Gli esili fili che ancora legavano la fazione di Sahra Wagenknecht al partito della Linke si sono definitivamente recisi. Era nell’aria da tempo, come si era detto su queste pagine (vedi qui), ma nelle scorse settimane la frattura si è consumata pienamente. La scissione è cosa fatta: Wagenknecht ha annunciato, a fine ottobre, le dimissioni dal partito insieme ad altri nove membri del Bundestag, e la fondazione di un nuovo partito, che potrebbe presentarsi alle elezioni europee e alle elezioni amministrative in tre Länder della Germania orientale già il prossimo anno.
“Le cose non possono continuare ad andare avanti così”, ha detto seccamente Wagenknecht, spiegando le ragioni che l’hanno spinta alla creazione della nuova formazione politica. “Altrimenti, probabilmente tra dieci anni, non riconosceremo più il nostro Paese”. La ex deputata della Linke ha citato come temi chiave il “mantenimento dei nostri punti di forza economici”, la difesa della giustizia sociale e una politica estera orientata alla pace. Wagenknecht ha inoltre preso le distanze dalle posizioni finora assunte dal partito sui temi dell’immigrazione e della difesa del clima. Ha affermato che “l’immigrazione non regolamentata” sta esacerbando “i problemi nelle scuole, soprattutto nei quartieri più poveri”, pronunciandosi per politiche restrittive analoghe a quelle (estremamente discusse) introdotte in Danimarca. Ha inoltre auspicato un “allontanamento dall’eco-attivismo cieco e casuale, che rende la vita delle persone ancora più costosa, ma non aiuta affatto il clima”.
Al di là di queste dichiarazioni, e delle petizioni di principio per cui lo scopo del nuovo partito sarebbe anche quello di allargare il “ventaglio delle opinioni” in Germania, dato che i dibattiti politici sarebbero attualmente condotti in modo tale che “chiunque si discosti dalla bolla di opinione dominante viene rapidamente diffamato e stigmatizzato”, appare abbastanza chiaro che siano stati i risultati delle ultime tornate elettorali amministrative, in Assia e Baviera, a dare la spinta decisiva al distacco del gruppo Wagenknecht. Difficile chiamarlo diversamente, dato che la sigla del nuovo partito è per ora, lapidariamente, BSW (Bundnis Sahra Wagenknecht, “Associazione Sahra Wagenknecht”), anche se il congresso di fondazione – da cui dovrebbe scaturire anche un nuovo nome – è previsto per gennaio.
L’immobilismo della dirigenza della Linke ha reso impossibile una conciliazione delle posizioni sempre più radicali del gruppo Wagenknecht con una leadership centrista e attenta a non rompere le alleanze locali con la Spd. Wagenknecht ci ha provato, e ha messo negli ultimi mesi sul tavolo il prestigio personale e la popolarità di cui gode nel Paese per spostare gli equilibri interni; ma le tensioni, che erano già emerse nel corso del congresso della Linke a giugno, si sono ulteriormente accentuate dopo il clamoroso discorso (vedi qui) al Bundestag dello scorso settembre. In quel frangente, la deputata era andata giù pesantemente, mettendo in ridicolo l’azione politica della coalizione “semaforo”, tacciata di essere “il governo più stupido d’Europa”, dato che avrebbe tagliato il ramo su cui era seduto con le sanzioni alla Russia.
Le polemiche, anche interne, seguite a quell’intervento volutamente di rottura avevano mostrato l’inconciliabilità delle posizioni, e il tentativo di convincere la leadership del partito, mediante delle forzature, a cambiare rotta è fallito. Il nuovo partito vuole ora distaccarsi nettamente dal passato e proporsi a “tutti coloro che non si trovano sul lato positivo della vita, tutti coloro che lavorano duramente ma sono delusi dalla politica dominante”.
Tra i sostenitori di Wagenknecht c’è Amira Mohamed Ali, ex leader del gruppo parlamentare di sinistra del Bundestag. La decisione di lasciare il partito non è stata “facile” per nessuno, ha dichiarato Mohamed Ali. “Tuttavia, siamo convinti che sia stato un passo necessario e corretto”, le ha fatto eco il suo vice, Christian Leye, che ha così descritto il target del nuovo progetto: “Vogliamo costruire un partito che sia sostenuto dalle persone a basso e medio reddito, dai pensionati, dai sindacalisti e dai consigli di fabbrica”. Il fallimento della sinistra attuale si misura, secondo il gruppo Wagenknecht, proprio sul successo della estrema destra di Alternative für Deutschland, che continua a guadagnare consensi battendo sul tasto della questione migratoria, della fine del sostegno all’Ucraina e dell’aumento del costo della vita. È evidente che il gruppo riunitosi intorno a Sahra ritiene che il vuoto della proposta politica, in questi ambiti, renda praticabile una via nuova e radicale, dando vita a un populismo di sinistra che sostenga tematiche analoghe. A ingolosire il BSW sono anche i sondaggi, che mostrano che quasi la metà della popolazione tedesca non osa più dire apertamente la propria opinione.
Ma che senso ha rincorrere Alternative für Deutschland a sinistra? Se Wagenknecht, da politica navigata, fiuta la radicalizzazione dell’elettorato, la ricetta populista che in sostanza propone rischia di rappresentare una terapia peggiore del male. Oskar Lafontaine, marito di Wagenknecht, e rappresentante di quell’anima radicale della Spd che portò alla nascita della Linke, non si pronuncia, e nega recisamente di essere l’eminenza grigia dietro la svolta. Certo, per ora non si intravede nel BSW la auspicata presenza di sindacalisti di base, e impressiona il fatto che finora, nelle dichiarazioni pubbliche, non siano stati menzionati gli scioperi che hanno caratterizzato l’ultimo anno in Germania.
In realtà, la partita dietro la scissione pare essere di portata più ampia, e non coinvolge unicamente la Linke, ma tutta la sinistra tedesca come fenomeno politico. La coalizione “semaforo” e i valori di cui essa è portatrice sembrano vacillare e perdere peso sotto la spinta degli eventi; mentre vengono per la prima volta messe pubblicamente in discussione le assunzioni finora ritenute fondamentali del libero mercato e della giustizia sociale. Nel pieno di questa contraddittoria situazione, i voti per la sinistra stanno scomparendo. I cosiddetti “partiti dell’ordine”, come vengono chiamati quelli a destra del centro, stanno invece guadagnando terreno, ergendosi a custodi delle relazioni politiche e sociali. La crisi politica che si sta aprendo è dunque foriera di soluzioni inaspettate, e la fine della Linke può ridursi a fenomeno marginale, così come generare uno tsunami politico. Certo, quanto sta avvenendo va riconsiderato nell’ambito della crisi della sinistra nel suo complesso: laddove sarebbe essenziale, per essa, distinguersi dagli altri, dalla destra, le soluzioni offerte per le grandi questioni, dalla migrazione al clima, sono invece sempre più caratterizzate da compromessi con modelli conservatori-autoritari. Di conseguenza, “ibridazioni” e “diluizioni”, sono all’ordine del giorno e in costante aumento. La destra estrema – da queste ibridazioni, dalla omogeneizzazione e dalla sterilizzazione delle proposte – trae vantaggio, proponendo invece slogan iper-radicali; e qualcuno si illude di poterla inseguire sul suo stesso terreno nazional-popolare. Ma il gioco è quantomeno azzardato, come la storia dovrebbe insegnare.