
In Italia la “guerra per banche” è in pieno svolgimento, ma in pochissimi se ne sono accorti. I termini tecnici – l’opacità delle manovre e la comunicazione edulcorata delle fonti istituzionali, a partire dal governo Meloni – allontanano l’interesse dell’opinione pubblica, e sono soprattutto i media specializzati a seguire l’andamento delle notizie che apparentemente sono squisitamente finanziarie. Ma lo scontro, in realtà, è politico. Così, nonostante la disattenzione generale per questioni che dovrebbero interessare tutti i cittadini in quanto correntisti e risparmiatori, il risiko bancario è ormai in pieno corso, con il tentativo di scalata di Unicredit a Milano su Bpm e di Caltagirone e compagni con il Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca (e Generali). E non si tratta appunto solo di dinamiche finanziarie e di battaglie combattute nei salotti di quello che, una volta, era il campo dei poteri forti. Il risiko trascina con sé varie conseguenze e derivazioni, che incidono sulla politica nazionale e sul rapporto tra il nostro Paese e l’Europa.
La notizia più recente riguarda l’intervento della Commissione europea contro la decisione del governo italiano di ricorrere allo strumento (rarissimo) del “golden power” per bloccare la scalata di Unicredit al Banco popolare di Milano. L’Europa contesta la decisione di palazzo Chigi, che si sta opponendo in tutti i modi all’operazione Unicredit, adducendo motivi di sicurezza nazionale. Il ministro Giorgetti e la premier Meloni hanno infatti deciso di ricorrere al “golden power” perché è uno strumento normativo che permette ai governi sovrani di bloccare o imporre particolari condizioni a specifiche operazioni finanziarie, che potrebbero avere effetti sui settori strategici. Uno strumento, insomma, che era stato pensato per salvaguardare l’interesse nazionale da possibili incursioni straniere. Con il decreto legge del 2012, erano state introdotte, nel contesto legislativo italiano, norme in materia di poteri speciali da affidare al governo sulle dinamiche degli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni. Sulla finanza si era poi intervenuti più di recente nel 2022, dopo la crisi pandemica.
Esercitando questo potere speciale, il governo ha chiesto a Unicredit di soddisfare alcune rigide condizioni per poter procedere all’acquisizione: condizioni che, secondo il management della banca, avrebbero reso l’operazione non più redditizia. L’intervento del governo Meloni è straordinario da tutti i punti di vista. Il “golden power” essendo stato pensato per limitare le influenze straniere su settori considerati cruciali per l’economia e la sicurezza del Paese, non era mai stato usato per condizionare un’operazione tra società italiane. Dove vanno cercate dunque le motivazioni di questo intervento “nazionale” così pesante? Siamo in presenza di un ritorno all’antico statalismo contro il libero dispiegarsi della competizione di mercato?
Se si rimane fermi alle dichiarazioni ufficiali si capisce ben poco. Quale sarebbe l’attacco, l’invasione straniera nella finanza italiana? Giorgetti e Meloni non lo hanno spiegato, ma si può supporre che il ricorso al “golden power” possa essere motivato dalla composizione azionaria di Unicredit, dove sono presenti anche fondi stranieri, americani e inglesi in particolare. Il governo di Roma ci vorrebbe dunque difendere dalle manovre dell’americana BlackRock (uno degli azionisti di Unicredit)? Ma come? Non era proprio BlackRock il riferimento del ministro Giorgetti quando si è trattato di impostare la strategia delle nuove possibili manovre di privatizzazione di pezzi importanti dell’economia italiana (di cui abbiamo già parlato qui)?
I giornali specializzati, e alcuni siti di attualità, hanno messo in evidenza la pretestuosità delle motivazioni date dal governo, che ha cercato di camuffare il suo intervento con ragioni tecniche e finanziarie, nascondendo le valutazioni politiche di fondo, che potremmo rintracciare in due ambiti. Anzitutto c’è la netta scelta politica del governo Meloni di stare dalla parte di Francesco Gaetano Caltagirone, che con il Monte dei Paschi di Siena (salvato con soldi pubblici e dove è presente il Mef) sta cercando di scalare Mediobanca per arrivare alle Generali, la vera cassaforte del risparmio degli italiani. Tra le manovre espansionistiche di Unicredit e quelle del Monte dei Paschi di Siena, il governo ha scelto da tempo da che parte stare.
