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Congresso Fnsi: il giornalismo fra informazione e informatica

Spostare i mobili sul Titanic che affonda. È stata una delle più frequenti metafore che rimbombavano a Riccione durante il recente congresso della Federazione nazionale della stampa (Fnsi), il sindacato unitario (vedremo ancora per quanto) dei giornalisti. Il clima, per chi lo ricordi, era quello che si respirava alle assemblee dei sindacati dei lavoratori tessili o chimici alla fine degli anni Settanta. Nella grandinata di licenziamenti e ricorso di massa alla cassa integrazione, si litigava per dare una sterzata un po’ più a destra, come capitava con maggiore frequenza, o a sinistra, al gruppo dirigente. Anche a quel tempo, le grandi aree industriali erano meno docili al vertice sindacale, che si appoggiava sul tappeto di piccole e medie aziende delle province, dove le relazioni con il padrone erano meno formali e anche meno trasparenti.

La contabilità congressuale dei giornalisti conferma questa regola: il gruppo dirigente risultato vincente è stato votato da un’alleanza non sempre limpida nelle motivazioni delle associazioni regionali minori, mentre le due aree portanti del mercato editoriale, Milano e Roma, sono all’opposizione. Ma al di là dell’aneddotica congressuale, sarebbe utile guardare ai giornalisti come al laboratorio di una crisi che riguarda settori portanti del ceto medio urbano professionale. Una crisi che sta lacerando il tessuto connettivo della categoria – con lo sfaldamento dell’Inpgi, l’Istituto autonomo previdenziale, risucchiato nel calderone dell’Inps, oppure per le difficoltà che si annunciano alla CaSaGit, la cassa autonoma di assistenza sanitaria – esponendolo a un processo di condizionamento e subordinazione da parte sia dei poteri istituzionali, come più volte minacciato da governo e partiti, sia delle proprietà editoriali, che ormai possono scegliersi  contratti e controparti con cui negoziare.

La comunicazione e i suoi dintorni

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Zelensky e Putin, due modi di comunicare

Zelensky è presbite, guarda oltre il suo Paese, perché non ha bisogno di parlare ai suoi che mostrano di essere fin troppo motivati, combattendo. Putin è miope, e si rivolge solo ai russi, di cui è il dominatore, ma che ora ha bisogno di convincere.

Sono le due diverse comunicazioni che non si incontrano, nemmeno nell’infosfera. Le tournée del presidente ucraino nei parlamenti occidentali – il 22 marzo parlerà in collegamento con i deputati italiani – appaiono perfette: studiate in ogni dettaglio, con una straordinaria capacità di cogliere il senso comune degli interlocutori, integrando nel proprio linguaggio riferimenti e citazioni che prendono in ostaggio il sentire del Paese con cui è collegato. Ovviamente, l’aura del capo di una resistenza che sopravvive sotto le bombe rende tutto inattaccabile. Zelensky è un leader moderno, produce una comunicazione che diventa politica, e non viceversa. Il suo staff – proveniente da quella compagnia di produzione televisiva che lanciò in televisione il personaggio che l’attuale presidente interpretava – sembra riuscire a tradurre, in termini politici e relazioni, i canoni di una tecnicalità televisiva collaudata. In particolare, Yuri Kostiuk, lo sceneggiatore del Servitore del popolo, la popolarissima fiction che ha consacrato Zelensky, si sta rivelando un perfetto ghost writer, che calibra con grande sapienza i toni dei messaggi del presidente.