Il 20 agosto Bernardo Arévalo de León ha vinto il ballottaggio nelle elezioni presidenziali guatemalteche, con un forte messaggio contro la corruzione e l’impunità. La sua vittoria ha prodotto un diffuso sentimento di timore nelle élite politiche, economiche e militari che, grazie a quello che è conosciuto come pacto de corruptos, hanno tradizionalmente detenuto il potere nel Paese. I guatemaltechi, per la prima volta dall’inizio della transizione democratica iniziata nel 1985 dopo trentasei anni di guerra civile, hanno potuto vivere l’evento miracoloso dell’affermazione di Bernardo Arévalo e della sua vice Karin Herrera. Ma con il suo arrivo il deputato progressista minaccia lo status quo, al punto da rendere possibile che il trasferimento del potere tra establishment e nuovo blocco politico non abbia luogo, e che la volontà popolare emersa dalle urne non sia rispettata.
Già all’indomani del primo turno, quando Arévalo è stato la sorpresa delle elezioni, e ancor più dopo il ballottaggio, l’establishment ha fatto ricorso a trucchi giudiziari tesi a metter fuori legge il Movimiento Semilla e i due eletti alle massime cariche del Paese, giungendo alla minaccia alle loro vite, nel palese tentativo di impedire l’avvio della nuova presidenza, fissata per il prossimo 14 gennaio. È emersa l’esistenza di un Plan Colosio, concepito per assassinare Arévalo: cosa che ha spinto il movimento a chiedere misure cautelari davanti alla Corte interamericana dei diritti umani, concesse il 24 agosto. Allo stesso tempo, il partito Une non ha ancora riconosciuto la sconfitta e ha messo in discussione la regolarità della consultazione.
I mesi che mancano, da qui all’investitura, saranno cruciali non solo per il futuro democratico guatemalteco; peseranno anche sui destini dell’intera area mesoamericana. Il successo di Arévalo è stato consentito, in un primo momento, dal voto dei giovani e degli abitanti delle aree urbane di alcune importanti città, ampliandosi e diversificandosi a livello nazionale nel ballottaggio, quando si è saldato con quello dei popoli indigeni. Questi – maya, garífuna, xinka e creoli – costituiscono il 43,75% della popolazione. La stessa Thelma Cabrera – dirigente del Comité de desarrollo campesino (Codeca), candidata esclusa con un pretesto giudiziario dalla corsa presidenziale per il Movimiento para la liberación de los pueblos – è passata dall’astensionismo del primo turno, al sostegno alla battaglia di Arévalo. E, in occasione delle manifestazioni di piazza che agitano il Paese, ha chiesto “il rispetto dei diritti della volontà del popolo nelle elezioni”, auspicando forti riforme sociali in un Paese distrutto da decenni di politiche neoliberiste.
Quello di Arévalo è un programma teso anzitutto a ripristinare la reciproca indipendenza dei tre poteri dello Stato per il conseguimento del bene comune, ed è riuscito a mobilitare collettivi sia urbani sia rurali, essenziali per la difesa della democrazia. Come ha dichiarato Ana María Méndez, direttrice per l’America centrale del Washington Office on Latin America (Wola) alla Bbc, il nuovo presidente assumerà le redini di una nazione che si trova in uno stato “molto complicato”, precisando di vedere il suo “come un governo di transizione, per ripristinare i valori democratici che sono stati infranti in Guatemala”.
Dalle ultime elezioni, il Movimiento Semilla esce rafforzato nel Congresso della Repubblica, passando da 6 a 23 deputati. Risulta così come terza forza politica, dopo Vamos, il partito dell’attuale presidente Alejandro Giammattei, e dopo Une, di Sandra Torres, sconfitta al ballottaggio. Il voto non ha riguardato solo la presidenza, ma anche il rinnovo delle amministrazioni locali, rimaste per lo più nelle mani dei partiti di opposizione. Il che renderà ancora più debole il futuro governo centrale.
Arévalo ha denunciato un tentativo di “colpo di Stato” per impedirgli di entrare in carica il prossimo gennaio; e ha indicato direttamente nel procuratore generale, Consuelo Porras, il principale ideatore. In ambito giudiziario, dopo la sua vittoria, sono state accentuate infatti le azioni legali per indebolire la legittimità di una forza politica che promette di combattere la corruzione, una realtà che – si è calcolato – divora il 30% del bilancio pubblico. Le valutazioni più pessimistiche vedono possibile perfino l’annullamento delle elezioni, o che il nuovo Congresso nomini un governatore provvisorio al posto di Arévalo e della sua vice, in qualche modo messi fuori gioco attraverso un procedimento giudiziario, in un Paese che nella sua recente storia ha prodotto numerose sentenze che lo hanno distrutto come Stato di diritto.
