
L’Unione europea dispone ora di un quadro completo e obiettivo delle violazioni del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani, commesse da Israele contro i palestinesi a Gaza e in Cisgiordania, in risposta agli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre 2023. Venerdì 20 giugno, l’Alta rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza comune, Kaja Kallas, ha consegnato ai ministri degli Esteri dei ventisette un rapporto di sei pagine, come base per la discussione sulla revisione dell’Accordo di associazione Ue-Israele, prevista dal Consiglio Ue del 23 giugno.
Il rapporto conclude che “sulla base delle valutazioni effettuate da istituzioni internazionali indipendenti”, e in particolare dalla Corte internazionale di giustizia (Cig), dall’Ufficio dell’Alto commissariato per i diritti umani (Ohchr), dalla Corte penale internazionale (Cpi), dal Rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite per i bambini e i conflitti armati, dal Comitato Onu sui Diritti dell’infanzia e dall’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), “vi sono indicazioni che Israele violerebbe i propri obblighi in materia di diritti umani ai sensi dell’articolo 2 dell’Accordo di associazione Ue-Israele”. L’articolo 2 stabilisce che “le relazioni tra le Parti, nonché tutte le disposizioni dell’Accordo (…), si basano sul rispetto dei diritti umani e dei principi democratici, che guidano la loro politica interna e internazionale e costituiscono un elemento essenziale” dell’Accordo stesso.
L’Unione, tuttavia, continua a essere paralizzata dalle proprie procedure di voto all’unanimità nelle decisioni di politica estera, e anche, in questo caso, dalla forte riluttanza che hanno diversi Stati membri (compresi Italia e Germania) ad assumere posizioni critiche verso Israele. La sospensione dell’Accordo con Israele non sembra possibile (sarebbe necessario il consenso unanime dei ventisette Paesi), ma appaiono problematiche anche misure parziali e temporanee in alcuni settori, come il commercio, per le quali potrebbe bastare la maggioranza qualificata. Inoltre, l’escalation causata dal nuovo conflitto tra Israele e Iran, e soprattutto dagli attacchi americani ai siti nucleari iraniani, nella notte tra il 21 e il 22 giugno, sta eclissando la vicenda di Gaza nell’attenzione dei media e delle diplomazie internazionali.
Ma, indipendentemente dalle conseguenze che avrà (e che potrebbe non avere) nelle relazioni tra l’Unione europea e Israele, il rapporto resta una pietra miliare nella denuncia delle deliberate violazioni delle regole del diritto internazionale riguardo al trattamento delle popolazioni civili, da parte dello Stato ebraico come potenza occupante, e del suo esercito nella guerra a Gaza. Una testimonianza che non può e non deve essere ignorata.
Il rapporto è stato elaborato, su richiesta di Kaja Kallas, dall’Ufficio del rappresentante speciale dell’Unione per i diritti umani, il diplomatico svedese Olof Skoog. All’inizio del testo, si precisa che “basandosi su fatti verificati e valutazioni effettuate da istituzioni internazionali indipendenti, e concentrandosi sui più recenti eventi a Gaza e in Cisgiordania, la nota fornisce una breve panoramica delle severe accuse di gravi violazioni del diritto internazionale dei diritti umani (Ihrl) e del diritto internazionale umanitario (Ihl)”. Il rapporto, inoltre, “si concentra sulle presunte violazioni commesse da Israele nei Territori palestinesi occupati”, mentre “le violazioni commesse da Hamas e da altri gruppi armati palestinesi non rientrano nell’ambito di applicazione” del documento, che – si puntualizza – “non include alcun giudizio di valore da parte dell’Ufficio del rappresentante speciale per i diritti umani, dell’Alta rappresentante/vicepresidente (della Commissione europea, ndr) o dell’Ue”.
