Davanti alla sede del Dipartimento valorizzazione del patrimonio e politiche abitative di Roma, è nato un accampamento, soprannominato dai manifestanti “Borghetto Gualtieri”. Composto per la maggior parte da donne straniere con bambini piccoli, il nucleo di tende colorate, che si mischia ai tessuti variopinti dei loro vestiti, vuole ricordare al Comune l’emergenza abitativa. Attivo da decenni nel contestare le politiche di salvaguardia della cittadinanza sulla casa, il movimento per il diritto all’abitare chiede, in questi giorni, che siano messe in atto rapidamente le misure già approvate dal sindaco e dall’assessore Tobia Zevi, con il Piano strategico.
A un anno dall’approvazione, infatti, il Piano strategico per il Diritto all’abitare 2023-2026 di Roma, siglato nel luglio 2023, ancora non è stato messo in atto. Con l’obiettivo di “rafforzare le politiche dell’amministrazione per garantire a tutte e tutti – in particolare agli aventi diritto in materia di edilizia residenziale pubblica – di disporre di una casa o di non perdere quella dove abitano”, come si legge sul sito del Comune, il piano intende recuperare gli immobili in disuso per destinarli ad abitazioni popolari. Il sindaco Gualtieri ha assicurato una spesa di duecento milioni di euro, per dare un tetto ai nuclei familiari più fragili. Da allora, però, si è mosso ben poco – sostengono i manifestanti.
“Oggi siamo qui perché è necessario far capire all’amministrazione comunale che vogliamo vedere i frutti delle direttive sulla casa” – ha detto, durante il presidio, Paolo Di Vetta, dirigente dell’Unione sindacale di base: “Non c’è un intervento del governo a sostegno delle amministrazioni. Il ‘salva casa’ di Salvini guarda a chi è proprietario, ma non a chi un posto dove vivere non ce l’ha. Invece di occuparsi di politiche abitative, Salvini si occupa di costruzioni, come il ponte di Messina, o come il valico per l’alta velocità della Tav” – spiega ancora Di Vetta –, mentre chi ostacola e protesta contro le grandi opere, che minano l’ambiente sociale e gli ecosistemi dei luoghi che le attraversano, rischia fino a venticinque anni di carcere, questo dice la nuova proposta della Lega, l’emendamento Iezzi, che punta all’introduzione di un nuovo comma all’articolo 339 del Codice penale. Chi manifesta per i diritti delle persone e dell’ambiente, può essere perseguito. Si interessano solo di chi va a votare, che è ormai solo il 50% degli italiani”.
Si chiede poi che sia abrogato l’articolo 5 del decreto Renzi-Lupi del 2014 sulla residenza. Chi occupa un immobile, infatti, non ha più diritto a registrare la residenza nel luogo in cui vive: il che significa che non può entrare in graduatoria per ottenere un alloggio popolare, non può richiedere l’allaccio ai servizi pubblici, come acqua, luce e gas, e soprattutto non può accedere all’assistenza sanitaria municipale. La norma ha acuito le situazioni di marginalità sociale di persone che si trovavano già in condizione di precarietà.
Per chi è costretto ad accettare canoni di locazione in nero, vive di ospitalità o in situazioni non formalizzate, e perciò non può fornire all’anagrafe un regolare contratto per vedersi riconosciuto il diritto alla residenza, l’invisibilità amministrativa diventa un macigno. Per chi è migrante, inoltre, costituisce spesso un ostacolo alla regolarizzazione. La residenza anagrafica è considerata un requisito per ottenere permessi di soggiorno, contratti lavorativi e ricongiungimenti familiari. “Uomini, donne, bambini che vivono in macchina” – dice una donna al megafono durante il presidio. “È in pericolo anche il diritto all’istruzione, oltre che quello sanitario. Bisogna trovare una soluzione agli sfratti”.
L’emergenza abitativa c’è ovunque, in Italia come all’estero. È stata già analizzata la questione da Paolo Andruccioli (vedi qui), e Agostino Petrillo ha raccontato il caso eclatante di Lisbona, in cui il processo di gentrificazione è stato rapidissimo rispetto alle altre città europee (vedi qui). Le città europee si stanno uniformando sempre più al modello degli Stati Uniti, in cui nascono interi sistemi urbani di tende e case di fortuna accanto a palazzi di lusso. In Europa, il diffondersi del modello Airbnb ha ulteriormente peggiorato una situazione già al limite. A Roma su Airbnb ci sono venticinquemila appartamenti offerti in affitto, e in tutta Italia sono 650mila le case sui portali del turismo. Il 2025, con il Giubileo, potrebbe essere un anno “drammatico per gli abitanti e ricco per gli speculatori edilizi” – si legge in un comunicato dei manifestanti.
La maggior parte delle persone senza casa sono lavoratori. A Roma il 42,2% dei cittadini guadagna meno di quindicimila euro l’anno, riporta la Caritas nel suo Rapporto 2023 sulle povertà, solo le spese legate alla casa riguardano tra il 40 e il 50% del reddito di un nucleo familiare. “Non è accettabile per noi il fatto che il Comune citi le quarantaquattro abitazioni popolari date alle persone in graduatoria, o sostenga di avere affrontato la questione Porto fluviale o quella di Metropoliz” (un ex salumificio occupato, ndr) – dice Paolo Di Vetta –, “non sono risposte adeguate alle migliaia di persone senza casa”.
L’amministrazione comunale porta come fiore all’occhiello la vicenda del Porto fluviale, in zona Ostiense. Lo stabile, occupato dal 2001, è in stato di riqualificazione. Durante i lavori per ristrutturarlo, che dureranno almeno fino al 2026, sono state fornite delle abitazioni sostitutive nelle periferie romane a tutte e a tutti gli ex abitanti, con la promessa di tornare nelle loro case, stavolta formalmente assegnate, e non in maniera abusiva. Quest’esempio virtuoso è finanziato con i fondi del Pnrr, perciò ha avuto una spinta a livello europeo.
Tra gli immobili citati all’interno del Piano strategico, ci sono quelli di via Santa Croce in Gerusalemme, 55-59, “Spin Time” e via Prenestina, 913, il “Maam – Museo dell’altro e dell’altrove”, all’interno di Metropoliz, presentati come “modelli di sperimentazione delle nuove politiche abitative e di buone pratiche per lo sviluppo di interventi di recupero”. Entrambi i luoghi sono da tempo punti di riferimento per la città, luoghi di aggregazione e spazi culturali riconosciuti anche a livello europeo: sono perciò oggetto di particolare cura da parte della prefettura. Gli altri stabili, quelli fuori dai riflettori, vengono invece liberati con il favore delle tenebre, come l’ex scuola Sibilla Aleramo, che per ben due volte è stata sgomberata per essere lasciata vuota e nell’incuria.
I manifestanti denunciano l’esistenza di molti spazi comprati dal Comune per sanare la problematica, ma lasciati inoccupati per questioni burocratiche. Durante il presidio, sono stati citati più di cento appartamenti acquistati dall’Inps e poi lasciati incustoditi. Il rischio è che incappino nel circolo vizioso delle occupazioni: gli spazi inutilizzati vengono illegalmente occupati, rimangono in una situazione di scarsa manutenzione, per essere infine sgomberati senza venire riassegnati come case popolari. E durante il presidio sono state oggetto di critica anche le scelte del governo in materia di spesa per gli armamenti. “I trenta miliardi per la guerra possono essere utilizzati per sanare la questione abitativa che lascia in strada migliaia di donne, bambini, giovani” – ha detto una manifestante al megafono.
Foto di Patrizia Montesanti