Quante città possono ospitare le Olimpiadi? Quante l’Expo mondiale? Quante possono essere sede effimera o permanente di organizzazioni sovranazionali? Domande fatue, che pure ci vengono continuamente poste quando si tratta di fare una scelta. Il fallimento della candidatura di Roma per l’Expo 2030 – vinta da Riad – ha colpito molti. Non tanto per la meccanica della votazione, per le ragioni della scelta vistosamente economiche, per lo schiaffo alla nostra capitale. Ma perché porre sullo stesso piano Riad e Roma offre un’immagine singolare dei nostri tempi. Roma e Riad, cioè la storia e il petrolio.
Teniamoli insieme, questi due fili: la storia e il petrolio. Alla fine degli anni Settanta, i due fili conquistarono prepotentemente il dibattito pubblico. Grazie a tre intellettuali di gran pregio. Il soprintendente archeologico Adriano La Regina, l’urbanista Italo Insolera, il giornalista Antonio Cederna, preceduti da un approfondito studio di Leonardo Benevolo sull’area archeologica centrale. Il soprintendente La Regina lanciò l’allarme: lo smog e le piogge acide stanno distruggendo i monumenti di Roma, corrodendo i marmi antichi. Tanto più nell’area più preziosa, quella del Colosseo, dei Fori, delle colonne Antonina e Traiana. A lavorare sull’assetto urbanistico della zona, Italo Insolera, che suggerì di non considerare i monumenti antichi “quinte”, per quanto di pregio, della vita urbana ma tessuto storico, parte viva della città: “Dal Campidoglio e dalla Torre delle Milizie fino a Frattocchie si stende forse la più grande area archeologica del mondo”. Antonio Cederna si schierò subito: via dei Fori imperiali non poteva essere un’autostrada urbana a sei corsie nel cuore della città, bisognava restituire unità al “complesso monumentale più significativo che esista”, come sosteneva La Regina, ancora sepolto sotto l’asfalto. Intanto, il traffico continua a rombare su via dei Fori.
Sindaco di Roma era Giulio Carlo Argan, storico dell’arte, sostituito poi da Luigi Petroselli. Argan decise di cominciare dalle domeniche a piedi. Vietato il traffico nella grande strada, ecco una passeggiata guidata da storici dell’arte, archeologi, urbanisti: un appuntamento che si ripeterà ogni domenica. Qui si impara a vedere la zona dei Fori, a capire cosa ci sia sotto la strada, i Fori di Cesare, di Nerva, Augusto, Vespasiano e Traiano. E poi Palazzo Rivaldi, il Tabularium, il Colle Oppio e le Sette Sale, il Colosseo e la Domus Aurea. Fino al Circo Massimo e più in là, così da riconnettere l’area dell’Appia Antica fino all’ultima periferia. Fu una grande manifestazione di popolo, la riappropriazione dal basso di uno spazio maltrattato e male usato, una grande lezione collettiva di cultura en plein air.
Intanto, un illuminato ministro dei Beni culturali, Oddo Biasini, finanziava con 180 miliardi il più grande restauro del patrimonio storico-archeologico di Roma. Il filo della storia si è arricchito, è diventato importante, ma il filo del petrolio è resistente. Nella fine di secolo è chiaro che la civiltà del petrolio è a rischio: il petrolio prima o poi terminerà, la civiltà dell’auto deve cercare altri carburanti, altre tecnologie. Ma in Italia la Fiat domina l’economia, e, invece di cercare strade nuove, difende l’esistente. Trascinando con sé gli iper-realisti che sostengono sia impossibile fermare il traffico in arrivo a piazza Venezia, chi vuole pedonalizzare l’area centrale è un sognatore. La morte del sindaco Petroselli, purtroppo, fermerà a lungo quel sogno.
Non c’erano solo quei due fili a intrecciarsi e a confliggere. Ce n’era anche un altro: il fantasma di Mussolini. Fu Mussolini a volere gli sbancamenti della città antica (tra cui l’eliminazione dell’intera collina Velia) così da costruire una strada per marce e parate militari sullo sfondo del Colosseo – e pazienza se le grandi piazze dell’antichità venivano nascoste dall’asfalto. Una pattuglia di nostalgici, i romanisti, si schierò a difesa della stradona littoria, senza esitazioni. Così quella strada, ancora per anni, è tornata a ospitare la sfilata del 2 giugno, carri armati e sistemi di tiro sullo sfondo di statue e colonne.
