L’annuncio in bacheca parla chiaro: “Si affitta stanza in condivisione vicino fermata metropolitana a 650 euro mensili”. In condivisione… Davanti al Politecnico desta lo stupore dei passanti il moltiplicarsi delle tende degli studenti di fronte all’edificio centrale, per protestare contro un pendolarismo che obbliga molti di loro a ore di viaggio al giorno per seguire le lezioni. Al di là delle recenti proteste, che hanno dato visibilità al fenomeno, sono anni che la situazione è più o meno questa. Gli studenti abitano nello hinterland quando va bene; quando va male stanno anche più in là, si spingono fino a Vigevano, addirittura a Novara. Milano non è da tempo una città per giovani e per studenti; ma nel vorticoso andamento del mercato immobiliare dopo la pandemia, trovare casa è diventata una mission impossible.
Gli studenti non rappresentano certo la fascia più debole della popolazione, quanto piuttosto un segmento specifico, costituito da soggetti socialmente integrati, ma che incontrano difficoltà nell’accedere alla casa date le coordinate attuali dal mercato. Insomma, un caso particolarissimo di una più generale situazione di disastro. Tra l’altro, sta venendo meno anche la consueta valvola di sfogo delle periferie, perché, come segnala l’attento “Scenari immobiliari”, per un effetto domino gli aumenti si stanno riverberando sulle periferie, e perfino sui comuni della cintura. Si parla di una crescita che varia dal 7 al 10%. Per questo motivo le periferie si svuotano, e il meccanismo dello “spostapoveri” – come lo hanno definito alcuni sindaci dei comuni limitrofi – si attiva respingendo chi ha meno mezzi sempre più lontano. Non mancano anche truffe e imbrogli: presi di mira sono studenti stranieri che cercano casa in città. Recentemente, ha fatto scalpore il caso di uno studente di dottorato che, giunto dall’Iran, ha scoperto che l’appartamento che aveva creduto di avere affittato online esisteva, ma era abitato da un anziano completamente ignaro del fatto che fosse utilizzato come esca per ingenui.
Il problema viene da lontano: è non solo italiano ma europeo, come abbiamo cercato di mostrare in un precedente articolo (vedi qui), e, per quanto concerne Milano, era chiaro come sarebbe andata a finire in mancanza di politiche adeguate fin dalle analisi seguite alla crisi economica del 2008, che avevano mostrato come l’innalzamento dei costi rendesse sempre più difficile l’accesso alla casa anche per i ceti medi. Negli anni successivi, il problema non ha fatto altro che stratificarsi e complessificarsi, per via di una pioggia di investimenti immobiliari sulla città, che non hanno unicamente radici nazionali, ma rimandano a trasformazioni intervenute nelle città globali.
Ad accorgersi che si profilava il concentrarsi senza precedenti di investimenti immobiliari nei grandi centri urbani del pianeta, non era stata solo la nota studiosa di questi fenomeni, Saskia Sassen, ma anche un avveduto e abile immobiliarista come Manfredi Catella, che lo aveva segnalato già nel 2019, in una intervista rilasciata al “Sole 24 Ore”, e poi ribadito sulle pagine del “Corriere”. La questione era quindi sul tavolo da tempo, ed era possibile pensare di farci i conti; la politica l’ha però bellamente ignorata, all’insegna di pecunia non olet, quasi presa di sorpresa dalla pioggia di miliardi atterrati in città a “movimentare” il mercato immobiliare.
Una ulteriore complicazione deriva dall’essere divenuta Milano anche città “turistica” sui generis, con una moltiplicazione delle abitazioni destinate ad affitto temporaneo. Così si sono sottratte altre risorse allo stock già ridotto delle abitazioni disponibili per l’affitto. Il quadro pesantissimo di precarietà abitativa che emerge è dovuto, quindi, anche a un sistema di politiche particolarmente debole. Se tendenze simili a quella milanese, con una enorme pressione della finanziarizzazione dell’immobiliare, sono riscontrabili a Londra, Parigi o Berlino, diverse sono però le risposte che vengono date da governi e amministrazioni nelle altre metropoli europee. A Berlino, si è tentata una nuova politica degli affitti e un contenimento degli aumenti; a Parigi è stata introdotta una regolamentazione dell’affitto temporaneo a uso turistico, e una quota importante di risorse è stata destinata alla gestione e all’ampliamento del patrimonio abitativo pubblico; a Londra si è pensato a una edilizia residenziale pubblica per “zone”.
A Milano, invece si è addirittura liquidato, svendendolo nel corso del tempo, un patrimonio pubblico molto consistente: ma si parla oggi ancora di quindicimila appartamenti Aler vuoti, di cui almeno cinquemila sarebbero disponibili in tempi brevi. Purtroppo questa importante risorsa è stata percepita solo come un peso da parte dell’amministrazione, e non come una opportunità di giocare un ruolo sul mercato dell’abitazione e dell’affitto per calmierare l’ascesa dei prezzi. La cosa, per il momento, non pare interessare, nemmeno al cospetto del numero crescente di sfratti in corso. Certo, finché il diritto alla proprietà verrà considerato prioritario rispetto al diritto alla casa, e finché non si deciderà di toccare la rendita, sarà difficile pensare a una svolta.
Giovani, migranti, precari, in una città che si vorrebbe “attrattiva”, sono così rimasti e rimangono fuori dal mercato dell’abitazione, e sono costretti ad andare sempre più lontano dal centro. A poco valgono le promesse della ministra Bernini, che parla di decine di migliaia di posti per studenti da realizzarsi nei prossimi anni. Se il modello sarà quello dello studentato di Bologna, e di quello in corso di realizzazione a Milano, con costi mensili intorno ai 600 euro, il problema non troverà in questo modo soluzione se non per chi potrà permetterselo. Qui si aprirebbe un’altra questione, che riguarda il diritto allo studio e le trasformazioni nella composizione sociale degli studenti, che non è possibile affrontare adesso. Rimane in ogni caso chiaro che, se è vero che il successo delle città si gioca sempre più intorno alla presenza di personale altamente qualificato, di “nomadi internazionali” dei saperi avanzati, che sono molto spesso ex studenti stranieri che ritornano, si può dire che Milano stia facendo di tutto per allontanarli.