
Uno sciopero flessibile, spalmato su tre giornate, durante le quali ogni lavoratore potrà scegliere quando e per quanto fermarsi all’interno delle otto ore di astensione previste per tutti. Lo si decide in tempo reale. Sono i singoli lavoratori che si organizzano con gli altri scambiandosi messaggi su WhatsApp, o comunque attraverso collegamenti da remoto. Volantini e tecnologia, messaggi sindacali e forme di lotta classiche che si mescolano con una rapidità di esecuzione inedita, quasi da guerriglia. Motivo della mobilitazione, il rinnovo del contratto nazionale. Lo hanno deciso, unitariamente, i sindacati dei metalmeccanici, Fim, Fiom, Uilm per rendere più efficace (e vincente) la mobilitazione dei lavoratori che attendono ancora il rinnovo del loro contratto.
Il contratto in questione era stato firmato con la Federmeccanica nel 2021 ed è scaduto il 30 giugno 2024. Ora le trattative riguardano più di un milione e mezzo di lavoratori in trentamila aziende, che, secondo i dati ufficiali, nel 2022 hanno prodotto l’8% del Pil italiano e rappresentano il 6,2% dell’occupazione e il 45% delle esportazioni del Paese. Solo se si fa riferimento al settore manifatturiero, la metalmeccanica rappresenta quasi il 50% del valore aggiunto e il 44% dell’occupazione industriale. Non stiamo parlando quindi di settori residuali o superati dalle accelerazioni sempre più veloci dell’era dell’intelligenza artificiale.
L’idea è nata in una delle tante riunioni sindacali che si organizzano nelle fasi di conflitto per preparare le trattative in vista della firma dei contratti. È nata quasi per caso, ma ora, dopo essere stata applicata con successo in Piemonte, sta prendendo corpo all’interno del sindacato di categoria, e potrebbe essere estesa ad altre aziende oltre quelle che hanno fatto da apripista, in particolare la Denso di Poirino e la Italdesign del gruppo Volkswagen. Alla fine del mese di febbraio, ci sono stati i primi tre giorni di mobilitazione nella fabbrica di Poirino che produce sistemi di raffreddamento. La direzione aziendale si è subito dichiarata molto preoccupata delle conseguenze dello sciopero sulla produzione, e soprattutto sull’organizzazione del lavoro, che viene oggettivamente stravolta da una forma di lotta imprevedibile.
La prima considerazione da fare riguarda, quindi, proprio il carattere flessibile dell’agitazione. L’azienda, all’inizio di una settimana, può sapere solamente la durata complessiva dell’astensione dal lavoro, ma non ha nessuna informazione su come si realizzerà lo sciopero nei singoli reparti. “Adesso capiranno che cosa vuol dire precarietà” – ha dichiarato uno dei sindacalisti della Fiom che stanno coordinando la protesta operaia. Per i lavoratori, infatti, la precarietà è diventata un dato distintivo, la vera cifra di un lavoro che viene descritto come postindustriale e in via di superamento. Le imprese, invece, devono fare i conti con il mercato e con la concorrenza, ma possono sempre contare sull’apporto degli operai alla produzione. Oppure devono affrontare il conflitto temporaneo che si sviluppa con gli scioperi, mediante il blocco della produzione annunciato e ben specificato nelle sue modalità di realizzazione. Gli imprenditori, quelli che una volta venivano definiti i “padroni”, non hanno però esperienza di una fabbrica che si ferma a macchia di leopardo e senza preavviso specifico, in quel reparto o in un altro. E non si tratta neppure di una riedizione degli scioperi selvaggi di anni passati. La formula è nuova.
Lo sciopero flessibile sta spiazzando le aziende piemontesi, che ammettono di essere molto preoccupate. La Denso di Poirino si sarebbe infatti affrettata a scrivere una lettera alla Federmeccanica per spingerla a riaprire al più presto il tavolo di trattativa con le organizzazioni sindacali. Stessa scena all’Italdesign di Moncalieri, Vadò e Nichelino, ma anche in altre aziende di varie dimensioni: Rostagno, Hotroll, Bersano di Busano e Forno, Tenneco, Zanzi, Arca, Progind, Sata, Perardi & Gresino, Siderforge Rossi, Alessio Tubi, Mottura, Flexball, Avio Rivalta, Baomarc, MA, Leonardo Torino e Caselle, Sipal, Thales, Microtecnica.
“È una proclamazione di otto ore per tre giorni tutti i giorni, ma con una modalità innovativa attraverso la quale si lascia la possibilità a ogni lavoratore di aderire per come può” – ha spiegato ai giornalisti Gianni Mannori della Fiom di Mirafiori. Così “qualche lavoratore può entrare due ore dopo, uscire prima, farlo su più giorni o uno solo, perché ogni lavoratore mette a disposizione quel che può”. “Ci sono lavoratori talmente convinti di questa lotta da scioperare più di quello che era stato previsto e che gli abbiamo chiesto” – ci dice Edi Lazzi, segretario generale della Fiom torinese. Il sindacalista dei metalmeccanici aggiunge un particolare importante, spunto di riflessione anche per noi. Lazzi spiega che far assaggiare anche ai manager e ai capi che dirigono le aziende il sapore della precarietà potrebbe essere uno stimolo a cercare di spingerli a trovare nuove strade per rilanciare l’industria in un momento di crisi molto grave di tutta la manifattura. Una sollecitazione a superare lo schema dell’abbassamento del costo del lavoro (non sono casuali i dati sui salari italiani). Intanto, l’industria nostrana, nonostante i grandi proclami del governo del “made in Italy”, sta andando a picco. E nessuno fa niente.
Nella storia lo sciopero ha sempre prodotto risultati importanti. Dalla prima astensione conosciuta, quella dello sciopero dei lavoratori di Deir el-Medina vicino a Tebe, che secondo i papiri avvenne nell’anno 29 del regno di Ramses III (intorno al 1166 a.C.), fino agli scioperi italiani degli anni Sessanta del Novecento, che, oltre a portare alla firma dei contratti, produssero la grande stagione delle riforme del welfare che i governi di destra stanno cercando di distruggere. Questa nuova fase di lotte sindacali dovrà essere quindi seguita e studiata, perché riporta al centro dell’attenzione un tema antico che sembrava seppellito una volta per sempre, e a cui ci si stava rassegnando: superare la sconfitta, avere la capacità di organizzare azioni positive, che abbiano un risultato tangibile. Insomma, il tema della vittoria, un termine che ormai si tende ad associare solo alle destre e ai prepotenti di tutto il mondo.
I lavoratori metalmeccanici, con le loro app e i loro messaggi sui cellulari ce la faranno? Che ne direbbe Rosa Luxemburg che studiò ed esaltò gli scioperi dei lavoratori russi? Non vogliamo fare paragoni impropri né usare la storia in modo leggero. Possiamo limitarci a dire che queste che vi stiamo dando sono buone notizie. Ne seguiremo gli sviluppi. Per chiudere, una curiosità: il papiro scritto dallo scriba Amennakht, che lavorò con gli operai della necropoli reale nella Valle dei Re e riferisce del primo conflitto sindacale della storia, è conservato nel Museo egizio di Torino.