai servizi segreti italiani.
All’indomani dell’attentato a Leighton – ricorda ancora Franzinelli – il Sid di Gianadelio Maletti ne aveva coperto i colpevoli, indirizzando le indagini verso l’estrema sinistra, dato che negli anni Settanta esisteva un’intesa sotterranea tra i servizi segreti delle dittature latinoamericane e i servizi segreti della Repubblica italiana.Una realtà confermata, del resto, dal generale Giulio Grassini, direttore delle Informazioni e la Sicurezza democratica, alla commissione parlamentare sulla loggia P2. Su quegli anni, Vincenzo Vinciguerra – detenuto nel carcere di Sollicciano, reo confesso della strage di Peteano – ebbe a scrivere, il 22 giugno 1990, in un testo intitolato La voce del silenzio, qualcosa che merita una citazione: “Il ‘Caso Italia’ – sosteneva Vinciguerra – trova paragone solo con il ‘Caso Argentina’, e mostra a coloro che hanno l’intelligenza e il coraggio di comprendere, che il ‘terrorismo’ venne creato e strumentalizzato per fini di politica interna e internazionale che poco o nulla avevano a che vedere con la realtà di un ‘pericolo comunista’ che non esisteva se non su un piano elettorale. In Argentina, infatti, sullo stesso piano esisteva un pericolo ‘peronista’ che si è dovuto dipingere, propagandisticamente, con i colori del marxismo per rendere anche in quella terra, infelice come la nostra, l’impressione visiva di un attacco ‘rivoluzionario’ sovietico-cubano al quale era ‘imprescindibile’ rispondere con le tecniche della guerra controrivoluzionaria”.
“Questo libro – si legge nel frontespizio di Gli artigli del Condor – è dedicato a quanti, strappati alle loro famiglie e alla loro terra, imprigionati e torturati, scomparvero senza lasciare traccia; ai dimenticati della storia, i cui nomi non figurano nei monumenti né negli elenchi delle vittime, e che mai avranno giustizia”. Un obiettivo ampiamente raggiunto, che fa del libro un utile strumento per contrastare il revisionismo sulle dittature latinoamericane, sparso oggi a piene mani da estremisti di destra come Jair Bolsonaro, in Brasile, e Javier Milei in Argentina. Difendere la memoria e la verità su quel passato, che da più parti si tende a sminuire e a banalizzare, costituisce il primo servizio che ciascuno di noi può rendere a difesa della democrazia e della possibilità di un comune progresso civile.