
Non cambia nulla nell’Albania di Edi Rama che, dopo il voto di domenica 11 maggio, si riconferma primo ministro della piccola repubblica balcanica, recentemente al centro dell’attenzione per l’accordo con l’Italia sui migranti (vedi qui) tra uno stop e un via libera della magistratura italiana. L’ex sindaco di Tirana – alla guida del Paese dal 2013, quindi al quarto mandato consecutivo, un record – si è riaffermato grazie al successo del suo Partito socialista, con il 52,9% dei consensi e 83 seggi, contro il Partito democratico dell’anziano leader di destra, Sali Berisha, che ha conseguito il 34,1% e 52 seggi. Il resto dei 140 sarà distribuito tra il Partito socialdemocratico (vicino a Rama) e il nuovo partito Mundësia, fondato da Agron Shehaj, imprenditore e deputato del centrodestra, un tempo nella formazione di Berisha; mentre, alla fine dei conteggi, un seggio potrebbe andare anche all’ex leader del centrodestra Lulzim Basha, altra novità della politica albanese, o a Lëvizja Bashkë (Movimento Insieme) del docente universitario Arlind Qori.
È importante ricordare che in Albania il premier viene scelto dal presidente della Repubblica, attualmente l’indipendente Bajram Begaj, e deve poi sottoporsi a un voto di fiducia in parlamento: quindi non dagli elettori e dalle elettrici, come invece si evincerebbe dalle notizie diffuse in questi giorni. Un equivoco che in Italia dura da trent’anni.
Il dato negativo di questa tornata elettorale è quello della partecipazione al voto: solo il 43% degli aventi diritto, circa 1,7 milioni di albanesi su una popolazione complessiva di 3.713.761, ai quali si aggiungono 114.642 residenti all’estero su 245.935, che per la prima si sono recati alle urne. Lo sconfitto è Berisha, una figura storica dell’Albania di Enver Hoxha del quale era medico personale, così come dei massimi dirigenti del Partito comunista. Dal 1992 al 1997 l’ex cardiologo è stato presidente dell’Albania. Dopo anni di popolarità, fu però ritenuto responsabile del crollo economico del Paese causato dall’applicazione dello “schema Ponzi”, dal nome del truffatore italiano che ideò una sorta di modello economico di vendita basato su “imprese piramidali”. Un improbabile congegno che prevedeva forti guadagni per i primi investitori, con alti tassi di interesse, a scapito degli ultimi. Il crollo di questo modello delinquenziale gettò sul lastrico una popolazione già molto povera, che reagì con una violenta rivolta, dopo la quale il Paese si è risollevato molto lentamente. Malgrado ciò, Berisha fu primo ministro dal 2005 al 2013.
Dietro le quinte (ma non troppo), a ricoprire un ruolo nella campagna elettorale è stato l’onnipresente Donald Trump. Le modalità con cui si è svolta la campagna hanno ricordato quelle del tycoon. In un articolo scritto per l’“Osservatorio Balcani, Caucaso e Transeuropa”, l’ex docente alla Columbia University di New York, Fred Abrahams, sostiene che “i due principali candidati hanno rispecchiato molti dei tratti distintivi del presidente statunitense: lo stile populista, il disprezzo per il principio della separazione dei poteri e i messaggi, carichi di emozioni e polarizzanti, che confondono il confine tra politica e spettacolo”. Aggiungiamo, secondo quanto riportato dal “Corriere della sera”, che nei giorni precedenti l’appuntamento elettorale una squadra di trumpiani – capeggiata dal co-campaign manager dell’elezione di Trump, nel 2024, l’exmarine Chris LaCivita – ha sostenuto Berisha nell’impresa disperata di far tornare al potere un uomo dal passato “problematico”, come abbiamo spiegato. Ma a nulla è valso rifare il verso a Trump, con lo slogan “facciamo l’Albania di nuovo grande”. Altro obiettivo di Trump è quello di far rimuovere Berisha e la sua famiglia dalla lista delle persone non grate negli Stati Uniti: una decisione presa dall’amministrazione Biden. Malgrado l’uomo preferito dall’inquilino della Casa Bianca sia appunto Berisha, anche con Rama, tuttavia, i contatti non mancano, concretizzandosi con piccoli e miserabili favori personali, come l’offerta dell’isola di Saseno a Jared Kushner, genero di Trump, al fine di trasformarla in un resort di lusso – a quanto pare una vera e propria passione per il sostenitore dell’assalto a Capitol Hill.
È ancora Abrahams a puntare l’indice contro il partito di governo: “L’esecutivo di Rama è caratterizzato da una corruzione profondamente radicata, che si manifesta sotto forma di grattacieli, gettando un’ombra sulle aspirazioni europee del Paese. I resoconti dei media e altri documenti hanno ripetutamente evidenziato l’esistenza dei legami tra l’establishment politico albanese e le reti della criminalità organizzata coinvolte nel traffico di stupefacenti e nel riciclaggio di denaro. Un’analisi pubblicata nell’aprile 2025 dalla Global Initiative Against Transnsational Organized Crime – precisa il ricercatore – ha messo in luce il ruolo della mafia albanese nel traffico globale di cocaina, in particolare attraverso il porto di Durazzo, un ruolo agevolato dalla corruzione che permea le istituzioni politiche, le forze dell’ordine e la magistratura albanese”.
Aggiungiamo che Rama, anche con l’appoggio di Soros, ha trasformato il Paese delle aquile in un feudo personale, facendo la guerra a Berisha con processi montati ad arte e tribunali politicizzati: un quadro che spiega la bassa affluenza alle urne. Tutto questo, peraltro, in un contesto economico estremamente favorevole. Secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale, come informa il sito del governo italiano InfoMercatiEsteri, “il Pil dell’Albania nel 2025 dovrebbe aumentare del 3,5%, confermando il trend di crescita ininterrotta dal 2015, eccezion fatta per il 2020, apice della pandemia da Covid-19. La recente approvazione della legge di Bilancio 2025 permette di riflettere sul percorso economico espansivo che il Paese continua a percorrere”. Non mancano dati confortanti riguardo agli investimenti pubblici: da una parte, 8,4 miliardi di euro di spese per investimenti (il 6,2% del Pil), e, dall’altra, il prosieguo del percorso di consolidamento fiscale con un debito pubblico in continua discesa (il 55,8% del Pil, dal 65,7% del periodo pre-pandemia). Anche l’inflazione, negli ultimi anni, è in calo, dal 6,7% nel 2022 al 4,8% nel 2023, al 2,6% nel 2024, per arrivare all’attuale 1,9% registrato nel mese di gennaio.
Come spesso avviene, tuttavia, a questi dati positivi non corrisponde un aumento del benessere della popolazione. L’Albania continua a essere il Paese più povero e con i salari più bassi d’Europa, superato solo dalla Moldavia e dal Kosovo. Un terzo della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà di 5,5 dollari al giorno. Particolarmente penalizzate le aree interne rurali e montuose, dove, in questi giorni di elezioni, le schede elettorali sono state portate a dorso d’asino. Insomma, a oltre trent’anni dalla fine del comunismo, un Paese che fatica, se si esclude la capitale Tirana, a costruire una convivenza moderna e solidale. Servirebbe un rinnovamento complessivo della classe politica, che però è ancora di là da venire.