“In risposta agli attacchi terroristici del 7 ottobre 2023, Israele ha lanciato un’intensa campagna militare, che ha comportato l’uso di armi con effetti ad ampio raggio in aree densamente popolate e severe restrizioni all’ingresso e alla distribuzione di beni e servizi essenziali” nella striscia di Gaza – ricorda il rapporto – che riassume poi le vicende degli ultimi mesi, dopo il cessate il fuoco dell’inizio 2025, che ha consentito temporaneamente un maggiore afflusso di aiuti umanitari. “Il 2 marzo 2025, per undici settimane, le autorità israeliane hanno imposto un blocco totale su Gaza, vietando l’ingresso di qualsiasi rifornimento, inclusi cibo, medicine e carburante”. E a partire dal 18 marzo, “Israele ha lanciato una nuova operazione militare: bombardamenti aerei, terrestri e marittimi e operazioni terrestri estese hanno causato vittime tra i civili, distruzione di infrastrutture civili, inclusi rifugi e materiale indispensabile alla sopravvivenza della popolazione, e sfollamenti su larga scala di persone”. Il 19 maggio, Israele ha temporaneamente consentito all’Onu di riprendere la consegna di quantità limitate di aiuti a Gaza, ma “carburante, rifornimenti per rifugi, prodotti per l’igiene e attrezzature mediche sono rimasti bloccati”.
Il rapporto dà molto rilievo alla denuncia dell’affidamento della distribuzione degli aiuti a un organismo militare, la Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), che si è reso responsabile dell’uccisione di decine di persone. “Il 27 maggio, Israele ha avviato un meccanismo di distribuzione militarizzata di rifornimenti alimentari. Gli attori umanitari delle Nazioni Unite hanno espresso preoccupazioni in merito al meccanismo, che ritengono incompatibile con i princìpi umanitari di umanità, imparzialità, neutralità e indipendenza, e inappropriato per la distribuzione di aiuti su larga scala. Le Nazioni Unite (…) hanno avviato un’indagine sugli attacchi mortali segnalati nei pressi dei siti di distribuzione degli aiuti da parte della Ghf”. “Il sistema militarizzato di distribuzione degli aiuti istituito da Israele – sottolinea il rapporto – solleva preoccupazioni, oltre a comportare la continua presenza di Israele (forze militari) nella striscia di Gaza. Il meccanismo è associato a ripetuti episodi di sparatorie contro palestinesi che cercano di accedere a rifornimenti alimentari, con conseguenti vittime di massa”.
A Gaza, secondo il rapporto, le possibili violazioni dei diritti umani da parte di Israele, in qualità di “potenza occupante”, riguardano innanzitutto gli aiuti umanitari bloccati, negati o limitati per la popolazione, e gli obblighi previsti dal diritto umanitario internazionale di trattare i civili con umanità, di fornire o facilitare l’ingresso e la distribuzione degli aiuti, di adottare misure per ripristinare e garantire, per quanto possibile, l’ordine pubblico e la sicurezza, e di rispettare “i princìpi di distinzione, proporzionalità e precauzioni in caso di attacco”.
Israele deve, “con tutti i mezzi a sua disposizione”, garantire standard igienici e di salute pubblica adeguati, e la fornitura di cibo e medicinali alla popolazione sotto occupazione, e accettare i programmi di soccorso a favore della popolazione stessa. “Il blocco degli aiuti umanitari – sottolinea ancora il rapporto – appare incompatibile con il principio di distinzione, in quanto colpisce indiscriminatamente l’intera popolazione di Gaza. Blocchi e chiusure sono stati descritti come equivalenti a punizioni collettive, vietate dal diritto internazionale umanitario”, che “prevede che le parti in conflitto debbano consentire e facilitare il passaggio rapido e senza ostacoli degli aiuti umanitari per i civili bisognosi, compresi i civili nemici, in modo imparziale e non discriminatorio, e soggetto al loro diritto di controllo”. Inoltre, “il diritto internazionale umanitario consuetudinario, così come il diritto penale internazionale (Statuto di Roma), vietano di dirigere intenzionalmente attacchi contro personale, installazioni o veicoli coinvolti nell’assistenza umanitaria”.
Altre possibili violazioni indicate nel rapporto riguardano il diritto internazionale dei diritti umani, e in particolare i diritti politici, economici, sociali e culturali, della popolazione di Gaza. “Il blocco colpisce tutti gli aspetti della vita dei palestinesi e, pertanto, viola la realizzazione e il godimento dei loro diritti umani, in violazione degli obblighi internazionali di Israele ai sensi dei pertinenti trattati sui diritti umani”. Tra l’altro, viene negato “il diritto al lavoro” dei palestinesi, e “la distruzione delle scuole compromette il diritto all’istruzione dei bambini”.
