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Europarlamentari corrotti anche dal Marocco

Pure qui spicca il nome di Panzeri, con moglie e figlia al seguito. Sullo sfondo, la questione irrisolta dell’indipendenza del popolo saharawi

23 Dicembre 2022 Vittorio Bonanni  831

Anche il Marocco corrompe gli europarlamentari. In prima fila c’è il solito Panzeri, protagonista assoluto di questo gigantesco traffico di mazzette elargite, in questo caso, dal regno di Mohammed VI, il cui obiettivo è di convincere il più possibile l’Europa a mettere da parte una volta per tutte la solidarietà nei riguardi del popolo saharawi. Informare sulle ragioni di questo scambio immorale sembra però complicato per alcuni importanti giornali italiani, come per esempio “Repubblica”. Insomma, che la questione saharawi sia al centro degli euro che da Rabat sono arrivati a Strasburgo non interessa il quotidiano diretto da Molinari. Non solo. Il giornale fondato da Eugenio Scalfari ospita frequentemente articoli della scrittrice marocchina Karima Moual, moglie dell’ex ministro per gli Affari europei ed esponente del Pd, Vincenzo Amendola. La donna non esita a tessere le lodi del regime marocchino e dei progressi che la democrazia di quel Paese avrebbe fatto registrare, malgrado le gravi violazioni dei diritti umani nei confronti delle Ong e di chi solidarizza con i saharawi. 

Solo il “manifesto”, il “Fatto” e “Domani” – non a caso i tre giornali che, sia pure con storie completamente diverse, dicono “cose di sinistra” – si sono preoccupati di informare perché il governo del Paese arabo abbia proceduto in tale direzione. “Il Marocco – denuncia Fatima Mahfud, responsabile in Italia del Fronte polisario (l’organizzazione che si batte per l’indipendenza dell’ex Sahara spagnolo, ndr) – ha lavorato per ottenere la negazione del diritto del popolo saharawi, attraverso la distruzione mirata del sostegno dell’area progressista alla causa dei diritti umani in Marocco stesso e soprattutto nel Sahara occidentale occupato”.

Com’è noto, la vicenda, al pari del Qatargate, è stata al centro dell’attenzione dei principali media internazionali durante i mondiali di calcio disputati nell’emirato arabo. Secondo gli inquirenti belgi, che stanno indagando sui due filoni, a essere il principale referente del governo marocchino era appunto Panzeri, al quale un domani daranno una laurea honoris causa su storia e cultura dei Paesi arabi. La vicenda, che ha visto coinvolte, come nel caso di Doha, anche la moglie dell’ex europarlamentare Maria Colleoni e la figlia Silvia, parte da lontano, fin dal 2011.

Allora si stava organizzando una missione in loco, che prevedeva la visita in un campo rifugiati saharawi, al fine di confermare l’attenzione di Panzeri – membro per due legislature, dal 2009 al 2014, della delegazione per i rapporti col Maghreb – nei confronti di chi da tempo rivendica l’indipendenza dal Marocco, e infine per mantenere buoni rapporti con l’Algeria, che sostiene appunto il Polisario. Ma gli eventi prenderanno presto direzioni diverse: due anni dopo il Marocco fa pressioni su Panzeri per ridurre i danni che il “progetto Tannock” – dal nome dell’allora eurodeputato britannico Charles Tannock, di orientamento pro-Polisario – poteva arrecare a Rabat, visto che nel rapporto si parlava di violazione dei diritti umani nel Sahara occidentale.

Nel 2019, la svolta definitiva quando il Nostro, malgrado non fosse stato più eletto, stringe un patto con la Dged – i servizi marocchini per l’estero – per continuare a condizionare l’europarlamento, nei riguardi della questione saharawi. La storia dei rapporti non proprio virtuosi tra Marocco e alcuni europarlamentari non è certo una novità. “La corruzione e il ricatto – dice Luciano Ardesi, africanista e collaboratore del mensile dei padri comboniani “Nigrizia” – sono gli strumenti, non da oggi, della politica marocchina di pressione sull’Europa. Una battaglia dagli enormi interessi economici, nella quale si inserisce tutto il potenziale di fuoco di cui dispone Rabat”.

Stupisce dunque lo stupore nei riguardi di questa brutta storia, soprattutto se consideriamo che molto spesso i rapporti tra Paesi extraeuropei ed Europa non sono limpidi. “Bruxelles – continua Ardesi – è il centro delle istituzioni europee, e quindi di un concentrato di interessi che da sempre ne fanno una città bersaglio dello spionaggio internazionale. E che il Marocco possa essere implicato stupisce ancor meno dopo gli arresti di sue spie, e dopo essere entrato nel mirino del ministero della Giustizia belga”.

Interessante ricordare l’affare Pegasus (vedi qui), dal nome del software israeliano utilizzato dal re Mohammed VI – tra il Marocco e Israele, infatti, i rapporti si sono normalizzati da tempo – utilizzato per spiare giornalisti, esponenti del Fronte polisario, e tutti coloro che sono impegnati nella solidarietà nei confronti di un popolo dimenticato da dio e dagli uomini. Nel mirino di questa operazione di spionaggio, ci sarebbero stati anche altri politici europei, come per esempio il presidente francese Macron. Ma al vecchio continente questi episodi non sono bastati per tenere alta l’attenzione nei riguardi di Rabat. Anzi. Il sito di investigazione “Disclose” ha denunciato il finanziamento europeo di un nuovo software, che il Marocco userà per sorvegliare le migrazioni, ma senza alcuna garanzia che non ne venga fatto un uso diverso da quello concordato.

Sempre per spingere l’Europa, e in questo caso in particolare la Spagna, a cancellare l’impegno solidale nei confronti del Polisario, Rabat non ha esitato a scagliare – è questo il termine esatto – migliaia di migranti a ridosso dell’enclave spagnola di Ceuta. Dopo questo grave episodio, Madrid ha riconosciuto le pretese del Marocco sui territori rivendicati dai saharawi.

L’altro obiettivo di Rabat è includere il Sahara occidentale nella ratifica degli accordi economici tra il Paese nord-africano e l’Unione europea. Un’ipotesi che entrerebbe in rotta di collisione con quanto deciso dalla Corte di giustizia dell’Unione, secondo la quale questa richiesta violerebbe il diritto internazionale e le risoluzioni del Consiglio di sicurezza. L’insistenza con la quale il regno maghrebino cerca di cancellare la delicata questione saharawi si coniuga con il gravissimo stallo in cui versa questo conflitto. È dal 1991 che i saharawi aspettano un referendum, che doveva essere organizzato dalla Minurso (Missione delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara occidentale), la missione Onu finalizzata alla soluzione del conflitto. Una consultazione che dovrebbe decidere il destino di quei territori particolarmente ricchi di materie prime. Ebbene, dopo oltre trent’anni, non è stato organizzato proprio nulla. E c’è da credere che il destino di questo popolo arabo-berbero non potrà che peggiorare. 

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