Vivono all’inferno, nel buio dell’anima, condannati a non vedere mai un raggio di sole. Il loro orizzonte è una porta di ferro, o un muro. Dovrebbero essere presi in cura da anime gentili, assistiti da personale medico e sanitario, con terapie farmacologiche e psicologiche. È uno scandalo la congiura del silenzio, la vergogna repressa di chi porta la responsabilità di non gridare al mondo l’ingiustizia. Nelle carceri italiane sono detenuti, anzi fatti prigionieri, quattromila malati mentali. Sono i “pazzi”, i “matti”, i “fuori di testa”.
Portano nelle celle il dolore, la solitudine e la disperazione delle loro famiglie. I drammi di una vita di sofferenze e di un mondo che li respinge, che li ha abbandonati. Povere e disperate le famiglie dei disabili mentali, costrette a denunciare le violenze dei loro cari e l’incapacità di uno Stato che, quarantasei anni dopo l’entrata in vigore della “180”, la legge Basaglia che chiuse i manicomi, deve dichiarare forfait.
La cronaca di questi giorni dal mondo delle carceri ci racconta storie di evasioni, rivolte, suicidi, manifestazioni di autolesionismo. I numeri lasciano senza parole. Prendiamo solo il 2024. Dal primo gennaio, 8.285 episodi di autolesionismo, 1.767 casi di rifiuto del vitto e delle terapie, 4.874 adesioni allo sciopero della fame.
È un inferno la vita quotidiana. Tra i 61.465 detenuti, si registrano – fino a oggi, nei primi otto mesi dell’anno – 416 ferimenti, 3.218 colluttazioni. E poi il gesto “estremo”, il suicidio, il tentato suicidio. Siamo già a 69 detenuti che si sono tolti la vita, 1.335 quelli che ci hanno provato. E un’altra decina sono le morti sospette sotto esame.
E lo chiamiamo vivere civile? Uno Stato, che dovrebbe proteggere i suoi cittadini, dichiara fallimento. C’è una involuzione delle istituzioni che trasforma la giustizia in vendetta. Mentre si creano nuove squadre di agenti penitenziari in grado di reprimere le rivolte nelle carceri, il governo Meloni introduce nuovi reati che puniscono le fragilità, le forme di dissenso civile, la socialità (”deviata”) delle nuove generazioni.
Dovrebbero pensare all’edilizia carceraria, per sanare il deficit di posti letto. Basterebbe ristrutturare le stanze del “pernottamento” e intere sezioni detentive chiuse per inagibilità. Oggi i detenuti sono 61.465, i posti letto 46.898, ma la capienza regolamentare scende a 51.282. Oltre 4.300 detenuti potrebbero occupare i letti nelle stanze inagibili.
Che livello di civiltà ci possiamo aspettare nel carcere minorile “Beccaria” di Milano: quatto rivolte quest’anno, tre evasioni negli ultimi giorni, e tredici secondini arrestati per torture? Non può essere vero. Non è possibile. Se le carceri italiane sono sovraffollate e violente, il nostro ministro di Giustizia, Carlo Nordio, ha la faccia tosta di affermare che “il fine rieducativo della pena e il reinserimento sociale dei detenuti sono un obiettivo primario del governo” (Roma, 10 settembre 2024). Ma davvero crede che sia questo il programma del governo? Piuttosto abolizione di reati dei “colletti bianchi”, separazione delle carriere dei magistrati, umiliazione delle toghe e compressione dei diritti dei detenuti.
Oggi ci sono 19 madri con 23 figli al seguito e 23.343 detenuti che devono scontare pene residue fino a tre anni. Quasi 20.000 di loro potrebbero usufruire pene alternative al carcere. Ma per il governo della destra sarebbe scandaloso rendere umana la pena e la vita nelle carceri. I numeri raccontano solo in parte l’inferno. Se diamo un nome e un cognome a questi numeri scopriamo che quasi un terzo dei detenuti, 17.000, sono tossicodipendenti. Sempre un terzo della popolazione carceraria (19.341, pari al 31,48%) è straniera. Solo in Lombardia più della metà dei detenuti sono stranieri. Il governo, nel suo carniere dei risultati, ha un misero numero, un centinaio di detenuti trasferiti a scontare le pene nelle carceri dei rispettivi Paesi.