
Dopo una campagna elettorale a tratti tediosa e nel complesso piuttosto brutta, cominciata in crescendo e finita in calando, non rallegrata se non da qualche momento pubblico veramente significativo, Silvia Salis ha vinto largamente al primo turno la sfida con Pietro Piciocchi, con circa otto punti di distacco. Il risultato ha sorpreso molti (incluso chi scrive) per le sue dimensioni, dato che, fino all’ultimo, i sondaggi avevano prospettato una battaglia ancora incerta. La destra ha preso una sonora legnata, non riuscendo neppure ad arrivare al ballottaggio. D’altro canto che aria tirasse in città lo si era capito già dal risultato delle elezioni regionali, quando – pur perdendo la Regione a causa della clamorosa débâcle a Imperia e dintorni – a Genova la sinistra aveva vinto con otto punti di scarto.
Ora le destre sconfitte piagnucolano di aver perso per “avere voluto fare troppo”, alludendo al gigantesco programma di opere pubbliche pianificato, di cui per ora si è visto realizzato solo qualche cassone di cemento, affondato al largo della vecchia Diga foranea. In realtà, da tempo, in città c’era una diffusa insofferenza per l’operare della giunta. Alcune delle strampalate opere previste, deliberate in fretta per la cupidigia di accaparrarsi i denari del Pnrr, dalla funivia Stazione Marittima-Forte Begato al folle Skymetro (metropolitana sospesa tipo Chicago anni Cinquanta, da realizzarsi nella popolosa Valbisagno), hanno suscitato forti reazioni. Hanno infatti fatto nascere combattivi comitati di cittadini, che si sono strenuamente opposti a dei progetti che apparivano non solo insensati, ma anche dannosi per la vita degli abitanti delle zone interessate. La funivia è addirittura scomparsa dal dibattito elettorale, dato che Piciocchi ha preferito non esporsi su una questione difficilmente difendibile. Salis, per parte sua, ha detto chiaramente di essere contraria a Skymetro, nonostante i denari per la realizzazione della metropolitana aerea siano già stati stanziati, e il progetto abbia in parte superato un lungo e tormentato iter romano di approvazione tecnica, che ne ha messo in luce manchevolezze ed errori marchiani.
Il successo di così larga misura di Salis, candidata “civica” che proviene dal mondo dello sport, è dovuto a un insieme di fattori. Per un verso, a un paziente lavoro di riorganizzazione del mondo dell’associazionismo cittadino, che ha saputo esprimere anche realtà nuove, e a un ritrovato attivismo della base del Pd. Associazionismo e base Pd hanno lavorato a lungo per ritessere reti di legami interrotti, creando connessioni a base spaziale e non solo virtuale. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando la Lega la faceva da padrona nei quartieri popolari, aizzando gli abitanti contro i migranti, mentre Grillo andava in giro sbeffeggiando i politici locali. Per altro verso, si è fatta sempre più strada una insoddisfazione dei genovesi nel vedere i giovani costretti ad andarsene per trovare un lavoro decente – 1.200 solo nell’ultimo anno – e la città diventare sempre più povera, vecchia e vuota.
Il programma della neoeletta sindaca certo non era travolgente, e i richiami alla coesione sociale, alla riduzione delle disuguaglianze e alla centralità del lavoro avevano a tratti il sapore di riferimenti di maniera, ma è stato da molti elettori accolto con favore proprio per queste note “sociali”. Inoltre, sulla questione delle grandi opere, avviate dalla giunta precedente, non veniva segnata una rottura netta, e anzi permaneva qualche ambiguità: Salis nei “dieci sì” delle sue dichiarazioni preelettorali si era detta favorevole alla nuova Diga, di cui anzi auspicava un’accelerata realizzazione, così come ad altre opere minori, ma ugualmente di rilevante impatto economico e sociale, tra cui il tunnel sub-portuale e il ribaltamento a mare di Fincantieri. Ora, nelle dichiarazioni a caldo dopo la vittoria, la sindaca parla anche della necessità di realizzare “infrastrutture sociali”, e riprende con forza la tematica agitata durante la campagna: restituire potere ai municipi penalizzati dalla vocazione accentratrice e monocratica della giunta Bucci.
Tra le ragioni del successo, senz’altro il maggiore afflusso alle urne: sette punti in più rispetto alle precedenti comunali e due punti in più rispetto alle regionali. Un segnale interessante, e inatteso, dato che si paventava invece una crescita ulteriore dell’astensionismo, anche se ovviamente il declino dei sistemi democratici non dipende solo dalla scarsa affluenza alle urne.
Certo, la figura contrapposta a quella di Salis era modesta se non grottesca: Piciocchi, con la sua aria da sacrestano, nell’ultima parte della campagna invano ringiovanito da un taglio di capelli vagamente punk, era un rivale poco consistente, troppo legato al suo ruolo di fedele scherano di Marco Bucci e con ridottissime capacità comunicative. Inoltre, la destra di fronte al profilarsi della sconfitta è ricorsa ad attacchi personali di dubbio gusto, pubblicando foto private della candidata del “campo largo” e facendo circolare insinuazioni di ogni genere. Con risultati controproducenti, in una città che ha antiche tradizioni di tolleranza e di rispetto della privatezza. Neppure hanno giovato le comparsate di Toti, abbronzatissimo e in papillon, che hanno riportato alla mente la morta stagione di Totopoli e le sue vergogne. E va inoltre riconosciuto a Salis di avere mostrato, nel corso della campagna, un piglio e una determinazione sorprendenti, che le hanno permesso di rintuzzare gli attacchi, anche quelli più vili e scomposti.
Per commentare un risultato così schiacciante si potrebbe forse anche riprendere il modello classico di comportamenti elettorali che va sotto il nome di Ann Arbor, dalla cittadina dove fu per la prima volta analizzato: il processo decisionale prima di ogni elezione è visto come un imbuto, come una condensazione crescente in cui giocano un ruolo prima le tendenze di fondo, poi la posizione nei confronti dei rispettivi candidati, infine il loro atteggiamento verso i problemi del momento. Solo immediatamente, prima delle elezioni, l’elettore decide a favore di chi esprimere il proprio voto, e non solo in base a considerazioni razionali. Un modello molto americano, ma che, con il dissolversi dei legami storici dell’elettorato con i partiti, può spiegare ondeggiamenti e sorprese dell’ultimo minuto. Qualunque sia l’interpretazione da dare al risultato di ieri, è comunque difficile pensare che possa essere spiegato unicamente con la sommatoria delle forze politiche che si sono alleate per sostenere la candidata.
Questo rende Genova tutto meno che un “laboratorio” politico, e ancora meno un “modello” da seguire a livello nazionale. Rimane solo una certezza: il ciclo politico caratterizzato dalla coppia Toti-Bucci, che le elezioni regionali hanno inutilmente tentato di prolungare, appare oggi completamente esaurito. Ma quello che alla città riserva il futuro non è facile intravederlo.