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Piccola radiografia di una Lega in grande difficoltà
È sempre stato un mistero, la Lega. Intanto perché i leghisti, che sono nati più di trent’anni fa, sembrano gli eterni ragazzini della politica. Come se avessero bevuto un elisir di lunga vita. Sono gli eredi della “prima repubblica”, i sopravvissuti di quella stagione, eppure passano per rivoluzionari. Il partito degli ossimori. In parlamento ostentarono il cappio contro la partitocrazia, ma, sin dall’inizio della loro avventura politica, inciamparono nelle inchieste giudiziarie. Addirittura, nell’inchiesta sulle tangenti Enimont, Umberto Bossi e il tesoriere Patelli furono condannati per un finanziamento illecito di duecento milioni di vecchie lire. Briciole, rispetto ai quarantanove milioni di euro “spariti” nel nuovo millennio dal bilancio di via Bellerio. E mazzette, bancarotte, vilipendi al capo dello Stato e alla bandiera. E poi resistenza alle forze di polizia, diffamazione nei confronti di magistrati, istigazione a delinquere.
È vero, però, la Lega di Umberto Bossi era un’altra cosa rispetto al partito di Matteo Salvini. I primi erano, per esempio, antifascisti, tanto che nel 1994 si candidarono con il cartello di Berlusconi solo al Nord, perché non volevano “sporcarsi” con il partito di Gianfranco Fini. Ma nello stesso tempo, da Mario Borghezio ai fondatori della Liga Veneta, i trascorsi politici erano con l’estrema destra eversiva degli anni Settanta. Il partito di Salvini ha fatto il pieno di voti, ma come partito non si è mai radicato al Centro-sud, attraendo solo scorie impresentabili di vecchi partiti e affaristi della politica.