Dal canto suo, il Ministerio Público di Rafael Curruchiche ha condotto, in passato, diverse indagini contro gli oppositori e gli operatori della giustizia anticorruzione costretti all’esilio. Come già il procuratore generale Porras, Rafael Curruchiche è stato inserito nellaLista Engel degli Stati Uniti come corrotto e antidemocratico. È stato lui ad aprire un’indagine contro Semilla per la presunta falsificazione di firme che sarebbe all’origine del movimento scaturito dalle mobilitazioni cittadine del 2015. I suoi dirigenti sostengono che si tratti di un’accusa infondata; ma il procedimento ha portato alla sua sospensione temporanea, annullata dal Tribunale supremo elettorale che, in questa lunga vicenda, si è schierato a difesa della democrazia. Successivamente, il consiglio del Congresso – composto da alleati del presidente Alejandro Giammattei – ha disconosciuto il gruppo parlamentare del Movimiento Semilla e ha dichiarato i suoi deputati indipendenti. Pochi giorni dopo, il Tribunale supremo elettorale ha sospeso anche questa decisione fino al 31 ottobre, quando il processo elettorale sarà terminato. Il futuro del partito potrebbe essere chiarito dalla Corte costituzionale, dove si sta valutando un ricorso contro la sua cancellazione.
Se lo scioglimento del gruppo parlamentare di Semilla non fosse rientrato, i suoi deputati sarebbero stati impossibilitati a presiedere e a ricoprire posizioni in commissioni chiave del Congresso, ad avere consiglieri o a partecipare all’agenda legislativa della Camera. E senza gruppo parlamentare – se Arévalo alla fine riuscirà ad assumere la presidenza –, egli si troverebbe in difficoltà anche nel cercare solo di promuovere le riforme al Congresso. Questo renderebbe ancora più difficile l’attuazione di qualsiasi possibile agenda riformista, e renderebbe ancora più vulnerabile non solo lui e la sua vice, ma gli stessi singoli membri del partito. Il non riconoscimento del gruppo di Semilla è anche una strategia del partito filogovernativo, e dei suoi alleati, per fare pressione sul presidente eletto e negoziare con loro.
Di certo, c’è la possibilità che Semilla vinca le controversie presentate contro il partito, riuscendo a entrare nel Congresso come gruppo politico, così come è possibile che Arévalo e Herrera entrino in carica. Se questo accadrà, l’azione del governo avrà comunque vita difficile a causa di un Congresso in mano all’opposizione e da una burocrazia corrotta funzionale agli interessi dell’establishment. Per non parlare del grande peso esercitato da una profonda disuguaglianza economica, che sarà difficilmente modificabile in un solo mandato e senza il sostegno parlamentare. In questo panorama minaccioso, diversi settori della popolazione hanno iniziato a prendere una posizione di forte rifiuto nei confronti di coloro che vorrebbero impedire ad Arévalo di assumere la presidenza.
Dalle campagne sui social network, alle proteste dei cittadini e alla raccolta di firme, la popolazione chiede anche le dimissioni di Consuelo Porras, Rafael Curruchiche, e del giudice penale Freddy Orellana; mentre non è mancata la vigilanza della comunità internazionale e delle organizzazioni che hanno osservato le elezioni, come l’Organizzazione degli Stati americani (Osa), l’Unione europea e gli Stati Uniti, che hanno inflitto nuove sanzioni contro chi è coinvolto in casi di corruzione sistematica. Tutti hanno espresso preoccupazione per i tentativi di disattendere la volontà popolare, e chiedono che sia assicurato un processo di transizione pacifica.