Nel 2024 – nota il rapporto – “la Corte internazionale di giustizia ha ordinato a Israele di garantire, in cooperazione con le Nazioni Unite, la fornitura senza ostacoli su vasta scala di servizi di base urgenti e assistenza umanitaria ai palestinesi in tutta Gaza, e di mantenere aperto il valico di Rafah, al fine di impedire che siano commessi atti rientranti nell’ambito della Convenzione sul genocidio”. L’Alto commissariato Onu per i diritti umani (Ohchr) ha indicato che il “livello senza precedenti di uccisioni e feriti di civili”, a Gaza, è stato “una conseguenza diretta del mancato rispetto, da parte delle Forze di difesa israeliane (Idf), dei princìpi fondamentali del diritto internazionale umanitario”, ovvero quelli di distinzione, proporzionalità e precauzione negli attacchi. Secondo l’Alto commissariato Onu, “delle morti palestinesi accertate, causate da attacchi contro edifici residenziali a Gaza, il 44% riguardavano bambini, principalmente bambini piccoli e neonati”. I dati sulla distribuzione delle vittime, per età e per genere, indicano “attacchi indiscriminati”. Inoltre, “l’uso di armi pesanti, comprese bombe paracadutate, per esempio su accampamenti di tende, solleva preoccupazioni circa il rispetto da parte di Israele dei princìpi di precauzione negli attacchi e di proporzionalità”. Nella sua ordinanza del 24 maggio 2024 – ricorda ancora il rapporto – la Corte internazionale di giustizia ha stabilito che “in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione sul genocidio, Israele deve immediatamente cessare la sua offensiva militare e qualsiasi altra azione nel governatorato di Rafah che possa infliggere al gruppo palestinese di Gaza condizioni di vita tali da comportarne la distruzione fisica, totale o parziale”.
Un’altra accusa dell’Alto commissariato Onu riguarda gli ospedali e le strutture mediche in tutta la Striscia, che le forze israeliane hanno attaccato “in modo apparentemente sistematico”. L’Ohchr ha individuato un vero e proprio “modello” applicato dagli israeliani contro queste strutture, con “attacchi diretti, assedi, l’uso di cecchini, raid, la detenzione apparentemente arbitrarie e i maltrattamenti di personale medico, pazienti e loro accompagnatori, e degli sfollati interni che si erano rifugiati negli ospedali”, nonché “l’uccisione di molti operatori sanitari di emergenza”. “In base al diritto umanitario internazionale, le strutture mediche sono infrastrutture protette. Anche se Israele sostiene che una struttura medica abbia perso la sua protezione a causa del suo utilizzo da parte di Hamas – si osserva nel rapporto –, deve comunque rispettare i princìpi di precauzione e proporzionalità del diritto internazionale umanitario. Inoltre, Israele ha il dovere di garantire e mantenere strutture e servizi medici in tutto il territorio occupato, compresa la striscia di Gaza, usando i mezzi a sua disposizione nella massima misura possibile”.
Ci sono poi le evacuazioni forzate dei palestinesi: “Il 90% della popolazione di Gaza è stata sfollata, spesso più volte, a causa delle operazioni militari israeliane e dei ripetuti ordini di sfollamento”. Le evacuazioni – precisa il rapporto – “possono essere disposte nel contesto delle ostilità”, ma “per motivi limitati (sicurezza della popolazione o imperativi motivi militari), su base temporanea e a condizione che la forza responsabile dell’ordine di evacuazione garantisca un alloggio adeguato, condizioni di vita e di sicurezza soddisfacenti per gli sfollati”. La durata dello sfollamento, unitamente all’entità della distruzione nell’area di origine, alle cattive condizioni di vita nelle “zone umanitarie” designate e ai ripetuti attacchi israeliani contro queste zone, “sollevano serie preoccupazioni circa la legalità delle evacuazioni”.
Un altro paragrafo è dedicato agli attacchi contro i giornalisti e agli operatori dei media palestinesi, che, “secondo quanto è stato riportato sono stati uccisi in gran numero, probabilmente a seguito di attacchi diretti”. E se “l’interruzione delle comunicazioni nemiche può costituire un valido obiettivo militare”, queste operazioni contro le infrastrutture civili – puntualizza il rapporto – devono tuttavia “rispettare i princìpi di distinzione, proporzionalità e precauzioni negli attacchi. Giornalisti e operatori dei media sono protetti dal diritto umanitario internazionale in quanto civili”.
