
Se la Romania europeista pensava di risolvere il problema dell’estrema destra filorussa mettendo al bando il candidato Calin Georgescu (vedi qui), in testa al primo turno delle elezioni dello scorso 24 novembre, si sbagliava di grosso. Non si risolvono problemi di questa portata attraverso la magistratura e i servizi segreti. Così, domenica scorsa, ad affermarsi al primo turno della nuova tornata elettorale, dopo la cancellazione della precedente, è stato il suo “sostituto” George Simion, leader dell’Alleanza per l’unità dei romeni, con il 40% dei consensi; un risultato comunque insufficiente a evitare il ballottaggio del prossimo 18 maggio contro il sindaco di Bucarest Nicusor Dan, moderato e filo-occidentale, fondatore nel 2016 dell’Unione “Salvate la Romania”, arrivato secondo con il 20,89% dei consensi, di poco sopra il terzo incomodo, il candidato della coalizione di governo, Crin Antonescu, che ha raggiunto il 20,34%.
In un Paese parte dell’Unione europea e della Nato non si era mai visto un annullamento di un risultato elettorale, in questo caso della prima tornata, e conseguentemente anche del secondo turno previsto per l’8 maggio. Una decisione che aveva fatto discutere, perché molti osservatori l’avevano considerata un vulnus alla democrazia romena, evidentemente non attenuato dalle accuse rivolte a Georgescu, come gli abusi nel finanziamento della campagna elettorale e il sostegno a gruppi di estrema destra filorussi, con tanto di ingerenze veicolate su TikTok. Così, nella domenica elettorale, con tono di sfida, l’ex leader nazionalista si è fatto fotografare insieme con il suo sodale, mentre si recava al seggio, prendendosi così una rivincita nei confronti di chi lo aveva messo fuori gioco. Che Simion diventasse poi il “paladino della democrazia romena” era nelle cose: “Siamo qui con una sola missione, il ripristino dell’ordine costituzionale, il ripristino della democrazia”, ha dichiarato il vincitore del primo turno. “Non ho altro obiettivo – ha aggiunto – che il primo posto per il popolo romeno, che voglio servire. Siamo qui con un solo desiderio, fare giustizia per la Romania”.
Anche in questo caso, comunque, non sono mancate accuse di interferenze esterne. Fonti governative hanno segnalato falliti attacchi informatici, coordinati, di tipo DDos, una modalità che prende di mira siti web e server rendendoli inservibili. Più esattamente, sotto attacco sarebbero stati i siti dei ministeri degli Interni e della Giustizia e quello di Antonescu. La responsabilità è stata attribuita al gruppo filorusso NoName057(16), attivo dal marzo 2022, il cui fine è quello di attaccare i siti ucraini e occidentali.
Tutto questo avviene mentre il Paese sta vivendo una crisi economica e sociale preoccupante. Musica per le orecchie dell’estrema destra, visto che era stato il premier, Ion-Marcel Ciolacu, leader del Partito socialdemocratico – dimessosi ieri, 5 maggio, a causa della sconfitta del candidato del suo partito, il già citato Antonescu – ad annunciare l’ennesima ricetta “lacrime e sangue”. Pur precisando che non si tratta di un provvedimento di “austerità o povertà”, di fatto le misure vanno in questa direzione: nel dicembre scorso, erano stati infatti approvati un aumento delle tasse, un tetto a una serie di sussidi, nonché ai salari e alle pensioni del settore pubblico, che dovranno fare a meno della prevista indicizzazione a partire da gennaio. Si aggiunga un aumento delle tasse anche per i dividendi societari dall’8% al 10%. Particolarmente preoccupanti, poi, le eliminazioni delle esenzioni e degli incentivi fiscali per settori cruciali nell’economia del Paese, come l’informatica e l’edilizia. Tutto questo con lo scopo di ridurre il deficit corrente, pari a circa l’8,5% del Pil,il più consistente, in percentuale del Pil, tra quelli dell’Unione.
La reazione popolare è stata durissima, soprattutto per i tagli ai settori interessati. Tra questi, anche i poliziotti penitenziari, che hanno manifestato dinanzi alle carceri, ai quali non vengono pagati da tempo gli straordinari. Il governo è stato messo in guardia dai rischi di una grave crisi sociale, e le misure approvate sono state definite una “nuova forma di schiavitù moderna”.
La Romania, circa 19 milioni di abitanti su una superficie pari ai due terzi di quella dell’Italia, è uno dei Paesi più poveri e diseguali del vecchio continente. Sono circa otto milioni le persone povere o a rischio povertà e, tanto per fare un esempio, circa 200mila bambini vanno a dormire la sera senza avere mangiato. Tutto questo stride con l’importante crescita economica degli ultimi anni. “Perché un terzo dei romeni vive sulla soglia di povertà se, nel 2023, il prodotto interno lordo del Paese è aumentato del 2,4% rispetto al 2022, e se siamo tra gli europei che trascorrono il maggior numero di ore settimanali al lavoro – 39,7 ore – rispetto a una media europea di 36,4 ore?”, si chiede Andrei Țăranu, politologo e professore universitario presso la Scuola nazionale di studi politici e amministrativi, a Bucarest, in una intervista rilasciata a Radio Romania International. Questo è avvenuto – sostiene Țăranu – perché “nel nostro Paese la crescita economica è stata fatta nonostante e contro tutte le politiche sociali”.
Ma ormai di questi problemi, appunto sociali, frutto di sciagurate quanto eterne politiche liberiste, non si parla. Sono gli scenari geopolitici a farla da padrone su tutto, e nessuno, neanche a sinistra, fa lo sforzo di capire che cosa succede realmente dentro quei territori. Eppure, nei dati che abbiamo riportato, ci sarebbe più di una spiegazione sul perché, sia in Europa occidentale sia in quella orientale, prevalgono le forze di estrema destra e la sinistra quasi ovunque non rappresenta più un punto di riferimento per larghe masse. Non serve, a nostro avviso, andare avanti a forza di carte bollate, come un po’ sta succedendo anche in Germania con l’Afd (vedi qui), per disinnescare queste mine vaganti, soprattutto se una maggioranza della popolazione, o una percentuale molto alta, decide di affidare il proprio destino a personaggi che appaiono come un’ultima spiaggia. Bisognava pensarci prima, bisognava continuare a tutelare la vita dei cittadini e delle cittadine “dalla culla alla tomba”, come recitavano i laburisti britannici ispirati dal pensiero di William Henry Beveridge. Ma il barone è morto da sessant’anni – e a tutelare la popolazione dalla nascita alla morte non ci pensa più nessuno.