
“Devastano territori, ingoiano risorse, cementificano il domani. Non sono attiviste con le mani sporche di vernice lavabile. Sono ruspe, speculazioni, grandi opere climalteranti”: così l’organizzazione ecologista “A Sud” ha lanciato la sua newsletter “Ecovandali – opere che imbrattano il futuro”, concentrata sulle grandi opere che impattano sui territori senza un ritorno positivo per le comunità e l’ambiente.
Tra i primi casi citati da “A Sud” c’è lo stadio della Roma a Pietralata. Il progetto, richiesto da AS Roma all’amministrazione capitolina, prevede la creazione di uno stadio con capienza complessiva di 55.000 posti, estendibile a 62.000: “Sarà dotato di aree hospitality, aree retail, spazi multifunzionali e strutture per il divertimento e la salute”. In accordo con il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, la fine dei lavori è prevista per il 2028. Con l’impegno dell’amministrazione, ma con una gestione non italiana. Come nel caso di altri progetti, per esempio il futuro porto crocieristico di Fiumicino (di cui abbiamo parlato qui e qui), la guida è nelle mani di una dirigenza statunitense. E anche qui l’opera, secondo i residenti e diversi comitati ambientalisti, rischia di cancellare un’area verde fondamentale in un quadrante urbano già congestionato e privo di adeguati servizi. Si va a inserire, infatti, in un luogo di Roma est, Pietralata, storicamente al centro di progetti mai realizzati, abbandonati all’incuria. Proprio il terreno su cui dovrebbe sorgere lo stadio – ricorda l’associazione “Carte in regola” – era stato espropriato per creare uno dei comparti del mai completato Sistema direzionale orientale (Sdo), nato con l’obiettivo di decentrare funzioni amministrative dal centro città. Oggi, invece, potrebbe essere occupato da una mega-infrastruttura a uso prevalentemente privato.
Lunedì 12 maggio, una folla di un centinaio di persone – costituita da residenti riuniti nel “Comitato Sì al parco, No allo stadio”, ed esponenti di associazioni ambientaliste come Extintion Rebellion – ha dato vita a un presidio di protesta nell’area di via degli Aromi, dove avrebbero dovuto iniziare i sondaggi archeologici propedeutici alla costruzione del nuovo stadio. Il sit-in è stato preceduto da un esposto ai carabinieri forestali, firmato dall’eurodeputato Dario Tamburrano, dal consigliere comunale Daniele Diaco e dal consigliere municipale Stefano Rosati (5 Selle), in cui si sottolinea che nell’area è presente un vero e proprio bosco urbano. Lo stesso agronomo incaricato dal Dipartimento ambiente, Mauro Uniformi, presidente dell’Ordine nazionale, ha constatato recentemente l’esistenza di almeno due ettari di bosco, all’interno di un’area verde pubblica di quattordici ettari, già prevista dal 1995. “Dopo tre anni – ha dichiarato l’associazione “A Sud” – è stato confermato quello che i comitati ripetono da tempo. Il verde va tutelato, soprattutto in zone dove il cemento ha già soffocato la possibilità di realizzare parchi, fondamentali per il benessere delle persone e per contrastare il cambiamento climatico”.
All’arrivo degli operai incaricati dei carotaggi, lunedì 12 mattina, i manifestanti si sono seduti a terra ostacolando l’ingresso dei mezzi. Le forze dell’ordine hanno tentato di aprire un varco, mentre il camion con i materiali ha dovuto fare marcia indietro per il passaggio di un’ambulanza intervenuta per prestare soccorso ad alcuni presenti. La tensione crescente ha portato al rinvio, e la questura ha annunciato che sono in corso verifiche per valutare eventuali responsabilità penali legate all’occupazione della sede stradale da parte dei manifestanti. Con il disegno di legge “sicurezza”, con questo tipo di azioni si rischiano pene sempre più severe. Subito dopo il presidio, il Campidoglio ha risposto ai manifestanti: “È legittimo il dissenso” – ha dichiarato l’assessore all’urbanistica, Maurizio Veloccia – “ma non è accettabile che attività lecite e autorizzate vengano bloccate da proteste estemporanee. Abbiamo deciso di rinviare i sondaggi per evitare tensioni, ma questi interventi si dovranno fare nel rispetto delle regole”.
Lo stadio si farà. Anche se, secondo i comitati, le criticità del progetto sono molteplici: la carenza cronica di verde, in un quartiere nato durante il boom edilizio, l’aggravarsi dei problemi di mobilità in una zona già densamente abitata e congestionata, e la totale assenza di un percorso di confronto pubblico su un’opera così impattante. Altro nodo della protesta è l’assenza di qualsiasi beneficio per la popolazione locale. “Il progetto è nelle mani di una dirigenza americana – accusano i comitati –, e non prevede ritorni concreti per il territorio: né nuovi servizi, né spazi pubblici, né investimenti sociali”.
C’è chi propone soluzioni alternative: bonificare aree abbandonate, come i tratti dismessi della Pontina, o riconvertire edifici industriali lasciati al degrado, riducendo l’impatto ambientale e riportando valore in zone già compromesse. “Non si può trattare il verde incolto come spazio vuoto in attesa di essere riempito – scrivono –, né ignorare le ricadute ambientali e sociali che un impianto sportivo di queste dimensioni avrebbe su tutto il quadrante”.
Questo tipo di proteste è stato spesso identificato con l’acronimo Nimb, Not in my back yard (“Non nel mio cortile”), frase che indica la protesta da parte di membri di una comunità locale contro la realizzazione di opere pubbliche con impatto rilevante in un territorio che viene da loro avvertito come essenziale per la loro quotidianità, “ma che non si opporrebbero alla realizzazione di tali opere in un altro luogo per loro meno importante”. Eppure, come dimostra la rete che si è creata tra le varie lotte – dal già citato porto di Fiumicino, alla centrale Snam di Sulmona, dal rigassificatore di Piombino, alle proteste contro l’ampliamento dell’aeroporto di Firenze –, non si tratta tanto di difendere il proprio angolo di mondo, quanto piuttosto di pretendere un’attenzione verso l’ambiente e le comunità, che non sia meramente economica. Nonostante il problema sia a monte – per l’attuale situazione climatica bisognerebbe evitare la costruzione di nuove grandi opere non strettamente necessarie, e agire invece sull’esistente –, gli enti pubblici e privati che si fanno carico della responsabilità storica di costruire devono compensare, con benefici ambientali e sociali, l’impatto negativo che creano. Del resto, il caso dello stadio della Roma stride con quanto avvenuto in altri contesti internazionali, dove la costruzione di impianti sportivi di grandi dimensioni è stata accompagnata da misure di compensazione ambientale, infrastrutturale e sociale. A Londra, per esempio, la realizzazione del nuovo Tottenham Hotspur Stadium è stata associata a un piano di rigenerazione che ha incluso housing sociale, fondi per la comunità locale, e la creazione di nuovi spazi per i residenti del quartiere. Anche in Francia la costruzione di un enorme stadio ha implicato alcuni interventi per l’ambiente: il Parc Olympique Lyonnais è stato edificato con interventi di piantumazione di alberi, protezione delle aree naturali circostanti, e con la creazione di un eco-distretto, con strutture sportive, culturali e spazi pubblici.
Nel caso di Roma, invece, le cittadine e i cittadini denunciano come un altro pezzo di città sia dato in pasto al profitto, mentre la politica abdica al suo compito di ascolto, mediazione e progettazione per il bene comune. Se si costruisce con opere così, allora il futuro è già compromesso.
Nella foto: il bosco di Pietralata