La candidata designata dalla destra tradizionale alla presidenza della Francia è Valerie Pecresse, attualmente a capo della regione di Parigi. Tra lei e Macron non è lei la peggiore. Si tratta di due centristi liberali; ma se il presidente uscente è un mediocre opportunista – prodotto dal fallimentare quinquennato di François Hollande, dalla sua incapacità perfino di tenere unito il Partito socialista che, da quella fase, sconta ancora una deliquescente voluttà di morte –, Pecresse è un’onesta conservatrice, cui va almeno il merito di non essersi del tutto allineata, come invece ha fatto una parte consistente del raggruppamento da cui proviene, ai termini del dibattito imposto dal Nosferatu francese del momento: cioè da quell’Éric Zemmour che, domenica 5 dicembre, ha tenuto il suo inizio di campagna elettorale tra i clamori degli antirazzisti.
Che Zemmour sia razzista non v’è dubbio: ha ricevuto anche due condanne per questo. Il suo programma, apertamente islamofobico, è incentrato sulla cosiddetta teoria della “sostituzione etnica”, secondo cui ci sarebbe una sorta di piano per rimpiazzare mediante l’immigrazione l’“identità francese”, e più in generale europea e cristiana, con un’altra. In un recente volume collettivo, intitolato Sulla sindrome identitaria (edito da Rosenberg & Sellier nella collana “La critica sociale”), abbiamo cercato di mettere a fuoco, riguardo all’Italia, come possa venir fuori “dal basso”, dall’interno di realtà associative di base, una ricerca del capro espiatorio che fa dello straniero, dell’immigrato, la causa prima di un malessere sociale. Ma nel caso del Nosferatu francese – che si nutre del sangue di queste fantasie angosciose intorno al declino di un Paese – il salto è ormai compiuto dalla dimensione della psicologia di massa alla impresa politica vera e propria. Ed è con questa sfida che bisogna ormai misurarsi.
Il primo effetto della candidatura Zemmour è di dividere l’estrema destra e di mettere in seria difficoltà Marine Le Pen, che in questi anni aveva fatto di tutto – rompendo con il padre e il vecchio armamentario fascista, cambiando anche il nome del suo partito – per dédiaboliser, come si dice in francese, la propria figura avvicinandola, per quanto possibile, a un populismo peronista adattato alla realtà odierna. Del resto un gioco analogo, dall’altro lato dello schieramento politico, è stato condotto da Mélenchon che, con il suo gruppo dal dubbio nome di “La Francia non sottomessa”, ha puntato su un sovranismo “di sinistra”, euroscettico al punto giusto per tentare di raccogliere i frutti della decisa opposizione allo status quo condotta da movimenti come quelli dei “gilet gialli”. A far saltare il quadro è arrivato Zemmour che, con la retorica di un’estrema destra priva di complessi, si colloca al di là degli stessi populismi.
In un rischioso dibattito televisivo con Zemmour (svoltosi qualche mese fa, è bene ricordarlo, sull’emittente di cui è proprietario Bolloré, un Berlusconi francese più a destra di questi) Mélenchon ha cercato di opporre alla visione del Nosferatu identitario un’altra basata su una Francia della “creolizzazione” (nella versione che del concetto ha dato il martinicano Édouard Glissant), in cui pacificamente convivono e si fondono culture differenti. Mentre il suo avversario puntava il dito contro gli attentati terroristici di cui è stata oggetto la Francia, e su un clima da presunta guerra civile a sfondo etnico, Mélenchon – recuperando con ciò un topos del pensiero di sinistra – insisteva sulla “miseria” come causa della delinquenza, mescolando così l’argomento culturale della creolizzazione con quello economico, ma offrendo il fianco agli attacchi riguardo alle numerose giravolte della sua vita politica: prima trotzkista, poi socialista, ministro nel governo Jospin, e ancora sovranista neppure contrario – nella campagna per le presidenziali del 2017 – a porre dei limiti all’immigrazione in una rincorsa della destra sul suo terreno, infine antagonista di Zemmour che poteva trattarlo come un personaggio di scarsa coerenza, per giunta nostalgico della Quarta Repubblica, quella precedente al presidenzialismo di De Gaulle, a cui Zemmour invece si richiama, in uno spregiudicato accostamento ideologico tra il nazionalismo antifascista di questi e il collaborazionismo filonazista di Pétain. La ricetta di estrema destra poteva così essere servita senza troppe difficoltà: nell’impossibilità, da parte di Mélenchon, di presentarsi, lui, come un erede di De Gaulle, pur dichiarandosi un fautore a oltranza della “sovranità popolare” – elemento costitutivo dell’ideologia bonapartista e gollista da cui scaturisce qualsiasi “direttismo” populistico.
Il punto è che a un’estrema destra non si risponde con qualcosa che un po’ le assomiglia; si risponde con un’iniziativa politica in grado di accumulare forze anche sul piano elettorale. Oggi la sinistra francese sembra avere programmato, invece, il proprio suicidio. Mentre la divisione dell’elettorato di estrema destra, abbassando la soglia d’ingresso al secondo turno dell’elezione presidenziale, renderebbe possibile a una candidatura unitaria di sinistra di accedere al ballottaggio, questa è divisa come non mai: e ciò non soltanto per l’assurda posizione di un Mélenchon, chiuso nel suo narcisismo, ma per una “lotta degli ego” che coinvolge anche i verdi e il Partito socialista. Almeno una delle due candidature – quella di Jadot per i verdi e di Hidalgo per i socialisti – andrebbe ritirata sulla base di un accordo politico, prima ancora di vedere quale dei due contendenti sia più avanti nei sondaggi, al fine d’indurre una scossa positiva nell’elettorato.
Diversamente, non ci sono alternative. Coloro che sono contrari all’estrema destra dovranno rifugiarsi, al primo turno, nel voto per Pecresse o per Macron; e poi magari, al ballottaggio – stando ai sondaggi che danno saldamente in testa quest’ultimo –, la sinistra dovrà dare indicazione ancora una volta per il detestabilissimo Macron, portando a termine in questo modo il proprio suicidio.
Post scriptum (10 dicembre) – Una soluzione sembra profilarsi, quella di una “primaria popolare” tra i candidati a sinistra: un’ipotesi sostenuta con forza da un collettivo di iniziativa citoyenne e accettata, nei giorni scorsi, dalla candidata socialista Hidalgo. Seguiremo gli sviluppi.