
A suo tempo, il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, aveva dichiarato che avrebbe favorito il lavoro dei pubblici ministeri, Roberto Terzo e Federica Baccaglini; ma, dopo l’avviso di conclusione delle indagini che ha prodotto atti per decine di migliaia di pagine, ha deciso di non farsi interrogare, preferendo inviare agli inquirenti una memoria difensiva, al fine di far fronte all’accusa di corruzione che lo vede coinvolto. Una scelta peraltro condivisa da quasi tutti i numerosi indagati, in primo luogo dai suoi due bracci destri, Morris Ceron, direttore generale e capo di gabinetto, e dal vice Derek Donadini.
Si tratta di due fedeli ragazzi di bottega, cresciuti all’ombra dell’imprenditore e da lui beneficati. Una volta che il loro padrone, fondatore dell’agenzia interinale Umana Spa, era diventato sindaco, si sono visti proiettati – loro, poveri ragazzi originari dell’entroterra – direttamente a Ca’ Farsetti, sede storica del Comune di una Venezia la cui popolazione, come si sa, è in via di estinzione, ma che resta sempre a suo modo il centro del mondo.
La linea scelta dalla difesa ha avuto anzitutto lo scopo di non esporre gli indagati ai pericoli in cui sarebbero potuti incorrere accettando un confronto diretto con i magistrati. Del resto, al sindaco e ai suoi collaboratori consentiva anche di evitare l’esposizione mediatica che un interrogatorio in piena regola avrebbe comportato. Se la notizia della richiesta di rinvio a giudizio era in qualche modo attesa, non per questo è stata accolta con indifferenza da una città che si è sentita ferita dallo scandalo scoppiato il 16 luglio scorso, che ha infangato i vertici dell’amministrazione in carica. Una città che non ha ancora dimenticato la “grande retata” del 4 giugno 2014 – clamoroso sviluppo dell’inchiesta sugli appalti per il Mose – che aveva coinvolto imprenditori, manager, amministratori e politici di primo piano. Fu quello il giorno che vide gli arresti domiciliari dell’allora sindaco, Giorgio Orsoni – ultimo eletto dal centrosinistra, accusato di finanziamento illecito ma non di corruzione – e la custodia cautelare del presidente della Regione, Giancarlo Galan, ex deputato di Forza Italia.
I due pm hanno richiesto di rinviare a giudizio, oltre a Brugnaro, altri trentatré indagati, mentre l’ex assessore alla mobilità, Renato Boraso, ha già chiesto un patteggiamento a tre anni e dieci mesi, con la confisca di quattrocentomila euro. Il sindaco e i suoi due più stretti collaboratori sono sotto accusa per la trattativa sui terreni dei Pili, un’area inquinata dalle attività industriali di Marghera, sita nella zona dell’imbocco del Ponte della Libertà che conduce a Venezia. L’area, che per essere utilizzata deve essere bonificata, fu acquistata dal Demanio, nel 2006, da Luigi Brugnaro, unico partecipante alla gara per cinque milioni di euro, in un’epoca in cui il sindaco era ancora un imprenditore che intratteneva buoni rapporti e faceva affari con le amministrazioni di centrosinistra. Successivamente, i terreni sono entrati nel Piano urbano della mobilità sostenibile, approvato nel 2022 dalla Città metropolitana, di cui Luigi Brugnaro nel frattempo era diventato sindaco. In virtù di questo Piano, il sindaco Brugnaro espropria, con sessanta milioni di denaro pubblico, un’area che il cittadino Brugnaro aveva pagato cinque milioni di euro, consentendogli così di intascare una plusvalenza di ben cinquantacinque milioni!
Secondo la ricostruzione della procura, Brugnaro e i due collaboratori avrebbero cercato di vendere i Pili a un magnate di Singapore, Ching Chiat Kwong, in cambio della promessa di un aumento di cubatura, senza peraltro rendergli noto il grave inquinamento dei terreni. All’inizio, si sarebbe parlato di una cifra di ottantacinque milioni di euro, lievitata in seguito a centocinquanta milioni, quando si era concretizzata la possibilità di edificare oltre 340mila metri quadri, tra grattacieli alti cento metri, un centinaio di ville, un palasport, un casinò e una casa di riposo. Il tutto avrebbe dovuto essere costruito sulla gronda lagunare che si affaccia su Venezia, con l’incontestabile risultato di sconvolgere lo skyline cittadino. Nella progettazione, sarebbe stata coinvolta la società trevigiana Sama Global, il cui referente è quel Claudio Vanin, diventato grande accusatore di Brugnaro. Nel corso delle indagini, Ching ha sostenuto che era stata la proprietà dei terreni – ovvero Brugnaro – a insistere per la vendita dell’area, mentre lui avrebbe preferito una joint venture per dividere il rischio d’impresa. La conclusione, cui i due pm sono giunti, ha fatto scattare per il sindaco di Venezia e i suoi due più stretti collaboratori l’ipotesi del concorso in corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio. E nella corruzione sono coinvolti Ching Chiat Kwong, il suo rappresentante in Italia, Luis Lotti, più il summenzionato imprenditore trevigiano, Claudio Vanin.
