Nel 1977 il politologo Ronald Inglehart aveva elaborato il concetto di “rivoluzione silenziosa” per indicare l’onda lunga dei movimenti della fine degli anni Sessanta (The Silent Revolution: Changing Values and Political Styles among Western Publics). La lotta al razzismo, alla discriminazione sessuale e di genere, la sensibilità ecologica, il pacifismo, hanno infatti cambiato profondamente le società a capitalismo avanzato, con un processo lento e continuo nel corso degli ultimi decenni. Oggi l’idea di una società del futuro sempre più aperta e democratica è divenuta però anche una sorta di grilletto d’innesco del populismo. Dappertutto i partiti populisti incrementano i propri voti, ed è soprattutto il populismo di destra a raccogliere il maggior numero di consensi. I populismi hanno volti differenti ma un unico denominatore comune: cambiare il panorama politico tradizionale e sostituire i vecchi partiti con formazioni politiche che promettono la soluzione della “crisi” del momento. Il caso dell’Argentina risulta emblematico: si è assistito alla sostituzione di un populismo tradizionale con un altro più aggressivo e anarco-capitalista.
Nella ricerca pubblicata nel 2021, in collaborazione con la Fondazione per la critica sociale (Sulla sindrome identitaria, Rosenberg & Sellier), fra le variabili a maggiore incidenza fra i populisti di destra avevamo individuato l’assolutismo morale (valutare il mondo in bianco o nero secondo uno schema “buono o cattivo”, “giusto o sbagliato”) e la percezione di essere continuamente minacciati. Per i populisti che invece si sentivano schierati a sinistra, la sfiducia nella politica era la principale variabile sottostante alla scelta di votare per un partito populista.
Sia la minaccia dall’esterno sia la sfiducia nella politica individuano però un nemico. La dialettica “amico/nemico” è tipica del populismo, pur non esaurendo le spiegazioni che se ne possono dare. La psicologia sociale cognitiva studia da decenni piuttosto le dinamiche di pressione del contesto per quanto riguarda l’emergere dei comportamenti conformisti e anche aggressivi (Asch, Milgram, Zimbardo). Le situazioni e le relazioni possono creare conflitti cognitivi (dissonanze) che le persone, secondo Festinger, risolvono anche con l’autoinganno. Tali conflitti agiscono a livello dell’individuo e del proprio gruppo di riferimento che percepisce gli altri, gli eventi, le situazioni addirittura come una minaccia degli elementi costitutivi del proprio Sé. In questo senso tutti i razzismi – a partire dall’antisemitismo e dalle molte piccole o grandi discriminazioni – seguono una logica precisa, quella dell’“amico/nemico” appunto, dell’outgroup (“gruppo esterno”) vs l’ingroup (“gruppo interno”).
Cosa è accaduto nel mondo occidentale proprio a causa della “rivoluzione silenziosa”? Il movimento dei diritti civili ha fatto passi da gigante, gli afroamericani, le donne, gli immigrati, il movimento Lgbtq+, gli ecologisti, sono soggetti politicamente sempre più attivi, che però vengono considerati dalla vecchia classe egemone rappresentata negli Stati Uniti dal bianco, maschio, ricco, per lo più anglosassone, anche come i responsabili della perdita di ricchezza e potere. La scelta populista (secondo Inglehart e Norris) nasce proprio da questo contraccolpo culturale (cultural backlash), per cui i responsabili di questa perdita di ricchezza, potere, felicità, potenza sessuale, e così via, sono individuati per lo più nei soggetti emersi con la “rivoluzione silenziosa”.
Questi gruppi, percepiti come potenzialmente “rivoluzionari”, divengono quindi dei pericolosi usurpatori e possono essere de-umanizzati, trattati come inferiori e responsabili del cambiamento dello status quo. Sentirsi defraudati di parti importanti della propria identità spinge verso la ricerca di capri espiatori, che possono variare al variare dei bisogni sociali. In America il trumpismo, in Europa i vari populismi della destra, anche estrema, vanno alla ricerca di continui capri espiatori: le donne, gli immigrati, le etnie diverse dalla propria, i giovani, gli omosessuali, i trans e tutti quelli che possono essere sospetti. Il meccanismo è ben noto, ed è identico a quello dell’antisemitismo attivo in Europa ben prima dell’avvento del nazismo.
