
Mario Draghi alla presidenza della Repubblica è la scelta da augurarsi per un insieme di ragioni. La prima – piuttosto ovvia – è che, intorno al nome di Draghi, può raccogliersi un voto trasversale, indispensabile, date le forze in campo, per eleggere il capo dello Stato. Staccare la Lega dall’abbraccio con gli yesmen e le yeswomen di Berlusconi non sarebbe secondario; e vorrebbe anche dire offrire una sponda ai leghisti meno salviniani, tra cui l’attuale ministro Giorgetti, amico stretto di Draghi. L’obiezione che si può muovere è che la candidatura di Draghi spaccherebbe i 5 Stelle. Ciò senz’altro è possibile, ma non impedirebbe, con tutta probabilità, il raggiungimento alla quarta votazione di una maggioranza comunque ampia (ricordiamo che, nelle prime tre, servirebbe una maggioranza qualificata che appare fuori portata per chiunque, al momento).
La seconda ragione è che Draghi, in quanto persona almeno apparentemente super partes, potrebbe ottenere quella fiducia da parte della gran parte dei cittadini che – spoliticizzati da anni di qualunquismo e di attacchi alle istituzioni democratiche – tendono a non fidarsi più di nessuno, se non di coloro che si presentano come “esterni” rispetto al mondo della politica. È un’illusione, d’accordo – ma tant’è. Poiché non si può non essere interessati a una tenuta della suprema carica dello Stato, collocata in una funzione di presidio della Costituzione repubblicana, Draghi può essere il nome giusto per assicurare all’istituzione un alto grado di consenso popolare.
La terza ragione riguarda il governo e il Pd: in particolare questo partito, che al momento appare come assopito nel segno del proprio “draghismo di governo”, e che invece, con l’uscita di scena del Draghi presidente del Consiglio, sarebbe costretto a darsi una mossa. Certo, la legislatura va portata a termine; ma un governo diverso – magari con la presidenza di Marta Cartabia, se non sarà proprio lei, alla fine, a concentrare sul suo nome un voto trasversale per la presidenza della Repubblica – dovrebbe, come minimo, vedere una qualche iniziativa politica da parte del Pd. A cominciare dalla rimozione di un ministro che non va, come quello della Transizione ecologica Cingolani.
È vero, l’elezione di Draghi a capo dello Stato pone il problema di quale governo mettere insieme fino al termine della legislatura: ma questo potrebbe essere l’aspetto più positivo di una soluzione che appare come la meno peggiore. Essere spinti a riflettere – se non sulla gestione della pandemia, che appare lasciata in gran parte al destino un po’ dappertutto, in Europa e in America, essendo ormai stata data la priorità non alla salute collettiva ma alle attività economiche – almeno su un piccolo cambio di passo nell’implementazione del Pnrr, sarebbe un risultato non di poco momento. E ci si potrebbe arrivare solo se Draghi andasse al Quirinale.