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Come si ricatta il Pd

Come si ricatta il Pd

Non c’è dubbio che Enrico Letta sia stato ricattato da Carlo Calenda e da Benedetto Della Vedova, che per la cronaca sarebbe il leader di +Europa: un capitano di lungo corso, questo, proveniente dai radicali, passato per il Popolo della libertà (che fu per un periodo il nome della formazione berlusconiano-postfascista), e uscitone poi con Gianfranco Fini (do you remember?). Alleati con il Pd di Renzi nel 2018, quelli di +Europa, senza Calenda, presero il 2,5% dei voti: cioè non superarono lo sbarramento del 3% ed elessero nei collegi uninominali i propri parlamentari (solo tre, se non andiamo errati), tra cui Emma Bonino al Senato. In tutto e per tutto, questi residui dei radicali di una volta devono la loro sopravvivenza al Pd e al suo elettorato. Stesso discorso per Calenda: se un personaggio del genere esiste, lo deve al fatto di essere stato presente nei governi di Letta e di Renzi, e poi alla circostanza di essersi fatto eleggere, nelle liste del Pd, al parlamento europeo.

I due hanno potuto ricattare politicamente Letta – con la minaccia di presentarsi alle elezioni per conto proprio, sulla base di sondaggi che assegnano loro il 4 o 5% dei voti – perché il segretario del Pd si è reso ricattabile. Avendo rinunciato al “campo largo”, si è dovuto acconciare in un campo strettissimo, e quasi del tutto improvvisato. Se i due si fossero presentati da soli, tra i già pochi collegi uninominali che il Pd riuscirà a vincere, ben dodici alla Camera e quattro al Senato sarebbero andati persi. Letta annaspa e per questo è ricattabile. Risultato? Un accordo monstre che assegna a una piccola forza – fatta di due componenti, Azione e +Europa – il 30% delle candidature nei collegi uninominali. Come se non bastasse, i due hanno imposto che non ci siano nei collegi candidature “divisive”. Il che, da un punto di vista numerico, è una cretinata. Se c’è infatti qualche speranza – in verità minima – di togliere dei voti ai berlusconiani in certe zone, poniamo, della Lombardia, ossia in una realtà dominata dal cartello delle destre, è proprio là che va schierata una berlusconiana fuoriuscita e “divisiva” come Gelmini, per cercare di competere. Se fai scendere in campo uno sconosciuto ex radicale o un altro qualunque scelto da Calenda, buonanotte!

La crisi della politica al centro delle prossime elezioni

Sono mesi che i sondaggi e i giornali raccontano che la destra gonfia le vele. Che Giorgia Meloni e Matteo Salvini si contendono il primo posto alle prossime elezioni politiche. E che il Pd e i 5 Stelle, ove mai si presentassero uniti, comunque non ce la farebbero a raggiungere la destra. Mesi di chiacchiericcio e null’altro. Nessun fine analista o giornalista di lungo corso ha ancora detto che la “prima repubblica” è solo un ricordo del passato, che i partiti si sono sciolti, che la rappresentanza politica degli elettori stenta a prendere corpo, che il centro è evaporato, che cresce pericolosamente l’area dell’antipolitica che ripara nell’astensionismo.

La politica si è cacciata in un cul de sac. La campagna elettorale in corso per il voto amministrativo in grandi città (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna) e per la Regione Calabria mostra i segnali di un cambiamento. La macelleria del web – gli odiatori e gli urlatori che hanno preso il sopravvento, come nel caso dei “no vax” e “no pass” – ha alterato la percezione della realtà. E dunque anche i sondaggi di questi ultimi giorni di campagna elettorale vanno presi con le pinze.