Formalmente un successo, ma in realtà una “vittoria vuota”, che rischia in prospettiva di diventare una vera e propria vittoria di Pirro per il fronte di centrosinistra e ambientalista del parlamento europeo. È il risultato del voto storico con cui la plenaria ha respinto, il 12 luglio a Strasburgo, il tentativo del centrodestra (Ppe, conservatori dell’Ecr, estrema destra del gruppo Id, con l’appoggio di un terzo dei liberali di Renew) di affondare la molto controversa proposta di regolamento Ue sul “Ripristino della natura”.
Il regolamento prevede sostanzialmente di dare attuazione agli impegni presi dall’Unione europea nella Conferenza di Montreal del dicembre scorso sulla biodiversità. Secondo la proposta originaria della Commissione europea, gli Stati membri dovrebbero impegnarsi a ridurre il declino della biodiversità ripristinando almeno il 20% degli habitat ed ecosistemi naturali degradati sul proprio territorio entro il 2030, mirando ad arrivare poi al 100% entro il 2050.
La proposta della Commissione, presentata nel giugno 2022, prevede che gli Stati membri elaborino dei “Piani nazionali di ripristino” per il conseguimento degli obiettivi, che includono anche una inversione della tendenza al declino delle popolazioni di api e di altri impollinatori entro il 2030, la tutela e l’incremento degli spazi verdi urbani, con una copertura arborea minima del 10% nelle città, l’incremento della biodiversità negli ecosistemi agricoli e forestali, l’aumento delle popolazioni di farfalle e di uccelli, il ripristino delle torbiere drenate ad uso agricolo, degli habitat marini e delle zone umide, e l’eliminazione delle barriere fluviali, con l’obiettivo di ripristinare 25.000 km di fiumi a flusso libero entro il 2030.
La vittoria di Pirro, secondo la definizione proverbiale usata in tutte le lingue, è quella riportata in una battaglia al prezzo di perdite così pesanti da far perdere poi la guerra.
“Vittoria vuota” è invece il termine che ha usato il presidente del Ppe, il tedesco Manfred Weber, maggior artefice della svolta a destra e anti-ambientalista del suo gruppo, durante la conferenza stampa in cui è apparso, dopo il voto di Strasburgo, accanto alla sua vice, l’europarlamentare olandese Esther de Lange, esperta di agricoltura e ambiente. Una conferenza stampa in cui i due presunti sconfitti apparivano in verità più che soddisfatti, e per niente delusi. Tanto da rendere credibile l’ipotesi che, in realtà, il dramma andato in scena al parlamento europeo nelle ultime settimane, con la polarizzazione estrema tra centrodestra e centrosinistra, radicalmente contro o a favore del testo sul ripristino della natura, sia stato tutto montato ad arte, in modo abilmente machiavellico, per arrivare al risultato oggi sotto gli occhi di tutti: un testo svuotato di quasi tutti i suoi obiettivi vincolanti, e sottoposto a nuove condizioni che ne renderanno molto difficile l’attuazione, e per di più appoggiato proprio dal fronte ambientalista, come se quelle fossero le sue posizioni.
I verdi, la sinistra, i socialisti e democratici hanno infatti votato a favore di un emendamento presentato dai liberali di Renew che riproduceva quasi integralmente il testo della posizione negoziale, fortemente annacquata rispetto alle ambizioni iniziali, che era stata approvata a maggioranza qualificata dai ministri dell’Ambiente dell’Ue, il 20 giugno, perché hanno considerato che, nonostante limiti e insufficienze, rappresentasse comunque un compromesso accettabile, senza il quale si rischiava seriamente di non avere nessun testo legislativo, e di dovere aspettare almeno altri tre anni per averne uno.
Come mai i gruppi politici del centrosinistra si sono ritrovati in questa trappola, costretti a votare un testo che ci si sarebbe aspettato fosse sostenuto piuttosto dagli avversari del centrodestra anti- ambientalista? Perché il Ppe, con un’alleanza di ferro con i conservatori dell’Ecr (il gruppo di Fratelli d’Italia) ha giocato benissimo le sue carte, ritirandosi dal negoziato sulla proposta di regolamenti nelle commissioni europarlamentari competenti, e assumendo una posizione estrema, irremovibile, con la richiesta di rigettare il testo perché inemendabile, e chiedere alla Commissione di presentarne un altro più realistico e meno oneroso per il “mondo rurale”.
Alla resa dei conti, quando la plenaria ha votato la proposta di rigetto, il fronte anti-ambientalista ha mancato l’obiettivo per soli 12 voti (312 a favore, 324 contrari, 12 astensioni). La proposta di regolamento è stata poi sottoposta al voto di 136 emendamenti, molti dei quali sono passati, per arrivare al voto finale del testo modificato: 336 a favore, 300 contrari, 13 astensioni. In questi numeri c’è la sconfitta formale dell’alleanza di centrodestra. Ma quando si va a guardare nel mezzo tra le due votazioni, agli emendamenti che sono stati approvati, si capisce perché è una sconfitta solo apparente.
In realtà, il fronte anti-ambientalista ha vinto su tutta la linea, riuscendo a far passare in plenaria una serie di emendamenti (molti dei quali erano stati bloccati durante il negoziato precedente nelle commissioni europarlamentari) presentati dal gruppo Ecr o da gruppi di eurodeputati del centrodestra, con la firma immancabile di Esther de Lange, che hanno stravolto l’articolato del regolamento, compromettendo gravemente la possibilità di raggiungerne gli obiettivi.
Diversi emendamenti votati dalla plenaria di Strasburgo riducono o rimuovono del tutto il carattere vincolante di certi target per l’arresto del degrado o il ripristino degli habitat naturali (per esempio sostituendo la frase “gli Stati membri assicureranno” con la formula “gli Stati membri cercheranno, ove possibile, di predisporre misure” per conseguire gli obiettivi).
Ma soprattutto, ne sono passati due che chiedono di introdurre dei “freni d’emergenza”, come ha orgogliosamente rivendicato de Lange in conferenza stampa, che bloccheranno l’applicazione del regolamento se si verificano certe condizioni: 1) nel caso in cui manchino finanziamenti aggiuntivi rispetto ai fondi della Pac (Politica agricola comune) e della Politica comune della pesca (emendamento 134, approvato con 349 voti contro 290 e 13 astensioni); 2) se, a causa degli obblighi della legislazione sulla natura, si registrasse una riduzione dei permessi di costruzione e ristrutturazione edilizia, in particolare nel settore delle case popolari, e dei permessi relativi ai progetti per le installazioni di energia rinnovabile; 3) nel caso in cui i prezzi alimentari aumentassero del 10% in un anno, o la produzione agroalimentare si riducesse del 5%, sempre per un periodo minimo di un anno (emendamento 131, approvato con 337 voti a favore, 302 contrari e 15 astenuti).
Il testo del regolamento dovrà ora essere negoziato con il Consiglio Ue e la Commissione europea per arrivare alla versione definitiva, e può darsi che alcuni degli emendamenti più estremi non passino; ma il fronte di centrodestra anti-ecologista ha dimostrato di potersi imporre su quella che era stata finora la tradizionale maggioranza ambientalista al parlamento europeo; e certamente il Ppe e i conservatori sfrutteranno ora questa sconfitta apparente per puntare a una vittoria reale nelle prossime elezioni europee, nel giugno 2024.