
“Se otto ore vi sembran poche” è il famoso titolo di un canto di lavoro italiano, composto nei primi anni del Ventesimo secolo da un autore rimasto anonimo, ma che forse si potrebbe scovare tra qualche musicista amico o amica dei socialisti del vercellese, zona di elezione delle risaie, delle mondine e delle loro proteste novecentesche. Nata come canzone di una lotta locale, ebbe il destino di diventare un testo simbolo a cui fare riferimento nei momenti di maggiore conflitto del movimento operaio. Una canzone che fu adottata dalle lotte sindacali e dalle battaglie politiche socialiste e comuniste, e che echeggiava perfino la rivoluzione russa, ma che, più tardi, venne rilanciata anche dai movimenti del ’68 e del ’77. “Se otto ore vi sembran poche, provate voi a lavorare”.
Riprendendo questi echi lontani, sembrerebbe di parlare di epoche geologiche antichissime e di problemi ormai superati, messi definitivamente nelle teche della memoria. In fondo oggi, con l’avvento dell’automazione e dell’intelligenza artificiale, si lavora sempre meno e quella soglia delle otto ore giornaliere (dalle dodici precedenti) è ormai stata ampiamente abbattuta. Considerando l’attuale frammentazione e la complessità di mercati del lavoro che si sovrappongono con lo sviluppo impetuoso dell’individualizzazione dei rapporti con le aziende, quel mondo delle mondine e degli operai di fabbrica appare lontano. Ma davvero i problemi sono superati? Davvero il processo di riduzione dell’orario (a parità di salario) e quindi della progressiva “liberazione del lavoro” è andato avanti?
Sicuramente la situazione dei lavoratori dell’era della intelligenza artificiale è cambiata dagli albori del Novecento. Ma qualche dubbio sulla vittoria del movimento della riduzione dell’orario viene, se si guarda alla cronaca politica europea e alla situazione di un mercato del lavoro italiano sempre più precario, basato sul ricatto dei vari part time involontari e delle assunzioni a tempo (devi fare solo quello che dice l’azienda, pena il licenziamento). Una situazione che incide ovviamente anche sull’organizzazione del lavoro e dei tempi di lavoro e di vita. Dubbi che non si superano neppure guardando le statistiche e le previsioni su quello che sta per avvenire con la bufera scatenata dalla grande trasformazione.
Paradossalmente, in un’epoca in cui sempre meno persone lavorano (anche se questo è un dato da interpretare), il tema della riduzione dell’orario di lavoro appare più attuale che mai. Il lungo viaggio della riduzione dell’orario si era infatti interrotto negli anni Ottanta, con la vittoria delle politiche neoliberiste. Ora, quel processo che aveva caratterizzato tutta la storia dei movimenti dei lavoratori nel mondo, e in particolare le battaglie della sinistra in Europa, riparte dalla Spagna, dall’azione caparbia di una delle ministre del governo guidato dal socialista Pedro Sánchez, Yolanda Díaz Pérez (vedi qui).
Nei giorni scorsi, il governo spagnolo ha approvato una norma che prevede la riduzione dell’orario settimanale di lavoro da 40 ore a 37,5. La proposta di legge finirà davanti all’assemblea legislativa, dove però non è detto che trovi l’appoggio politico per la ratifica definitiva. Si tratta della seconda approvazione, dopo quella dello scorso 4 febbraio, poiché il testo, concordato dal ministero del Lavoro con i sindacati Ccoo e Ugt, ha già subito alcune modifiche. La legge voluta dalla vicepresidente e ministra del Lavoro Yolanda Díaz è al centro del patto di governo tra Psoe e Sumar, e, nei programmi, dovrebbe entrare in vigore il 31 dicembre 2025; visto però che non troverà condivisione piena, esiste già la possibilità che slitti per le piccole e medie imprese. “La nostra linea rossa è che vogliamo ridurre la giornata lavorativa a 12,5 milioni di lavoratori nel nostro Paese. Per il resto, tutto il margine di negoziazione è assolutamente possibile”, ha spiegato la ministra.
I popolari, che rappresentano le posizioni della Confindustria spagnola, ovviamente si metteranno di traverso, anche se la loro stessa base – secondo alcuni sondaggi pubblicati dai quotidiani spagnoli – si mostra molto più aperta al cambiamento. La legge è comunque indigesta alle imprese, ed è al tempo stesso l’ennesima dimostrazione del ruolo che può avere ancora lo Stato nazionale nell’epoca della post-globalizzazione basata sulle guerre dei dazi. Il mercato (in forma di globalizzazione o di protezionismo) da solo non risolve nulla; lo Stato nazionale ha ancora una sua funzione storica, come abbiamo cercato di analizzare su “terzogiornale” con vari approfondimenti, il più recente quello di Rino Genovese (vedi qui).
Oltre alla riduzione della giornata lavorativa, la legge proposta dalla ministra del Lavoro, prevede la modifica della rilevazione delle ore lavorative: sarà bandita la conservazione dei verbali di presenza cartacei, che diventeranno digitali, così da garantire la possibilità di accesso dell’Ispettorato. Ed è previsto anche un inasprimento delle sanzioni per le aziende non in regola con le nuove norme, mentre viene rafforzato il diritto alla disconnessione digitale.
Molti si sono meravigliati di questa campagna e della battaglia parlamentare del governo Sánchez. Ma si tratta di una notizia prevedibile e prevista. In Spagna se ne parla dal 2022, anno in cui venne organizzato a Valencia un incontro di livello internazionale con ministri di vari governi, sindacalisti, politici ed esperti. Tra questi – unico italiano presente al meeting – c’era Fausto Durante, allora sindacalista della Cgil nazionale, oggi segretario generale della Cgil in Sardegna. Durante è autore di un libro sull’argomento (edito da Futura, la casa editrice della Cgil), Lavorare meno, vivere meglio. Appunti sulla riduzione dell’orario di lavoro per una società migliore e una diversa economia (con una prefazione di Maurizio Landini). Egli fa riferimento a quel lontano evento di Valencia proprio per spiegare l’arretratezza del dibattito italiano su questi temi. In quel convegno – ci racconta – c’erano politici, studiosi, sindacalisti di tutte le tendenze politiche e di varie nazionalità. Mancavano solo i politici italiani e la delegazione era alquanto ridotta, visto che si basava su un unico rappresentante.
Eppure, il movimento per la riduzione del lavoro è come un flusso carsico: procede sotto traccia e riemerge negli esperimenti che si praticano a prescindere dalle legislazioni. Anche in Italia ce ne sono, sebbene siano poco conosciuti, come quelli di Luxottica e Lamborghini. All’estero (e quindi non solo in Spagna) si tenta di praticare la strada della settimana corta, perché le stesse imprese che hanno accettato di ridurre l’orario hanno poi dovuto ammettere i benefici in termini di qualità del lavoro e produttività. Ma esperimenti singoli, staccati da un contesto, non possono incidere su un cambiamento generale, valido per tutti o almeno per la maggioranza dei lavoratori, quei milioni di cui parla la ministra Díaz. Non bastano gli esempi virtuosi, non bastano neppure accordi territoriali o aziendali. Non basta il puro piano sindacale. Ancora una volta, c’è un grande assente: la politica, con la sua capacità di proporre riforme che riguardano tutti.