Gli agricoltori sono un mondo variegato. Al suo interno si trova di tutto: dal coltivatore e allevatore, innamorato delle sue quattro mucche e delle produzioni biologiche, all’imprenditore che ammassa polli, oche e maiali in camere di tortura. Ci sono i padroni e i padroncini. Ma tutti, negli scorsi giorni in Francia (come del resto sta avvenendo altrove: vedi qui), hanno invaso strade e autostrade con i loro trattori: al punto che il sedicente primo ministro, Gabriel Attal – giovane portavoce di Macron, piccolo opportunista quanto il suo capo, entrambi sottoprodotti della deriva a destra del Partito socialista al tempo della presidenza di Hollande –, ha dovuto recarsi fin nell’Alta Garonna, regione del Sud-ovest epicentro delle proteste, per proporre una soluzione e tenerseli buoni. Così, nella speranza di non vedere protrarsi i blocchi stradali, il presidente e il suo tirapiedi (peraltro memori di quanto avvenne qualche anno fa con i “gilet gialli”) hanno fatto marcia indietro sull’aumento della tassa sul gasolio per uso agricolo. Ciò è stato ovviamente stigmatizzato dagli ecologisti, come pure alcune misure di “semplificazione burocratica”, che avranno ricadute negative sulla difesa dell’ambiente. Ma nonostante questo non è detto che la protesta si plachi.
Fa paura un mondo agricolo in rivolta contro la transizione ecologica voluta dall’Unione europea, in Germania come in Francia. Là a impensierire è una crescita senza precedenti di Alternative für Deutschland; qua è il partito di Marine Le Pen, dato al 30% alle prossime elezioni, che preoccupa un presidente con lo sguardo imbambolato, fisso verso destra. Nella sua disperazione centrista, Macron (che, ricordiamolo, non dispone di una maggioranza assoluta nell’Assemblea, ma solo di una relativa) ha prima finito di bruciare il già cotto primo ministro precedente, Élisabeth Borne, con una spericolata operazione parlamentare (una “partita di biliardo”, l’ha definita “Le Monde”) di apertura alla destra moderata, a sua volta all’inseguimento della destra estrema, intorno a una molto discutibile legge sull’immigrazione che, appena approvata, è stata immediatamente amputata dal Consiglio costituzionale di più di un terzo dei suoi articoli. E la cosa incredibile è che i rappresentanti del governo avevano previsto questo esito, aspettandosi proprio che i giudici costituzionali togliessero loro le castagne dal fuoco. Un modo per sottrarsi alle proprie responsabilità politiche – ma con il risultato che adesso destra ed estrema destra, insieme, tuonano contro “il governo dei giudici”, indebolendo così una parte essenziale delle istituzioni repubblicane.
Macron ha completato l’opera con la nomina di Attal e del nuovo governo. Che vede, come ministra della Cultura, Rachida Dati, fino a pochi giorni fa esponente di punta della destra sarkozysta e per giunta sotto processo per corruzione, come d’altronde il suo mentore ed ex capo dello Stato. Sembra che questo ulteriore segnale alla destra sia stato lanciato da Macron al fine di presentare l’attuale ministra, tra qualche anno, alle elezioni a sindaco di Parigi, dove i suoi seguaci non hanno un candidato e sono a corto di consensi. In sostanza, tutto quello che il presidente sta facendo, per ostacolare l’ascesa di Marine Le Pen, è cercare di assorbire lui, che si autodefinisce progressista, i voti di destra. Alla fine si aspetterà di essere ringraziato.
E la sinistra intanto cosa fa? Più che altro si è notata per una sua relativa assenza dovuta alle divisioni interne, particolarmente forti in Francia sulla questione migratoria, che alcuni, come i comunisti e i melenchoniani, vorrebbero comunque controllata, perché così chiede una parte consistente dei loro elettori. I socialisti e i verdi si collocano in una posizione un po’ diversa, ma non tanto da togliersi dall’imbarazzo: le lavoratrici e i lavoratori immigrati sono dei super-sfruttati che abbassano i livelli salariali con la loro concorrenza sul mercato del lavoro – problema classico dell’“esercito industriale di riserva” – o sono delle minoranze culturali postcoloniali da proteggere e integrare, riconoscendo i loro diritti all’interno della République? Se a sinistra ci si allontanasse dal dilemma e si cominciasse a vedere quello migratorio come un movimento storico irreversibile, destinato ad accrescersi nel prossimo futuro, si potrebbe infine aprire anche il famoso “spirito repubblicano” francese a una posizione di melting pot inevitabile, in cui il conflitto sociale ha molte facce, né esclusivamente quella economica né soltanto quella culturale o addirittura religiosa.