Sindaco e collaboratori sono stati altresì indagati per la vendita a Ching del Palazzo Papadopoli, ex comando dei vigili urbani, a due passi dal Piazzale Roma, a un prezzo ritenuto scontato. L’edificio era valutato quattordici milioni di euro anni fa, ma è stato poi venduto a 10,8 milioni. Per l’accusa, questo sarebbe stato lo sconto applicato a Ching per favorire l’affare dei Pili, mentre, per la difesa di Brugnaro, si tratterebbe dell’adeguamento di un prezzo troppo alto ai valori reali del mercato immobiliare, dopo che due aste per la sua vendita erano andate deserte.
In tutta questa vicenda, l’assessore Renato Boraso, l’unico ad avere trascorso alcuni mesi in carcere per passare poi ai domiciliari, avrebbe preso una tangente di 73mila euro mascherata da falsa consulenza. Una pratica cui sarebbe stato avvezzo, e che lo avrebbe spesso visto chiedere soldi tramite il pagamento di consulenze fittizie, in cambio dell’aiuto prestato ad alcuni imprenditori amici. Una registrazione resa di pubblico dominio conferma che Brugnaro sia stato a conoscenza del comportamento del suo assessore, al quale aveva anche raccomandato di stare attento a quello che faceva, anziché togliergli le deleghe e denunciarlo alla magistratura, come sarebbe stato suo dovere.
Sul piano procedurale, la richiesta dei pm dovrà essere valutata dal giudice delle udienze preliminari, che deciderà se dare vita o meno a un processo che potrebbe portare il sindaco di Venezia sul banco degli imputati. In attesa di conoscere la decisione del giudice, lo scandalo ha confermato l’opacità della gestione Brugnaro dovuta al suo immane conflitto di interessi, solo in parte attenuato dalla furbata di ricorrere, nel 2018, a un blind trust che, secondo i suoi critici, gli consente in realtà di non perdere il controllo del suo patrimonio.
Sindaco da quasi dieci anni, Brugnaro non ha mai preso un centesimo del suo compenso di amministratore cittadino, destinando le somme di sua spettanza ad associazioni di suo gradimento. Nel frattempo, molte delle aziende della sua galassia imprenditoriale e altre aziende che operano nel sistema comunale, queste ultime spesso sponsor dell’Umana Reyer, la sua squadra di basket, hanno visto aumentare i propri introiti. Da quando è iniziato il suo mandato, Umana Spa è passata da trecentocinquanta milioni a un miliardo di fatturato.
Brugnaro è riuscito a consolidare un sistema in grado di assicurargli il consenso. Ultimamente, ha giocato la carta del Bosco dello Sport, un progetto che sta sorgendo a Tessera, che prevede un polo sportivo, con uno stadio polifunzionale, un’arena coperta e aree attrezzate per lo sport. Compreso il palazzetto, dove finalmente la sua squadra di basket avrà un luogo adeguato in cui giocare. Il progetto costerà attorno ai trecento milioni di euro, spesa in parte coperta dai cento milioni arrivati da una regalia del governo centrale, politicamente affine alla giunta veneziana, per compensare quelli che erano stati chiesti al Pnrr ma che non erano stati concessi. Altri cento arriveranno dall’avanzo del Comune, e i restanti 68-70 milioni da un mutuo.
Mentre i numerosi sportivi plaudono entusiasti alla realizzazione di uno stadio di calcio, da decenni promesso e mai concretizzato, le opposizioni stigmatizzano l’impiego di soldi pubblici e l’indebitamento cui dovrà far ricorso il Comune per la realizzazione di una struttura che normalmente viene finanziata dai privati. Lamentando lo stato di abbandono in cui versa il patrimonio edilizio pubblico, in una città in cui proliferano gli affitti turistici, l’opposizione accusa compatta l’amministrazione comunale di avere impiegato male fondi che avrebbero potuto essere spesi in alloggi necessari a contrastare, se non a invertire, la tendenza allo spopolamento.
La richiesta di rinvio a giudizio ha rappresentato un’occasione ghiotta per la stampa locale, che negli ultimi mesi ha puntato a tenere calda un’opinione pubblica divisa tra i sostenitori del sindaco in carica, con supporter “Il Gazzettino” di Francesco Gaetano Caltagirone, e i suoi detrattori, sostenuti dalla “Nuova Venezia”, quotidiano passato dal gruppo Gedi a Enrico Marchi, un nemico giurato di Brugnaro, patron della società Save che gestisce l’aeroporto. Se, da una parte, “Il Gazzettino” – giornale storico di Venezia, da sempre allineato con la destra – non ha nascosto le sue simpatie per il sindaco, la “Nuova Venezia” ha guidato la battaglia contro Brugnaro, facendo persino uscire “Palude Venezia”, un instant book dato in omaggio con il giornale, che racconta l’inchiesta della procura sul malaffare veneziano. Quanto all’edizione veneta del “Corriere”, nella migliore tradizione della casa madre, dà un giorno un colpo al cerchio e il giorno seguente uno alla botte.