Da quanto esposto, risulta chiaro che è necessario che la comunità internazionale continui a mostrare il suo impegno a favore del rispetto della volontà del popolo guatemalteco. Ieri, dopo una settimana di proteste in cui migliaia di cittadini hanno difeso la democrazia, il parlamento europeo ha espresso la sua “preoccupazione” per le “misure legali oltre il processo elettorale” in Guatemala, che cercano di evitare, a gennaio, l’assunzione dei poteri da parte del presidente eletto. Martedì 19 settembre, i manifestanti avevano interrotto importanti strade in varie parti del Paese. Il vicecapo della Divisione per il Messico, l’America centrale e i Caraibi del Servizio europeo di azione esterna, Duccio Bandini, ha dichiarato che “tutto ciò che sta accadendo riflette le pressioni, il controllo di una parte dell’apparato giudiziario da parte di individui esterni, di élite esterne”.
La settimana scorsa, la plenaria del parlamento europeo aveva criticato i tentativi, da parte soprattutto del Ministerio público, di “invertire il risultato” delle elezioni in cui Arévalo ha vinto con una “chiara” affermazione. In particolare, ha denunciato le incursioni della Fiscalía especial contra la impunidad negli uffici del Tribunale superiore elettorale, così come l’apertura di scatole con voti espressi nelle elezioni generali e il sequestro di materiale informatico relativo alla trasmissione dei risultati preliminari, poiché questo viola l’integrità del processo elettorale. I deputati europei hanno anche espresso preoccupazione per gli arresti arbitrari di procuratori, giudici, giornalisti indipendenti, difensori dei diritti umani ed ex funzionari della Commissione internazionale contro l’impunità in Guatemala.
In seguito a ciò, il 13 settembre, il governo guatemalteco ha ufficializzato la sospensione del processo di transizione al segretario generale dell’Osa, Luis Almagro, per decisione del presidente eletto, Arévalo, giunto alla conclusione che non esistevano le condizioni per continuare, a causa delle azioni del Ministerio público contro i risultati elettorali. Finché proprio ieri Arévalo ha inviato una lettera al presidente, con la proposta di cambiare la metodologia per il processo di transizione, riprendendo le riunioni per il trasferimento di informazioni, su richiesta del segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani. “In risposta al suggerimento del segretario generale dell’Osa, Luis Almagro, il presidente eletto, Bernardo Arévalo, ha fatto una proposta metodologica attraverso una lettera inviata al presidente Giammattei, per riprendere le riunioni di lavoro settoriali”, ha riferito il team di stampa del futuro capo dello Stato. Secondo la proposta, le riunioni riprenderanno lunedì 25 settembre. “Il team di transizione del binomio eletto (Arévalo e Karin Herrera)” – conclude il comunicato – “è fiducioso che, fintanto che la tensione generata (…) non sarà risolta attraverso le azioni legali intentate, si possa andare avanti con lo scambio delle informazioni amministrative necessarie”. Da parte sua, il presidente Giammattei all’assemblea generale dell’Onu ha criticato una presunta “interferenza internazionale” durante il processo elettorale, ma ha assicurato che consegnerà il potere il prossimo gennaio a Bernardo Arévalo. Insomma, il braccio di ferro continua, con colpi di scena quotidiani.
Se Bernardo Arévalo e Karin Herrera assumeranno le loro cariche il 14 gennaio, se non verranno in qualche modo resi inoffensivi, il passo successivo dovrebbe portarli a promuovere ampi patti sociali per una lotta contro la corruzione e l’impunità, contando sulla mobilitazione della gente e sulla speranza di cambiamento che ha coinvolto larghi strati della società. Grazie a ciò, si riuscirebbe finalmente a mettere in atto riforme a favore del benessere sociale, in particolare per i settori più svantaggiati. Politiche tese a colmare i divari economici, etnici, di genere, in un Paese che, secondo i dati dell’Onu, ha un tasso di povertà del 61.6%.
Se l’esperimento fallisse, o se non fosse imboccata la strada che dia risposte alle aspettative e chance al dialogo sociale, il Guatemala potrà vivere forti momenti di protesta, favorendo così l’esodo di molti che, persa la speranza in un futuro migliore, cercherebbero una via d’uscita nell’emigrazione al di là del Rio Bravo. Bernardo è figlio di Juan José Arévalo Bermejo, il cui mandato presidenziale è ricordato nel Paese come il periodo della Primavera. Il sostegno popolare all’interno, e quello internazionale – quest’ultimo auspicabilmente anche sotto forma di aiuti economici al processo in atto –, pur nella condizione difficilissima in cui il governo si troverà a operare, permetterà nel prossimo futuro di capire se in Centro America, oltre a quella dell’autoritarismo dei Bukele e degli Ortega, è praticabile una via che conduca a una “nuova primavera” democratica.