Vengono denunciati poi il “mancato accertamento delle responsabilità” e le mancate indagini da parte di Israele nei casi di violazioni del diritto umanitario e di presunti atti di tortura. In base al diritto internazionale, “uno Stato che accerta che violazioni o crimini possano essere stati commessi nell’ambito della propria giurisdizione deve garantire che tutte le parti siano chiamate a rispondere delle proprie azioni. In caso contrario, meccanismi sovranazionali possono intervenire per indagare e/o perseguire” i responsabili. “Nel contesto di Israele e dei Territori palestinesi occupati – rileva inoltre il rapporto –, gli osservatori hanno deplorato la persistente mancanza di accertamento delle responsabilità”, e “la mancanza di indagini efficaci sulle accuse di tortura o maltrattamenti ai danni di palestinesi nei centri di detenzione israeliani, nonostante le testimonianze esistenti”. Come ha rimarcato la Corte internazionale di giustizia, nella sua ordinanza del 24 maggio 2024, “a oggi, Israele non ha concesso l’accesso ad alcuna commissione d’inchiesta, missione di accertamento dei fatti o altro organo investigativo incaricato dalle Nazioni Unite”.
Riguardo alla Cisgiordania, il rapporto rileva “l’impatto e gli ostacoli al godimento dei diritti umani” dei palestinesi “derivanti dalle politiche e dalle pratiche israeliane”, che “sono ampiamente documentati”. E nota che “le tendenze negative in materia di discriminazione, oppressione e violenza contro i palestinesi sono peggiorate dal 7 ottobre, con una crescente tensione tra palestinesi e israeliani e una continua espansione degli insediamenti” da parte dei coloni. Sono stati segnalati “un uso eccessivo e illegale della forza”, “attacchi da parte di coloni israeliani, con vittime e feriti palestinesi, uccisioni di militari e civili israeliani, gravi violazioni contro i minori, tra cui uccisioni e mutilazioni di bambini, diniego di accesso umanitario (anche per chi ha bisogno di cure mediche specialistiche), attacchi a scuole e ospedali”, e poi “arresti e detenzioni arbitrari o illegali, maltrattamenti e violenza di genere”.
Nel luglio 2024, la Corte internazionale di giustizia ha individuato sei tipologie di violazioni del diritto internazionale associate alla politica di consolidamento ed espansione degli insediamenti: 1) il trasferimento, da parte di Israele, della propria popolazione (coloni) in Cisgiordania; 2) la confisca e requisizione di terreni nei Territori occupati; 3) lo sfruttamento delle risorse naturali; 4) l’estensione della legge israeliana ai Territori occupati; 5) il trasferimento forzato di palestinesi; 6) la violenza dei coloni. La Corte internazionale ha inoltre riscontrato che il regime israeliano di restrizioni imposte ai palestinesi nei territori “costituisce una discriminazione sistemica basata, tra l’altro, sulla razza, la religione o l’origine etnica”, e una violazione del divieto di segregazione razziale e apartheid. Come appare evidente, Israele non rispetta il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione. Non solo. “Le pratiche israeliane di detenzione amministrativa e altre forme di detenzione arbitraria di palestinesi sono aumentate sostanzialmente già nel 2023. Secondo quanto riferito, gli arresti spesso hanno comportato violenza, percosse, umiliazioni e trattamenti inumani e degradanti, in alcuni casi equivalenti a tortura”. E dopo il 7 ottobre 2023, “queste condizioni si sono ulteriormente deteriorate, con il governo israeliano che ha ulteriormente limitato l’accesso a cibo, acqua, servizi igienici ed elettricità, cure mediche, media e informazione, visite familiari e il diritto di consultare un rappresentante legale. Molti detenuti, tra cui bambini, anziani e donne, sono stati sottoposti a violenze”. “Il numero esatto e le circostanze dei decessi tra i detenuti palestinesi in custodia israeliana è sconosciuto (sono emerse accuse di tortura e maltrattamenti), a causa del rifiuto delle autorità israeliane di fornire informazioni sulla sorte e sul luogo in cui si trovano i detenuti palestinesi, di consentire l’accesso al Comitato internazionale della Croce rossa, ma anche di rilasciare i corpi dei defunti, il tutto in violazione del diritto internazionale” – conclude il rapporto.