La vicenda giudiziaria che ha investito Brugnaro, in qualsiasi modo potrà concludersi, segna il triste epilogo della sua parabola politica. Alla carica di sindaco, Brugnaro sotto sotto, ci ha sempre pensato. Naufragata nel 2014 la giunta di Giorgio Orsoni, e preparandosi il centrosinistra in vista della nuova tornata elettorale dell’anno successivo, dopo il periodo commissariale, Brugnaro propose la sua candidatura al segretario provinciale del Pd, mettendo a disposizione anche molti fondi, ma con una unica condizione: evitare il passaggio delle primarie. Una condizione che il Pd di allora non poteva accettare. L’affermazione alle primarie di Felice Casson, rappresentante dell’ala sinistra del Pd, e la sua automatica candidatura a sindaco, spinse Brugnaro a rompere gli indugi e a scendere in campo con una lista civica, i fucsia, equidistante tra destra e sinistra. Mediante una campagna che non badò a spese, Brugnaro riuscì allora a giocare la carta dell’imprenditore di successo, chiamato a rimediare ai guasti prodotti da tanti anni di governi di centrosinistra, spazzati via dallo scandalo del Mose, su cui, peraltro, non avevano grandi colpe. Con l’andar del tempo, il carattere civico dei fucsia è andato via via stemperandosi, mentre crescevano Lega e Fratelli d’Italia. Un mix saldamente tenuto a bada dallo spirito accentratore del sindaco e dalla sua propensione a comandare, mutuato dal modello imprenditoriale con cui ha governato Umana Spa, azienda nata con il sostegno di Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro, e della Cisl.
Privo di una qualsiasi idea di città diversa dal perseguimento di uno sviluppo economico infinito, col suo neoliberismo ha imposto una visione “economicista”, che ha sacrificato l’interesse pubblico favorendo quello dei privati. Approfondendo e portando sfacciatamente all’estremo una scelta già operata nei fatti dalle precedenti amministrazioni di centrosinistra guidate da Cacciari, Costa e Orsoni, dei quali Brugnaro può essere considerato una sorta di epigono, di certo meno colto e più ruspante. Capace di creare un sistema di appalti, di favori, di pressioni e di affari, privilegiando le potenzialità di produrre reddito offerte dall’unicità dell’urbs, ha soffocato i diritti della civitas, non facendo nulla, se non a chiacchiere, per contrastare il processo che sta trasformando Venezia in un “parco a tema”. Ha favorito di fatto il processo di espulsione dei cittadini, che, contrariamente alle promesse della prima campagna elettorale, lungi dall’aumentare di ventimila unità, sono calati, durante il suo mandato, a una media di mille abitanti all’anno. Amante delle ronde notturne in terraferma, con la sua polizia locale quando può sfoggiare baldanzosamente la mimetica, era stato eletto con la promessa di riportare la sicurezza. Ma le sue ricette semplicistiche e inefficaci, basate sulla repressione, hanno consentito a Mestre di trasformarsi nella città con il più alto numero di morti per overdose, e a Venezia di diventare il paradiso delle borseggiatrici provenienti dall’Est e organizzate da racket criminali, oltre che quello della cafonaggine dei molti turisti maleducati. Non è servita a tranquillizzare l’opinione pubblica cittadina la partecipazione al carnevale del 2018, travestito (beffardamente?) da Batman, in compagnia di un suo giovane assessore nei panni di Robin. Tanto più che, con la vicenda giudiziaria in corso, non sono pochi a Venezia che in lui, più che l’eroe mezzo uomo e mezzo pipistrello, identificano l’avversario Joker.
Quasi alla fine del suo secondo mandato, ha fatto circolare l’intenzione di presentarsi alle regionali quale rappresentante della coalizione di destra che lo sostiene, proponendo una sorta di scambio di poltrona con Luca Zaia, pure lui in cerca di nuovo impiego. Com’era ampiamente prevedibile, la sua disponibilità a occupare il vicino Palazzo Balbi, sede della Regione, è stata sepolta da un assordante silenzio. Intanto, con l’avvicinarsi delle elezioni comunali del prossimo anno, gli assessori che avevano aderito alla lista dei fucsia, la prima formazione con cui l’allora “Guazzaloca in saor” aveva vinto le elezioni nel 2015, stanno ora cercando nuove collocazioni. Mentre Coraggio Italia, con cui Brugnaro sognava di raggiungere il 20% dell’elettorato moderato, per lanciarsi così sul palcoscenico della politica nazionale, non è mai decollata a livello locale, e con Noi Moderati di Maurizio Lupi sta stabilmente attorno all’1%. Come molti altri, in quest’epoca di politici “scappati di casa”, anche Brugnaro non ha resistito alla tentazione di farsi scrivere un libro, che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto costituire il trampolino di lancio per una nuova gloriosa avventura, una volta finita la sindacatura. L’ha intitolato Ci giudicheranno i bambini, i soggetti del futuro per i quali ha sempre dichiarato di voler lavorare. Ma forse non dovrà attendere tanto. A quanto pare, infatti, non lo giudicheranno solo i bambini, lo farà prima la magistratura.