A che punto è la lotta degli autoproclamati “patrioti”, dei sovranisti all’italiana contro la tetra burocrazia europea e l’opprimente rigorismo finanziario anti-italiano dei cosiddetti Paesi frugali dell’Unione europea? Per una volta abbiamo l’occasione di guardare alla coalizione di governo guidata da Giorgia Meloni, che di partiti che si sono guadagnati questa etichetta ne annovera due, Fratelli d’Italia e Lega, non dal consueto punto di vista “di sinistra”, nelle sue varie declinazioni, ma da quello di un orgoglioso europeista liberale. Stiamo parlando di Mario Monti, economista, senatore a vita, alfiere dell’austerità, castigatore della spesa pubblica, eroe del risanamento alla rovescia, che durante il suo soggiorno a palazzo Chigi, tra l’autunno del 2011 e la primavera del 2013, propiziò una contrazione del prodotto interno lordo più marcata rispetto alla media europea, e una impennata del debito pubblico nazionale ma, secondo i suoi estimatori, riuscì almeno a migliorare l’equilibrio complessivo dei conti con l’estero. La sua frase forse più celebre la pronunciò, con malcelato orgoglio, quando fu intervistato dal network statunitense Cnn, in qualità di presidente del Consiglio. Suona meglio in inglese che in italiano: We are actually destroying domestic demand trough fiscal consolidation, ovvero “noi stiamo in realtà distruggendo la domanda interna attraverso il consolidamento fiscale”.
Mercoledì 9 ottobre, è stato un giorno di buonumore per Monti, che ha preso la parola in aula al Senato, nel corso della discussione sul Piano strutturale di bilancio (Psb) del governo Meloni per togliersi dalle scarpe qualche sassolino che evidentemente stava lì da anni. Il Psb è la versione rimodernata, ma non troppo, dei “compiti a casa” che ciascun Paese membro dell’Unione dovrà applicare per rientrare nei parametri di gestione della finanza pubblica, secondo le norme del nuovo Patto di stabilità. Inchioderà l’Italia, stando alle parole del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, a fare “tagli significativi” alla spesa per i prossimi sette anni.
Secondo Monti, il documento presentato dall’esecutivo “segna un passo in avanti” nella “comprensione da parte della cultura politica e dell’opinione pubblica del valore non totemico ma sostanziale di una certa disciplina di bilancio”. L’ex capo del governo non ha risparmiato i suoi strali all’indirizzo di Meloni, ai suoi occhi tardivamente convertita: dopo aver ricordato le posizioni di Giorgetti “spesso su una lunghezza d’onda opposta” rispetto a quella della Lega, ha sottolineato come “molto più nuova e da salutare con sincerità è la ferma presa di posizione del presidente del Consiglio che, nelle sue dichiarazioni in tutti questi mesi, ha detto cose di eminente buonsenso, tuttavia antitetiche a quelle che ella stessa usava dire, come molti esponenti delle opposizioni, nel corso degli anni precedenti”. Insomma, a Palazzo Chigi l’ex fustigatrice del rigore europeo è diventata montiana.
Sferzante ironia, tramutatasi in aperto dileggio quando Monti ha messo nel mirino un altro feroce critico di Bruxelles (almeno nei discorsi pubblici), il leader della Lega, Matteo Salvini; al quale ha dedicato buona parte del suo intervento, accusandolo di avere “perseguitato il dibattito politico italiano degli ultimi dodici anni, togliendo ad esso serietà e inserendovi insulti e calunnie quando non, di fatto, incitazioni a compiere atti lesivi della libertà individuale”, e invitandolo beffardamente a restare al suo posto nonostante la giravolta politica a cui è stato costretto accettando, per l’appunto, il Piano del ministro leghista Giorgetti. “Ebbene, oggi sarei preoccupato se in lui prevalesse – com’è ben possibile – il senso di una profonda dignità e di rispetto della coerenza, perché questo non potrebbe che condurlo alle dimissioni”. Poi, ricordando le reiterate promesse di Salvini di abrogazione della legge Fornero, ha rincarato la dose: “Si è trovato varie volte in posizioni di governo e questa volta credo che finirà, con un decoroso silenzio, per accettare la posizione del governo sulle pensioni”.
Insomma, santificato a suo tempo dall’affettuoso giornalismo politico italiano per la sua sobrietà, ma emarginato presto per il fallimento delle sue ambizioni da leader politico (in pochi ricordano la breve vita parlamentare della sua lista Scelta civica), Monti si è preso una non troppo sobria rivincita. E con le lenti del suo tagliente sarcasmo possiamo vedere dove si è collocato nella realtà il gruppo dirigente delle destre italiane, tornato al governo sull’onda del solenne avvertimento lanciato all’indirizzo delle istituzioni europee: “È finita la pacchia”. Per i sostenitori dell’austerità in salsa Ue, a quanto pare, non è ancora finita.