L’altra motivazione che si potrebbe individuare dietro la scelta di palazzo Chigi di intervenire a gamba tesa nelle dinamiche del mercato riguarda, nello specifico, la natura di Bpm, che è una banca nella quale la Lega ha forti interessi perché molto radicata in Lombardia. Se si cambiasse la proprietà, questo legame con il territorio e con la politica – ha scritto “Il Post” – verrebbe meno. La linea del governo Meloni è dunque alquanto ondivaga e cerchiobottista. Da una parte, si invocano gli interessi nazionali e il radicamento delle banche nel territorio; dall’altra, si stabiliscono rapporti diretti con il grande capitale internazionale e fisicamente con i grandi capitalisti, come abbiamo visto nella serie di incontri tra i rappresentanti del governo italiano e i vari Larry Linch ed Elon Musk.
Angelo De Mattia, ex direttore centrale di Bankitalia e grande esperto di questioni finanziarie, qualche mese fa aveva scritto che, in quanto all’Opa Unicredit, la premier Giorgia Meloni ha dichiarato la neutralità del governo, essendo l’operazione qualificabile come di mercato. Aveva poi confermato piena fiducia al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ma aveva comunque precisato che il governo ha gli strumenti per intervenire qualora dovesse rilevare che l’operazione non rientri nell’ambito dell’interesse nazionale. Cosa che puntualmente ha fatto ricorrendo ora al “golden power”. “A parte la formula adottata – scrive De Mattia – quanto meno si sarebbe dovuto fare riferimento a un non contrasto con gli interessi nazionali e a come ciò si colleghi, secondo l’esecutivo, con l’applicabilità del ‘golden power’”. Non si fa riferimento, invece, all’intervento che sarebbe dispiegabile con maggiore fondamento, riguardante la condizione del Tesoro quale primo azionista del Monte dei Paschi. Due pesi e due misure, insomma. Le ragioni nazionali valgono per le manovre Unicredit, non per quelle del Monte dei Paschi.
Che succederà ora? Bruxelles ha dato venti giorni lavorativi di tempo all’Italia per presentare le sue osservazioni in merito al decreto “golden power”. Il termine, che scade l’8 agosto, è contenuto nella lettera della Commissione Ue che porta la firma della vicepresidente Teresa Ribera (a capo della divisione Antitrust). “La Commissione è giunta alla conclusione preliminare che l’Italia ha violato l’articolo 21 del Regolamento Concentrazioni”. Nel frattempo, è intervenuto anche il Tar del Lazio che ha accolto solo una parte del ricorso di Unicredit, con una sentenza ambigua che ha dichiarato illegittime solo alcune condizioni poste dal governo. Poi c’è stato un nuovo colpo di scena nel risiko bancario. Mentre Unicredit era ancora in attesa della sentenza del Tar del Lazio, i francesi del Crédit Agricole hanno deciso di rafforzare la loro presenza in Bpm, la banca guidata da Giuseppe Castagna, e hanno dichiarato di essere pronti a salire oltre il 20% del capitale. Crédit Agricole ha annunciato, infatti, che richiederà l’autorizzazione della Banca centrale europea per superare la soglia del 20% del capitale in Bpm. Il gruppo francese, che attualmente si trova al 19,8% della banca italiana, specifica che il Consiglio di amministrazione ha già approvato la richiesta di autorizzazione alla Bce con l’obiettivo di rafforzare il proprio investimento, ma senza volere “acquisire né esercitare il controllo su Banco Bpm”, mantenendo la propria partecipazione al di sotto della soglia di Opa obbligatoria. Capiremo qualcosa di più dai prossimi episodi?