Tag: socialismo reale
La socialdemocrazia reale e il socialismo possibile
Il nuovo primo ministro norvegese è il laburista Jonas Gahr Støre, rimasto otto anni all’opposizione e ritornato al governo, nell’ottobre scorso, in una coalizione con i centristi. In Germania, Olaf Scholz, candidato della Spd alla cancelleria, si appresta a dar vita a un esecutivo con i verdi e i liberali dopo un lungo periodo di collaborazione governativa con i conservatori. Ce n’è abbastanza per poter parlare di un ritorno della socialdemocrazia nel nord Europa, considerando che anche Danimarca, Svezia e Finlandia hanno premier socialdemocratici?
Sì e no. Anzitutto va considerata la circostanza che questi partiti non hanno più le altissime percentuali di un tempo. Quando va bene, arrivano intorno al 25%, e sono spinti ad alleanze con formazioni collocate alla loro destra. Soltanto nell’Europa meridionale i socialisti sono al governo con alleanze di sinistra, in Spagna soprattutto e in Portogallo, dove tuttavia si è appena aperta una crisi politica e c’è il rischio concreto di elezioni anticipate. Di un “ritorno ai fondamentali”, però, si può parlare: perché è ormai alle spalle la brutta stortura degli anni Novanta del Novecento, quando ovunque in Europa sembrava che la socialdemocrazia avesse definitivamente smarrito se stessa con la strategia centrista della “terza via” di Blair, oggi finita nel dimenticatoio o riproposta da qualche ceffo di cui c’è esempio unicamente nel nostro Paese.
“Prosperità comune”, la nuova parola d’ordine cinese
È ben noto che i partiti comunisti vanno avanti per slogan e campagne propagandistiche di massa. Mao ne lanciò una quantità inverosimile, che sarebbe superfluo ricordare, perché la Cina attuale è quella del famoso "arricchitevi!" proclamato una quarantina di anni fa da Deng Xiaoping. Oggi i miliardari cinesi sono 992, mentre negli Stati Uniti soltanto 696. Più dei due terzi del capitale, in Cina, è detenuto da privati. Il fondatore del motore di ricerca Alibaba, Jack Ma, possiede una fortuna di 56 miliardi di dollari, ed è superato, accidenti, dal re dell'acqua minerale, che ne ha 85, così come da altri imprenditori in vari campi. Tutti sono più o meno legati alla cricca dei dirigenti di partito, e tutti pagano delle tasse risibili: in Cina, infatti, non c'è un'imposta patrimoniale e nemmeno una tassa sulle successioni ereditarie. Il prelievo fiscale avviene prevalentemente mediante tasse indirette, che colpiscono soprattutto i redditi modesti.
Ecco allora che, con una sterzata, il segretario generale Xi Jinping lancia una campagna di rettifica sotto lo slogan "prosperità comune". Ridistribuire il reddito dovrebbe diventare l'imperativo cinese da qui al prossimo congresso comunista, previsto per l'autunno 2022. Che cosa si faranno venire in mente i dirigenti di Pechino per metterlo in pratica? Non sarà che per caso si metterà mano a una patrimoniale, magari astutamente congegnata per non far finire nelle sue maglie i tanti burocrati dai patrimoni non confessati e non confessabili?