Le bugie hanno le gambe corte. Perché sostenere, come fa la sinistra italiana nelle sue più varie articolazioni, che i diritti dei bambini – sui quali, sia chiaro, non si discute – che arrivano da fuori dei confini nazionali accompagnati da due papà non hanno nulla a che vedere con la maternità surrogata, o “utero in affitto”, è una informazione falsa: per la semplice ragione che quei piccoli, non avendoli portati la cicogna, sono stati per nove mesi nel ventre di una donna che li ha partoriti e consegnati a coppie etero e omosessuali in cambio di denaro (tranne rarissime eccezioni “altruistiche”, nel caso non sia presente un rapporto economico).
Com’è noto, la polemica è esplosa in questi giorni dopo il niet del governo all’iscrizione anagrafica di quei bambini, che arrivano da altri Paesi, congiuntamente al riconoscimento dei due genitori. Prassi messa in atto da molti sindaci di sinistra. Per l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, non esattamente incline a simpatie per l’universo Lgbtq, questa prassi non sarà più consentita, opponendosi così al certificato europeo di filiazione, che garantisce al minore l’accesso ai diritti civili e sociali a prescindere dal suo status di figlio. D’ora in poi in Italia il bambino o la bambina potrà iscriversi all’anagrafe accompagnato dal genitore biologico, mentre l’altro, come deciso dalla Cassazione, dovrà avviare un percorso di “adozione facilitata”. Altrimenti niente iscrizione e nessun diritto conseguente.
Una mediazione, quella proposta dai giudici, che, a patto che il percorso adottivo sia rapido, potrebbe essere considerata accettabile e costringerebbe il governo a riconoscere di fatto le coppie omosessuali. Ma ormai lo scontro è diventato ideologico, e lo stesso minore sembra essere trasformato in uno strumento usato, con le debite differenze, da entrambe le parti in conflitto. Con in mezzo, appunto, il convitato, sempre meno di pietra, della maternità surrogata: una bomba scoppiata nelle mani di una sinistra che non ha ancora capito come il neoliberismo trasformi qualsiasi cosa in merce di scambio, insinuandosi ovunque. Ha precarizzato il lavoro, minato il diritto alle cose basilari della vita di tutti e di tutte, come istruzione, sanità, sistema pensionistico, e ormai da tempo sta mercificando i corpi delle persone.
Nessuna forza politica dell’arco progressista è stata capace di affrontare una discussione su una prassi divenuta intoccabile, perché unico strumento per le coppie omosessuali maschili per diventare genitori, avendo messo ai margini delle loro battaglie il tema dell’adozione. Dal Partito democratico, a parte soprattutto la componente cattolica, ad Alleanza verdi-sinistra passando per i 5 Stelle, tradizionalmente meno attenti a queste problematiche (tanto che Conte non si è presentato alla manifestazione di sabato scorso), tutti hanno balbettato sul tema in questione – o hanno taciuto, come successe di fronte al caso Vendola, quando l’ex leader di Sel (Sinistra ecologia e libertà), ora iscritto a Sinistra italiana, scelse la maternità surrogata per diventare padre, con i dubbi, se non addirittura la contrarietà sottaciuta, di molti militanti del suo partito.
Ma non mancano politici, intellettuali di area progressista e dello stesso movimento Lgbtq, che hanno preso posizione contro una prassi che sembra riportarci indietro di secoli se non di millenni, se consideriamo che dai tempi degli egizi e poi dei romani, passando per gli ebrei, i potenti, di fronte all’impossibilità di avere figli, utilizzavano le mogli dei propri sottoposti per avere un figlio che avrebbe garantito loro la continuità dinastica. Stefano Fassina (ex deputato di Liberi e uguali) parla, senza mezzi termini, di “sconfinamento del mercato nella dimensione più sacra dell’uomo, che è la generazione della vita”. Lo stesso ha fatto Luana Zanella, femminista storica, ambientalista, capogruppo dell’Alleanza verdi-sinistra alla Camera, per la quale il rischio è “rompere il legame tra madre e creatura, che fonda il diritto stesso”.
All’interno di Arcigay e Arcilesbica c’è una evidente spaccatura. Se nel primo caso l’ex presidente, Aurelio Mancuso, non ha mai fatto sconti nel prendere le distanze dalla gestazione per altri, la stessa cosa non vale per esempio per Gabriele Piazzoni, segretario generale Arcigay, che non ha esitato a paragonare un figlio arrivato attraverso l’adozione a chi è, suo malgrado, frutto di un mercimonio che non abbiamo difficoltà a definire “classista”. Stesse contraddizioni all’interno di Arcilesbica, con tanto di episodi di censura: come a Udine, quando la presentazione del libro Bambini su commissione: domande sulla maternità surrogata della sociologa e ricercatrice dell’Università di Milano, Daniela Danna, organizzata appunto da Arcilesbica, è stata all’ultimo momento cancellata su pressioni di pezzi del movimento.
Non mancano prese di posizione da parte di alcune femministe storiche. Tra queste, la filosofa Luisa Muraro. “Alcuni diritti – sostiene l’attivista citata dal bimestrale “Micromega” – si fondano in ultima istanza sulla legge del mercato e alimentano la disuguaglianza in quanto il desiderio può essere soddisfatto solo da chi può permetterselo”. Barbara Alberti, scrittrice, opinionista, anch’essa tra le animatrici del movimento femminista degli anni Settanta, definisce la maternità surrogata come “la vittoria del ricco sul povero ed è atroce pagare una donna perché diventi il ‘forno’, come la chiamano gli americani, di un figlio che cresce dentro di lei ma non è biologicamente suo”. Senza dimenticare la mobilitazione del gruppo femminista “Se non ora quando”, che continua a battersi contro quest’altro regalo del Ventunesimo secolo.
Negli altri Paesi europei assistiamo a scenari diversi. Se anche in Francia regna l’ambiguità, tuttavia la principale forza della sinistra, La France insoumise di Jean-Luc Mélenchon, ha espresso la sua contrarietà alla maternità surrogata; in Spagna la coalizione di sinistra, composta dai socialisti di Pedro Sánchez e Podemos di Ione Belarra, ha espresso un netto “no” alla maternità surrogata, considerandola lesiva “dei diritti delle donne soprattutto di quelle più vulnerabili mercificando i loro corpi e le loro funzioni riproduttive”. Purtroppo dobbiamo constatare che lo slogan “vogliamo tutto”, che caratterizzò parte della contestazione degli anni Sessanta e Settanta, si è trasformato ed è utilizzato per inventare un “diritto alla genitorialità” che sopravanzerebbe il “diritto del minore”: da conseguire a tutti i costi, anche cancellando punti di riferimento culturali importanti per chi dovrebbe battersi contro la compravendita dei corpi e contro le disuguaglianze sociali.