Non si ferma la contestazione a Parigi e nelle principali città francesi. La giornata del primo maggio ha mostrato, come previsto, ancora una notevole capacità di mobilitazione da parte dell’intersindacale – Cfdt e Cgt, più altre sigle minori –, facendo chiarezza una volta di più sul fatto che un movimento sociale non può reggere nella durata se non trova il suo asse nelle antiche organizzazioni, pur essendo importante che siano coinvolti i nuovi soggetti, quelli delle nuove miserie. Una rivolta di matrice provinciale e piccolo-borghese, come fu quella dei “gilet gialli” qualche anno fa, non avrebbe potuto, da sé, tenere lo scontro aperto così a lungo, anche se in effetti riuscì ad andare ben al di là delle previsioni. Ora, dopo che ieri, 3 maggio, il Consiglio costituzionale ha rigettato la seconda proposta di referendum di iniziativa popolare, il prossimo appuntamento è fissato per il 6 giugno, data in cui il gruppo parlamentare centrista Liot presenterà all’Assemblea legislativa una sua proposta sulle pensioni. Bisogna ricordare che Macron e il suo governo si avvalgono soltanto di una maggioranza relativa, ed è per questo che, per approvare la riforma, hanno fatto ricorso all’articolo della Costituzione che consente di bypassare il voto parlamentare. Se le opposizioni riuscissero a sommarsi e non ci fossero defezioni, in teoria la legge voluta dal presidente potrebbe essere abrogata.
Forse la violenza dei black bloc (che il primo maggio hanno distrutto perfino uno stand del Pcf, per loro forse il partito “stalinista”) potrà influire su una ripresa del consenso intorno al governo; ma appare lampante come, con la sua politica di pura repressione poliziesca (al limite della legalità, sostiene “Le Monde”), il presidente Macron stia facendo obiettivamente il gioco della reazione lepenista, che ha sempre più il vento in poppa, Marine Le Pen potendo presentarsi, al tempo stesso, come la più conseguente paladina dell’ordine e come un’oppositrice alla riforma delle pensioni.
Che cosa fa la sinistra politica in tutto questo? Manco a dirlo, si tormenta. La Nupes, cioè la Nuova unione popolare ecologica e sociale, che fa capo a quattro partiti – la France insoumise, il Partito socialista, quello comunista e i verdi –, a un anno dalla sua fondazione, ha le sue beghe. Nel 2024 si presenterà alle europee insieme o divisa? Mélenchon, il tribuno ex trotskista ed ex socialista, leader dei “non sottomessi”, vorrebbe una soluzione unitaria; ma è molto più probabile che i socialisti (visti anche i guai che hanno all’interno, con un pezzo del partito che mal sopporta l’alleanza con Mélenchon) andranno da soli o, semmai, in alleanza unicamente con i verdi. La verità è che questa sinistra si è messa insieme per convenienza elettorale, nelle legislative del 2022, e manca di una strategia comune. C’è Mélenchon, inoltre, che è effettivamente stressante con la sua ingombrante tendenza a voler fare tutto lui – a un certo punto perfino il leader sindacale –, finendo a sua volta col favorire Marine Le Pen, con la quale vorrebbe finire al ballottaggio nelle prossime presidenziali, nel 2027. Come se poi un ex trotzkista, in una Francia che è quello che è, avrebbe più chance di vincere di una ex petainista.
Infine, ancora un’osservazione sulla Francia e l’Italia. Gianna Fracassi, dirigente della Cgil, nella conclusione dell’intervista rilasciata a “terzogiornale” (vedi qui), nega recisamente che si possa stabilire un parallelo tra la Francia e l’Italia. Secondo lei le situazioni sarebbero incomparabili, perché in Francia stanno lottando contro un peggioramento delle pensioni che in Italia, semmai, è già stato fatto al tempo del governo Monti. Già, e dov’era il sindacato allora? Perché lasciò nelle mani della demagogia leghista questo importante tema di conflitto sociale? Inoltre, in Francia sono in corso, accanto alla mobilitazione principale, rivendicazioni salariali in diverse aziende. Abbiamo visto qualcosa di simile in altri Paesi europei. Perché in Italia no?