
Spaccata in due. Ancora una volta, nel ballottaggio di domenica primo giugno, la Polonia ha confermato il proprio complicato bipolarismo. Alla fine, si è affermato per un soffio il sovranista Karol Nawrocki del partito Diritto e giustizia, che ha preso il posto del suo compagno di partito, Andrzej Sebastian Duda. Il nuovo presidente della Repubblica ha vinto con il 50,89% (10.606.628 voti) contro il sindaco liberale di Varsavia, l’europeista Rafał Trzaskowski, che ha conseguitoil 49,11% (10.237.177 voti). A nulla è servito il sostegno di Magdalena Biejal e Szyrmon Hołownia, candidati dei partiti progressisti Sinistra e Polonia 2050 (che fanno parte della maggioranza su cui si appoggia il governo Tusk), e che al primo turno avevano preso complessivamente poco meno del 10% dei voti.
Non è però da escludere che Trzaskowski abbia pagato il prezzo di un suo deciso spostamento a destra su temi quali l’immigrazione, il diritto all’aborto – quasi illegale in Polonia, la cui legge il governo Tusk non è riuscito a modificare – e i diritti Lgbtq+. Ricordiamo, che pur non essendo la Polonia una Repubblica presidenziale, il presidente ha tuttavia il potere di veto sulle leggi o di inviarle alla revisione giudiziaria. Veti che possono essere superati se si hanno i voti necessari, di cui però Tusk non dispone.
Al primo turno (vedi qui), il candidato liberale aveva ottenuto il 31,4% contro il 29,5% del suo avversario. Molto alta l’affluenza alle urne, il 71,63%, senza precedenti dalla fine del comunismo. I primi exit-poll davano per vincente il candidato gradito a Bruxelles, ma i numeri hanno poi dato ragione al leader di uno dei peggiori partiti della destra europea che, come previsto, si è avvalso anche dei voti di Sławomir Mentzen (vedi qui) la cui Confederazione (14,8% dei consensi) è ancora più a destra di Diritto e giustizia. Fino all’ultimo, la scelta che avrebbe fatto questo politico neofascista e antisemita era in forse, ma infine ha prevalso il pragmatismo.
Per capire lo scenario politico di cui stiamo parlando, ricordiamo che Tusk, il 15 ottobre 2023, si era affermato con la sua Coalizione civica, composta da Piattaforma civica, Iniziativa polacca e Nowoczesna, ottenendo il 30,50% dei consensi contro il 35,38% della destra, guidata allora da Jaroslaw Kaczynski. Soltanto l’alleanza con il partito di centro Terza, che aveva ottenuto il 14,40%, e con il partito socialdemocratico Nuova sinistra, gli aveva consentito di formare il governo. Quella vittoria, che sembrava poter condurre il Paese fuori dal pantano fascistoide della destra polacca, mise fine a otto anni di governo di Diritto e giustizia. Ora il sogno di Tusk, quello di avere un omologo a Palazzo Krasiński, si è infranto, e continua così a essere impervio il percorso dell’esecutivo.
Dicevamo dell’Europa. A dare una mano a chi detesta il vecchio continente è stato, ancora una volta, Donald Trump, impegnato a supportare i nazionalisti polacchi, confermando in questo modo la propria imbarazzante ingerenza negli affari interni europei. Oltre alla presenza a Varsavia della fedelissima del tycoon, Kristi Noem, nei giorni scorsi avevano trovato ospitalità anche i conservatori americani della Cpac (Conservative Political Action Conference),che hanno sostenutoapertamente Nawrocki. In consonanza con quanto succede negli altri Paesi dell’Europa dell’Est, anche in questo caso il nuovo presidente polacco non ha esattamente un passato politico o – se vogliamo – magari quello di un intellettuale o di un imprenditore prestato alla politica. Si tratta, invece, di un ex pugile dilettante senza alcuna esperienza politica, e proprio per questo scelto dal suo partito. Nawrocki ha impostato la campagna elettorale denunciando i crimini sia nazisti sia comunisti, che la Polonia ha subito negli anni Trenta e Quaranta, e in una chiave antieuropea e russofoba nello stesso tempo. Non rappresenta ovviamente una novità il sostegno ai valori tradizionali antiabortisti e contrari ai diritti Lgbtq+. Presente, nel suo programma, una stretta sull’immigrazione, e, malgrado il comune nemico, la fine o un ridimensionamento del sostegno polacco all’Ucraina e il “no” all’ingresso della stessa nella Nato.
In Europa il neopresidente ha l’appoggio dell’ungherese Viktor Orbán. Nessuna differenza, dunque, dalla politica di Duda, ma le cose cambiano quando si descrive il profilo del nuovo arrivato. Se il presidente uscente, infatti, è un giurista, un avvocato con un incarico universitario, il suo successore ha una biografia con episodi a dir poco imbarazzanti, che lo vedrebbero meglio collocato dietro le sbarre di una cella che nelle stanze della più alta istituzione polacca. Oltre ai legami con la criminalità organizzata, e il sospetto di avere gestito un giro di prostitute mentre lavorava in un hotel, il neopresidente è stato coinvolto anche in una maxirissa – da lui definita “nobile”, con riferimento alla “nobile arte” del pugilato. Senza dimenticare che fu sorpreso a sniffare nel corso di un dibattito sulle presidenziali.
Che metà della popolazione polacca non abbia esitato a sostenere un personaggio del genere non può che destare preoccupazione. Come dicevamo, nei fatti il quadro politico della patria di Giovanni Paolo II non cambia; e tuttavia l’estrema destra europea, che avrebbe potuto subire una battuta d’arresto, esce indenne da questa competizione. Fino al 2027, quando si terranno le politiche, tutto è destinato a restare immutato, con il governo che potrà cambiare poco o niente. Fra due anni, per riequilibrare la situazione e bloccare i veti presidenziali, i liberali e i loro alleati dovranno vincere nettamente. In caso contrario, per uno dei più importanti Paesi europei (ma non solo), sarà notte fonda.