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Perché in Europa la campagna vaccinale è ancora indietro

La scoperta del tesoro di Anagni, con quasi trenta milioni di dosi di vaccino AstraZeneca, diciamo l’intero fabbisogno attuale del nostro paese per completare almeno il giro della prima somministrazione, rende quasi caricaturale lo scenario dell’emergenza sanitaria. Siamo tutti appesi alla data di un’eventuale vaccinazione, nella speranza, che ogni giorno che passa sbiadisce un po’ di più, di chiudere questa terribile parentesi della pandemia. Ma forse la prima forma di intossicazione da cui liberarci è proprio l’idea che viviamo una crisi che, per quanto acuta, prima o poi ci riporterà dove ci ha trovato. In realtà siamo nel pieno di una transizione che ci sta accompagnando verso un mondo che stentiamo a identificare. I vaccini ne sono il testimonial.

Noi siamo abituati a un’idea di vaccino come toccasana: si sviluppa, si produce, si distribuisce e ci si immunizza, cancellando il rischio del virus. Ora però ci stiamo accorgendo che il record di velocità nella sua produzione (davvero impensabile che, dopo pochi mesi, si sia riusciti a elaborare procedure cosi precise per colpire esattamente quel tipo di virus, fra le decine di migliaia che pullulano attorno a noi) presenta numerosi imprevisti; e soprattutto che la gestione dei farmaci sta rispondendo a logiche fino a oggi esterne alla fase terapeutica. Anche perché la stessa ricerca e produzione industriale del prodotto è stata del tutto eccentrica e anomala, questa volta, rispetto alla storia scientifica dei vaccini.