È vero, intanto le benzine sono un po’ più verdi, lo smog meno devastante. Ma il cambiamento climatico, in questo inizio secolo, ha duramente contestato la cultura del petrolio, che la scomparsa della Fiat, venduta a spezzatino, ha lasciato senza difensori. La grande strada è stata pian piano declassata, usata quasi solo dal trasporto pubblico e dalle auto di servizio della politica. Eliminare qualche corsia sarebbe logico e indolore.
Scomparso l’equivoco del traffico, il progetto Fori è tornato in campo. Una commissione, insediata dal sindaco di Roma Gualtieri e guidata da Walter Tocci, ha studiato un progetto di riqualificazione che propone una riforma della viabilità e del trasporto pubblico, avvia un concorso di idee per i percorsi e l’arredo, e finanzia questa prima tranche di lavori con 282 milioni di euro, raccolti tra i fondi per il Giubileo, quelli del Pnrr e l’ordinario bilancio comunale. Un piano ambizioso, capace di suggerire un paesaggio ricco e nuovo, riportando non solo via dei Fori ma tutta l’area centrale al centro della vita pubblica.
Perché regalare ai turisti l’uso dei tesori storici? Il turismo viene considerato un petrolio moderno, e in qualche modo è persino vero. È un modo d’uso rapace della città, arricchisce solo l’industria del settore: albergatori, ristoratori, negozianti e tassisti. Quel che resta alla città non è che la modesta tassa di soggiorno e il lucro dei bagarini che vendono a prezzi esosi i biglietti del Colosseo o dei Fori. In cambio, i pullman turistici intasano le strade, fermano in sosta selvaggia e a volte in doppia fila. Non è questo il modo di intendere il turismo che offre speranze alla Caput mundi.
Invece di pensare a uno sviluppo per grandi eventi, Expo compreso, bisognerebbe preservare quello che di prezioso c’è già, e che non si riesce a vedere. Per questo, è innovativo il punto di vista eccentrico del progetto di riqualificazione del centro archeologico monumentale di Roma, il Carme. Un lavoro che durerà anni. Nella prima tappa del progetto, si rimette a giorno la zona tra piazza Venezia, le Terme di Caracalla, il Colle Oppio e il Tevere, molto più dei Fori. Ecco, il Tempio della Pace, pensateci. Affiancato da altre due grandi piazze archeologiche: l’una ai piedi della Corte dei conti, l’altra verso il Foro repubblicano e la Basilica di Massenzio. E una grande passeggiata archeologica che abbracci tutti i monumenti: Fori, Campidoglio, Colosseo, Celio, Villa Rivaldi, Circo Massimo, Bocca della Verità. E ancora: Arco di Giano e Velabro, il palazzo di via dei Cerchi come sede del nuovo Antiquarium romano.
Una volta inaugurata la fermata della metro C di piazza Venezia, la pedonalizzazione dell’area sarà possibile. Per gli accessi, ecco l’archeotram, che porterà turisti e cittadini davanti ai più prestigiosi monumenti, da Piramide passando per il Circo Massimo, il Celio, il Palatino, il Colosseo, la Basilica di San Clemente, le Mura Aureliane di San Giovanni, Porta Maggiore, Horti Imperiali a piazza Vittorio, le Terme di Diocleziano e il Museo archeologico nazionale. E un treno urbano da Termini porterà nel cuore dell’Appia antica, alla stazione di Torricola, per chi vorrà seguire le orme del grand tour ottocentesco.
Servirà un grande sforzo di progettazione e allestimento degli spazi, di architettura del verde, di riqualificazione dei monumenti, di studio e di cura. Ma vale la pena ricostituire una zona così preziosa e ricca, una serie di piazze e di paesaggi che, in questo modo, nessuno ha mai visto. Un lavoro da rendere orgogliosi i romani della loro città, gli italiani della loro capitale. Così da rendere forte il filo della storia, debole quello del petrolio, anche se compensato con i paradisi fiscali. Riad faccia pure l’Expo, una storia così non ce l’ha davvero.