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Verso il voto anticipato

Era uno degli esiti possibili, quello visto ieri in Senato, con l’apertura di una via che porta dritto alle elezioni anticipate in autunno. Potrebbe essere definito lo sbocco di una concorrenza inter-populistica: i 5 Stelle di Conte hanno fatto la prima mossa, desiderosi di riacciuffare un po’ del loro elettorato; ma nel varco sono entrati di slancio i leghisti, seguiti dai forzitalioti, ansiosi di non lasciarsi risucchiare tutti i voti di protesta dalla destra di opposizione di Fratelli d’Italia. Tanto peggio per il “draghismo di governo”, che prospera, come si sa, da una parte e dall’altra degli schieramenti politici.

E Draghi, lui, come si è comportato? Non ha fatto sconti e non ha assunto atteggiamenti concilianti. Ha bacchettato chi, secondo lui, andava bacchettato – principalmente i 5 Stelle, ma senza trascurare quello che può essere detto il “poujadismo” della destra, sempre pronta a dare spazio, alla rinfusa, a qualsiasi protesta –, mostrando, una volta di più, la caratteristica probabilmente più saliente dell’uomo: una certa rigidità, che può essere un bene o un male, a seconda delle circostanze. In questo caso, per il Paese, è stato meglio o peggio avviarsi verso elezioni anticipate? A noi sembra piuttosto indifferente: nel senso che una fine anticipata della legislatura di alcuni mesi non dovrebbe incidere granché sul risultato finale. Anzi, la caduta “gloriosa” di Draghi, determinata in fin dei conti dalla destra, potrebbe rafforzare il suo partito virtuale, cioè quel centrismo tecnocratico a cui tanti sono affezionati, sottraendo voti proprio alla destra collocatasi in una posizione, complessivamente, troppo estrema.

Desiderio centrista e legge elettorale

I panni sporchi si lavano, eccome. In pubblico, però. E così nel centrodestra non si fa mistero della delusione, per non dire incazzatura, di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia per la gestione Salvini delle trattative quirinalizie, concluse con la rielezione di Sergio Mattarella al Colle. Dovranno ricucire i rapporti, i due. Lega e Fratelli d’Italia, la destra sovranista e populista italiana, non possono separarsi.

È vero, nel Carroccio c’è un sottile mal di pancia politico, una differenziazione di prospettive tra l’ala movimentista di Matteo Salvini e i governisti draghiani del ministro Giancarlo Giorgetti e dei governatori del Friuli e del Veneto, Fedriga e Zaia. Le divergenze sono così profonde da potere condurre alla scissione? In trent’anni di vita, la Lega non è mai arrivata al punto di non ritorno. Vediamo quello che accadrà nelle prossime settimane. E c’è poi ciò che rimane del grande “sogno” berlusconiano, Forza Italia. Che ha rotto l’unità interna della coalizione, dichiarando di voler giocare autonomamente la partita Quirinale, proprio in dirittura d’arrivo. Lo stesso Silvio Berlusconi vorrebbe ritrovarsi in una casa centrista, anche se è consapevole che, per arrivarci, deve attraversare le forche caudine della riforma elettorale.