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Tik Tok e il voto del 25 settembre
Uscendo dalla stazione di Napoli, ci siamo imbattuti in una vetrina della Feltrinelli in cui ogni libro era legato a un evento su Tik Tok. Libri di spessore che vengono raccontati, presentati, venduti, con il linguaggio sincopato del social più amato dagli adolescenti. Cosa può simboleggiare, più concisamente di questa vetrina, il cambio antropologico, prima ancora che politico, che sta trasformando il nostro Paese sulla scia di quanto già accaduto nei principali Stati occidentali? E cosa può annunciare più spettacolarmente come i percorsi del voto e dei consensi siano sempre più occasionali, emotivi, momentanei? Si vota come si legge: su Tik Tok. Non è una consolazione né una giustificazione preventiva, è la conferma che l’uomo è ciò che mangia: dunque, quanto accade è sempre conseguenza dei processi di trasformazione sociale.
Come diceva Alessandro Magno, per spingere avanti i suoi generali che avrebbero preferito tornare a casa, “non esiste più la Macedonia che abbiamo lasciato e potremo essere ancora re solo se andiamo oltre l’Hindu Kush”. Per cui, una testata come “terzogiornale”, che si propone appunto come luogo di una inconsueta e forse anche eccentrica meditazione – lenta e analitica dei processi più profondi, anziché delle evidenze più abbaglianti –, non darà indicazione di voto specifico ma chiamerà i suoi lettori a votare, comunque, per dare alla sinistra la possibilità di cominciare a pensare con più forza e determinazione dopo il voto: whatever it takes, costi quel che costi, come amava dire il presidente del Consiglio uscente.