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Il timido ottimismo del Def è già stato smentito
Mai come in questa occasione si può dire che abbiamo un Documento economico e finanziario scritto sulla sabbia, nel quale le previsioni economiche vengono smentite o modificate in tempi molto rapidi. Non c’è da stupirsi, perché gli avvenimenti che stanno sconvolgendo il mondo – una sindemia ancora non domata e una guerra glocale in corso nel continente europeo – hanno effetti tanto immediati quanto di più lungo periodo sull’economia internazionale, inclusa quella del nostro Paese. Abbiamo assistito a un rincorrersi al ribasso delle previsioni sulla crescita e sugli altri indicatori economici. Proprio mentre il parlamento si apprestava a discutere il documento governativo, il Fondo monetario internazionale gettava l’allarme sul peggioramento della situazione, rivedendo le cifre della crescita del Pil mondiale che, nel 2022, dovrebbe avanzare solo del 3,6%, ovvero -0.8% rispetto alle stime di solo quattro mesi fa.
L’Italia e la Germania – avendo economie manifatturiere, quindi più legate alle catene del valore e all’importazione di gas dalla Russia – sono i Paesi che più soffrono. Soffermandoci sul nostro Paese, le differenze fra le stime del Def e quelle diffuse dal Fondo monetario internazionale sono consistenti. Il Def riduce la previsione della crescita del Pil, per il 2022, dal 4,7% programmatico previsto al 3,1% (o, a volere essere più precisi, al 2,9%, cui si dovrebbe aggiungere uno 0,2% a seguito degli effetti sperati con un nuovo decreto ancora in via di definizione) e quella per il 2023 dal 2,8% al 2,3%. Ma il Fmi fornisce per l’Italia previsioni nettamente peggiori, ovvero una crescita annuale del 2,3% e una previsione, per il 2023, inferiore di mezzo punto. Il Def ha preferito evitare scenari troppo cupi, quindi ha escluso una cronicizzazione del conflitto bellico e la interruzione dei flussi di gas e petrolio dalla Russia.