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Meloni alla Cgil: se il peluche diventa sindacato
Un intervento abilmente ruffiano, favorito da un contesto fragile ed evanescente. L’irruzione della premier di destra nel congresso della Cgil segna un cambio di scena del tutto inedito. Il sindacato viene derubricato a grande patronato dei poveri, ai dipendenti viene assicurata la protezione contro la concorrenza internazionale alle loro aziende, a pensionati e ceto medio basso si assicura un fisco clemente. In cambio, si pretende la neutralità sulle strategie politiche del governo e sulle forme di privilegio della proprietà e soprattutto dell’impresa, la cui esclusiva nella gestione economica non si discute.
Sarebbe facile e anche provocatorio parlare di una platea intesa dalla Meloni come la Camera delle corporazioni dei deboli, ma non sarebbe sbagliato. Il sindacato diventa un soggetto politicamente neutrale, che compie periodicamente la sua questua dinanzi al governo, che trova modo di sostenere gli ultimi, di garantire i penultimi e di premiare i secondi; mentre i primi diventano controparti che si devono arrendere al potere dell’esecutivo o diventare una quinta colonna di un globalismo penalizzante della nazione. In questo schema non si parla di diritti, tanto meno di conflitti, ma solo di redditi accessori, di servizi sociali compensativi. Il potere non è tema che riguardi il sindacato.