A questa situazione non nuova si aggiunge, tuttavia, come elemento inedito lo Zero-Sum thinking, il pensiero a somma zero, che è una fallacia logica basilare attiva in tutti i razzismi (in proposito, rimando al mio Storia dei razzismi, Mondadori Università). I pregiudizi a somma zero, oggi molto studiati dalla psicologia, sono definiti come “la convinzione soggettiva che, indipendentemente dall’effettiva distribuzione delle risorse, i guadagni di una parte siano inevitabilmente ottenuti a spese di altre parti” (Davidai & Tepper, 2023, The Psychology of Zero-Sum Beliefs, “Nat Rev Psychol” 2, 472-482, p. 1).
Il pensiero a somma zero è conflittuale e non cooperativo, attivo sia nelle relazioni interpersonali, sia tra i gruppi sia nelle relazioni internazionali. Non si tratta solo di una perdita economica ma anche psicologica. Nel pensiero a somma zero si ragiona in termini di quantità fisse di tipo affettivo o monetario: gli altri, considerati come nemici, ci tolgono un benessere considerato, per abitudine, sempre come una risorsa limitata. Le credenze a somma zero sembrano essere, inoltre, per lo più asimmetriche: un individuo crede che gli altri gli tolgano qualcosa, ma non pensa che anche lui possa essere percepito dagli altri come un usurpatore.
In questo senso, è stato messo in evidenza che i bianchi più conservatori (ma non i moderati o i progressisti), razzisti verso le altre etnie, percepiscono a loro volta un pregiudizio contro se stessi, ritenendo questo pregiudizio contro i bianchi identico al razzismo contro i neri. Come meccanismi di stravolgimento della realtà, anche le teorie cospirative sono significativamente correlate alle credenze a somma zero. Per giunta, già da anni alcuni politologi anglosassoni hanno evidenziato che le relazioni fra gli Stati sono sempre più condizionate dagli effetti dei pregiudizi a somma zero (Rachman, Zero-Sum Future: American Power in an Age of Anxiety, Simon and Schuster, 2012).
Lo Zero-Sum thinking sembra quindi un meccanismo ben radicato nel comportamento umano che, nel corso della storia, si è presentato sotto varie forme. Non è specifico della destra, può essere anche un modo di pensare della sinistra. Nei conservatori emerge soprattutto quando la società cambia in modo da minacciare le relazioni e le gerarchie tradizionali; al contrario, nei progressisti, quando lo status quo viene mantenuto troppo a lungo. Come nel nostro campione dove i populisti di destra si sentivano astrattamente minacciati dall’esterno, quelli di sinistra invece erano minacciati da una politica familista, elitaria e insensibile ai cambiamenti.
Per giunta, ci troviamo in un periodo definito anche come un’epoca post-normale, caratterizzata dalla complessità. I vecchi problemi della ridistribuzione della ricchezza nel mondo non sono stati risolti, i movimenti migratori sono potenti, i rapporti fra le culture e le religioni sono difficili, le guerre territoriali e culturali si presentano in vaste aree della terra. Persistono i razzismi e le discriminazioni. Le pandemie colpiscono velocemente e sollevano dubbi sulla medicina e problemi nei rapporti fra gli Stati in merito alle politiche sanitarie globali, il clima è in crisi ed è dimostrato che questa crisi è prodotta artificialmente dall’uomo. Quale migliore situazione per produrre e mantenere un pensiero a somma zero?
Sintesi dell’intervento tenuto il 15 dicembre 2023 nell’ambito dei seminari sulla “Nuova personalità autoritaria” organizzati da Crs Toscana, Legambiente e Fondazione per la critica sociale (vedi qui).