Questione sahrawi, rapporti con Israele, le tensioni in Cabilia. Sono solo tre ragioni tra le altre, ma sicuramente le più importanti, che da tempo rendono complicate le relazioni diplomatiche tra il Marocco e l’Algeria. Il 24 agosto scorso Algeri, con un atto unilaterale, ha annunciato la rottura tra i due paesi. Per conseguenza, non si è avuta la chiusura dei consolati, ma è aumentato il numero dei controlli al confine chiuso già dal 1994. La questione sahrawi è ormai antica, come il sostegno algerino al Fronte Polisario che rivendica l’indipendenza del Sahara Occidentale, ex Sahara spagnolo, situato a sud del Marocco, area in parte controllata dagli indipendentisti.
Tutto inizia nel 1975, quando Rabat decide di invadere e annettere una parte della regione, considerandola parte integrante del paese. Una terra particolarmente ambita, ricca di giacimenti di fosfati e risorse naturali. Contemporaneamente comincia la resistenza del Polisario, riconosciuto dall’Onu come legittimo rappresentante del popolo sahrawi, che proclama la Repubblica araba sahrawi democratica, instaurando un governo in esilio ospitato dall’Algeria. Furono anni di vero e proprio conflitto armato tra Marocco e Fronte, cessato nel 1991, quando l’Onu riuscì a ottenere l’accordo tra le parti per un referendum di autodeterminazione, che però non si è mai svolto, malgrado l’invio dei “caschi blu” per organizzarlo, perché boicottato dal Marocco grazie al sostegno della Francia.
Con il tempo, dunque, non poteva non verificarsi una ripresa delle ostilità militari, avvenuta il 13 novembre 2020 quando, dopo che un gruppo di civili sahrawi aveva bloccato il transito di merci e persone da e verso la Mauritania, il Marocco è intervenuto militarmente a sgombrare l’area provocando la risposta del Polisario. Insomma, una questione tutt’altro che risolta, vera e propria spina nel fianco nelle relazioni tra i due paesi. A cui bisogna aggiungere la questione israeliana. Algeri non ha preso bene il rafforzamento delle relazioni tra Israele e Marocco, con quest’ultimo che ha proposto addirittura di assegnare a Tel Aviv il posto di osservatore nell’Unione africana. Questa normalizzazione è avvenuta alla fine del 2020, grazie alla mediazione degli Stati Uniti di Trump, il quale è riuscito ad aprire le porte della diplomazia tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan. E qui ritorna la questione Sahara Occidentale. Per convincere Rabat a normalizzare i rapporti con Tel Aviv, infatti, Trump ha riconosciuto la sovranità del Marocco su quel territorio, suscitando la forte disapprovazione dell’Algeria.
La sciagurata politica dell’ex presidente statunitense ha dunque aggravato quel conflitto, aprendo nuovi scenari di crisi. A seguito della decisione del governo spagnolo di accogliere nel paese per cure mediche il leader del Polisario, Brahim Ghali, il Marocco, sentendosi forte del sostegno americano, ha provocatoriamente sospinto, per ritorsione, migliaia di immigrati verso la frontiera dell’enclave spagnola di Ceuta. Il Marocco ha poi aperto un conflitto con la Germania, critica nei confronti della decisione di Trump nei riguardi del Sahara Occidentale. Berlino si è spinta a chiedere una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla questione sahrawi e quel referendum che il Marocco non ha mai voluto organizzare.
Come se non bastasse, c’è inoltre la Cabilia, la zona popolata dai berberi e situata a est di Algeri. Quasi per controbilanciare il sostegno algerino ai sahrawi, ecco quello marocchino ai separatisti berberi. A metà luglio il rappresentante del Marocco all’Onu, ha espresso il suo appoggio al diritto all’autodeterminazione della Cabilia, portato avanti dal Movimento separatista per l’autodeterminazione della Cabilia. Di fronte alla mancata marcia indietro del governo marocchino, il ministero degli Esteri algerino, a luglio, aveva richiamato in patria l’ambasciatore a Rabat.
Non sono mancate altre ragioni che hanno spinto l’Algeria a rompere le relazioni con il suo vicino. Malgrado le rassicurazioni del re Mohammed VI, Algeri ha denunciato l’utilizzo del Marocco del software israeliano Pegasus per spiare i cellulari di politici e cittadini algerini. Il Movimento per l’autodetrminazione cabilo e gli islamisti del Rachad, entrambi considerati dal governo algerino come gruppi terroristi, sono stati accusati di essere responsabili degli incendi che in agosto hanno devastato la Cabilia, con un bilancio di novanta vittime, e di essere sostenuti proprio dal Marocco. In questo contesto, l’11 agosto, si è verificato il linciaggio di Djamel Bensmaïl, un ragazzo accusato ingiustamente di essere un piromane.
Tutto ciò contribuisce a destabilizzare una regione già di suo caratterizzata da gravi conflitti, a partire ovviamente dalla Libia, dove è in corso una guerra civile fomentata da potenze come Russia e Turchia (e in cui Algeri, malgrado la sua tradizionale politica di neutralità, ha manifestato l’intenzione di ricoprire un ruolo attivo di mediazione), fino al Mali, dove da tempo il governo è impegnato a fronteggiare i jihadisti con il supporto della Francia. Proprio la lotta al terrorismo dovrebbe fare da collante tra i paesi dell’area, ma tant’è. Si aggiunga l’inevitabile destabilizzazione dell’Unione africana, e – com’è del tutto evidente – anche uno scenario economico in netto peggioramento a causa della crisi in corso. Per fare un esempio riguardante il gasdotto Maghreb-Europa, che dall’Algeria arriva nel vecchio continente passando per il Marocco e la Spagna: al momento della scadenza del contratto, il 31 ottobre prossimo, si potrebbe assistere a un mancato rinnovo da parte di Algeri che potrebbe scegliere di utilizzare un altro gasdotto che arriva direttamente in Spagna. Per Rabat sarebbe un danno economico rilevante. Altro scenario problematico è quello riguardante i cittadini marocchini che vivono in Algeria: sono circa cinquantamila, e la loro vita, a cominciare dagli spostamenti tra i due paesi, potrebbe diventare problematica.
Bisogna considerare, all’interno di questo ginepraio, che si tratta di un’intera regione fortemente militarizzata, con in primo piano l’Egitto, che detiene l’esercito più forte dell’Africa, e al secondo posto appunto l’Algeria, sesto importatore di armi nel mondo. E anche il Marocco si sta muovendo nella stessa direzione. Malgrado un’evidente inferiorità numerica rispetto ai paesi vicini, Rabat possiede il quarto esercito della regione, e sta portando avanti un ambizioso programma di modernizzazione e trasformazione delle proprie forze armate, con l’evidente intenzione di non restare indietro rispetto all’Algeria. Come avviene del resto in Medio Oriente – e in quel tratto di Asia che arriva fino al Pakistan, passando per l’Afghanistan e l’Iran – anche il Maghreb non si fa mancare nulla in termini di ulteriore militarizzazione: il che rende, anche qui, molto lontana qualsiasi prospettiva di pace.